Per la procura di Milano l’azienda sarebbe stata consapevole delle condizioni irregolari dei lavoratori cinesi nella filiera produttiva. Il patron della casa di moda a ottobre scorso aveva “sfidato” i pubblici ministeri meneghini, invitandoli a visitare il gruppo. Intanto la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del pm Storari
«Contratti di lavoro scritti in lingua italiana, non comprensibili per gli operai che parlavano solo la lingua cinese». Un «pesante sfruttamento lavorativo» ai danni di persone di nazionalità cinese pagate 2,75 euro all’ora e «in condizione di para schiavitù». Poi «mancanza delle protezioni nelle macchine da cucire», «vie di fuga non conformi», «sostanze chimiche gestite in maniera non corretta», «cassetta del pronto soccorso non adeguata» e «addetti dell’antincendio che non avevano frequentato


