Almeno due anni di abusi tra le mura della questura. La procura di Verona ha formalizzato nei giorni scorsi la chiusura delle indagini per altri nove agenti della squadra Volanti, portando a sedici il numero di poliziotti per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio, oltre a due per cui è stato chiesto il giudizio immediato. Le accuse vanno dalla tortura alle lesioni, dal peculato alla falsificazione di atti pubblici, con aggravanti legate all’odio razziale.

I fatti contestati si concentrano in particolare su due episodi: uno nell’agosto 2022 ai danni di Mattia Tacchi, cittadino italiano con problemi di tossicodipendenza, e l’altro nel novembre dello stesso anno nei confronti di Amiri Tororo, cittadino marocchino.

Tacchi sarebbe stato trascinato fuori dalla sala “Acquario”, picchiato da due agenti e successivamente colpito da uno schiaffo così violento da perdere i sensi. Nel secondo episodio, Tororo sarebbe stato aggredito con calci e spray urticante, sbattendo la testa contro una panca in cemento. Venne poi trattenuto per oltre un’ora senza decontaminazione, nonostante le ripetute richieste di aiuto.

Le indagini, avviate dalla squadra mobile, si sono basate su intercettazioni ambientali e telefoniche, che hanno documentato un clima di complicità e brutalità. In una conversazione un agente diceva: «Evitiamo di alzare le mani nell’Acquario… se dovete dare qualche schiaffo, nei corridoi». In un’altra, l’assistente capo Alessandro Migliore si vantava con la compagna: «Ho caricato una stecca, bam – si è irrigidito tutto, un ko».

Una poliziotta, in un altro dialogo, commentava: «Questo era da buttare nell’Adige». E mentre un fermato era incosciente, un collega ironizzava: «Non l’hai ancora ammazzato?». Le frasi, giudicate “sadiche e consapevoli” dai magistrati, contribuiscono all’impianto accusatorio per tortura.

Altri episodi contestati includono l’interruzione di una perquisizione domiciliare per favorire un conoscente in possesso di strumenti atti a offendere, e l’appropriazione indebita di denaro contante e sigarette sottratti a una donna fermata. Tra le condotte contestate configurano anche i reati di peculato, omissione di atti d’ufficio e falso ideologico. Alcuni agenti sono accusati di non aver denunciato colleghi o di aver firmato verbali artefatti per coprire violenze già avvenute.

L’inchiesta

Le indagini si sono sviluppate a partire dal 2022 sotto il coordinamento dei pm Carlo Boranga e Chiara Bisso. Su 28 indagati totali, sono stati chiesti 16 rinvii a giudizio, due giudizi immediati, due patteggiamenti e otto archiviazioni. Nel giugno 2023 furono arrestati cinque agenti, tra cui l’assistente capo Alessandro Migliore e Loris Colpini (a giudizio immediato), il vice ispettore Francesco Bonvissuto, Massimiliano Miniello e Federico Tomaselli, per cui vennero disposte misure domiciliari.

L’udienza preliminare per i nuovi indagati è fissata per il 22 settembre 2025 davanti alla gup Arianna Busato. Le prove comprendono anche filmati interni che documentano l’aggressione a Nicolae Daju, colpito fino allo svenimento e poi spruzzato con spray al volto. Un agente usò il suo corpo «come uno straccio per pulire il pavimento», secondo l’ordinanza del gip Livia Magri.

L’inchiesta aveva acceso anche un duro scontro istituzionale. L’eurodeputato Flavio Tosi, ex sindaco di Verona, due anni fa criticò duramente la gip Magri, accusandola di «atteggiamenti ideologici» e di aver gestito le misure cautelari «in modo sproporzionato». In una dichiarazione pubblica parlava di «uso politico della giustizia» e di «clima da caccia alle streghe».

La procura aveva reagito querelando Tosi per diffamazione aggravata sottolineando come le parole di Tosi «ledano l’indipendenza della magistratura e mirino a delegittimare un giudice impegnato in un’inchiesta di particolare gravità». Ad aprile dell’anno scorso il Consiglio superiore della magistratura ha aperto una pratica a tutela della giudice Magri respingendo ogni insinuazione su pressioni o parzialità nel suo operato.

Secondo l’ordinanza del gip, le violenze documentate «non sono episodiche, ma strutturate secondo uno schema consolidato», e il trattamento riservato ai fermati «denota una sistematica violazione della dignità». Le telecamere della sala Acquario e le registrazioni ambientali costituiscono il cuore probatorio del processo.

In attesa del giudizio, la procura ha ribadito che il procedimento «non riguarda la Polizia di Stato come istituzione, ma la responsabilità individuale di specifici agenti». Ma il caso Verona rimette al centro la necessità di un controllo interno effettivo e trasparente sui poteri coercitivi dello stato.

© Riproduzione riservata