Ci sono le violenze, i pugni, gli schiaffi e le umiliazioni, come quella che è stata inflitta a un cittadino straniero, il cui corpo è stato impiegato «come uno straccio per pulire il pavimento», sporco d’urina. È lunga la galleria degli orrori di cui si sono resi protagonisti cinque poliziotti della questura di Verona, all’epoca dei fatti al nucleo volanti, arrestati dai colleghi della squadra mobile, su ordine della procura locale. I reati contestati ai cinque indagati sono, a vario titolo, tortura, lesioni, falso, omissioni di atti d’ufficio, peculato e abuso d’ufficio.

Gli agenti, in tutto gli indagati sono ventidue, hanno utilizzato il loro potere per umiliare i fermati, alcuni durante una semplice procedura d’identificazione, ovvero il controllo dei documenti. Una vicenda che ricorda la caserma dei carabinieri di Piacenza, trasformata, in quel caso dai militari dell’arma, in un luogo di violenze e violazioni sistematica dei diritti umani.

Uno dei malcapitati è stato brutalizzato da due agenti, entrambi ai domiciliari, Loris Colpini e Alessandro Migliore. Il cittadino straniero era stato fermato per l’identificazione e portato in questura dove è stato «percosso con un calcio e alcune sberle». Hanno continuato «colpendolo con due violenti colpi al volto facendogli perdere i sensi (...) trascinandolo nuovamente all’interno della stanza fermati e dunque, crudelmente, spruzzandogli sul viso spray urticante, mentre l’uomo era in terra privo di sensi, dove dunque veniva abbandonato (...)». Non bastavano i pugni, l’utilizzo illegale dello spray, i colpi al fianco, i due agenti non hanno consentito alla vittima di andare in bagno così da indurla a urinare all’interno della stanza. Poco dopo sono entrati all’interno, lo hanno spinto e premuto al suolo per fargli ripulire, come se il suo corpo fosse uno straccio, l’urina.

«Tunisino di merda, figlio di puttana, cosa ci fai qui», urlava, invece, Federico Tomaselli, altro poliziotto ai domiciliari, contro un arrestato. Di nuovo botte, violenze e l’uso disinvolto dello spray. La vittima, appena giunta la volante in questura, era caduta in terra sfiancato dai colpi subiti. Tomaselli, in compagnia di altri tre agenti, assisteva così a una scena indegna, uno dei poliziotti urinava addosso al fermato dopo aver proferito queste parole: «So io come svegliarlo».

Le intercettazioni

Ma come è stato possibile per la procura di Verona ricostruire queste condotte? Tutto è partito da un’inchiesta su alcuni indagati di nazionalità albanese e dalle intercettazioni disposte «sono emersi elementi di prova della commissione di gravi reati da parte degli agenti», scrive Livia Magri, giudice per le indagini preliminari.

I poliziotti erano consapevoli della gravità della azioni che commettevano e si davano consigli per evitare di farsi inquadrare dalle telecamere predisposte negli uffici. «Evitiamo di alzare le mani nell’acquario», diceva uno degli agenti ai suoi colleghi. Con il termine «acquario» si intendeva la stanza dei fermi dove erano posizionate le telecamere. «Magari iniziano a controllare a cagare il cazzo», aggiungeva prima di dare un consiglio ai colleghi: «Se dovete dare qualche schiaffo nei corridoi».

I poliziotti individuavano i punti oscuri, quelli non raggiunti dalle inquadrature, come ad esempio, il «tunnel», il luogo dove sostano le auto di servizio.

Nelle conversazioni intercettate dagli inquirenti, Migliore raccontava alla sua compagna come picchiava uno dei fermati: «Ho caricato una stecca amò bam lui chiude gli occhi di sasso per terra è andato a finire è rimasto là (...) si è irrigidito tutto ed è caduto sai hai presente i ko (...) io gliel’ho tirata bene gli ho detto adesso lo sfondo, bam».

Il poliziotto, ora ai domiciliari, si beava delle botte inferte e si lasciava andare, come i colleghi, a insulti razzisti contro i fermati. «Altra amara constatazione è quella per la quale i soprusi, le vessazioni e le prevaricazioni poste in essere dagli indagati risultano aver coinvolto, in misura pressoché esclusiva (unica eccezione T.M.), soggetti di nazionalità straniera, senza fissa dimora, ovvero affetti da gravi dipendenze da alcool o stupefacenti, dunque soggetti particolarmente “deboli”», scrive la giudice.

Un’inchiesta che ricorda l’importanza delle intercettazioni e del reato di tortura, strumenti che il governo delle destre vorrebbe ridimensionare e rivedere.

© Riproduzione riservata