Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Analogamente per quanto concerne i rapporti con il senatore Andreotti. Deve convenirsi con la valutazione espressa dal giudice di prime cure secondo cui non v’è ragione di dubitare della genuinità della testimonianza dell’avv. Li Gotti, soprattutto nelle parti che si riferiscono a fatti da lui vissuti in prima persona.

E alcune apparenti incongruenze — come l’essere il Generale Subranni già in pensione quando si sarebbe interessato, su input del senatore Andreotti ad una vicenda che coinvolgeva il fratello del giornalista Minoli — oppure alcune imprecisioni — come l’avere smentito Claudio Martelli di avere mai acquistato una villa sulla via Appia, dove però aveva avuto nella propria disponibilità una villa in affitto per la quale altri si sobbarcavano l’onere di pagare per lui un ingente canone di locazione— non valgono a inficiarne l’attendibilità complessiva.

Ma, come per i cugini Salvo, la genesi dei rapporti con il sette volte presidente del Consiglio e più volte ministro in svariati governi della Repubblica non presenta di per sé nulla di sospetto o di anomalo, tenuto conto del ruolo pubblico dello stesso Andreotti e delle tante occasioni e ragioni di incontri e contatti per ragioni istituzionali, potendosi al più censurare sotto il profilo dell’etica pubblica che il generale Subranni, come parrebbe evincersi dalla testimonianza dell’avv. Li Gotti, continuasse a coltivare quel rapporto, prestandosi persino a impiegare mezzi e risorse del proprio ufficio o, da pensionato, le proprie conoscenze negli apparati investigativi, per convenienze e motivi di interesse privato del plurititolato Andreotti (ammesso che vi sia stato un concreto interessamento del Subranni alle vicende riferite dal Li Gotti), anche dopo che nei suoi confronti s’era instaurato il procedimento per concorso esterno in associazione mafiosa.

Profili di opacità nella figura di Subranni

Ciò posto, simili risultanze nel loro insieme potrebbero esitare al più il ritratto in parte “opaco” di un alto ufficiale dell’Arma non alieno ed anzi aduso a tessere e coltivare rapporti di reciproco interesse, o di subalternità e compiacenza nei riguardi del potente di turno (un tempo i cugini Salvo, o Vito Ciancimino, o il senatore Andreotti come l’on. Mannino), anche quando fosse attinto da sospetti o accuse di contiguità ad ambienti e personaggi della criminalità mafiosa, o addirittura sottoposto a procedimento penale per gravissime imputazioni che avrebbero consigliato o imposto di prendere le distanze.

Ma a contrastare tale esito valutativo, certo non lusinghiero, ha buon gioco l’appassionata autodifesa svolta dal generale Subranni all’udienza del 22.09.20 17 e supportata dalla cospicua documentazione prodotta, nello sciorinare, a riprova di una condotta integerrima ed esemplare, una nutrita serie di benemerenze e titolo acquisiti nel corso della sua lunga e brillante carriera, impreziosita da encomi solenni (come quello tributatogli dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: [...]), plurimi attestati di stima e piena fiducia provenienti da figure predare di magistrati (E mi riferisco ai Dottori Chinnici, Falcone, Borsellino, Grasso, Ajala, Silena, Aliquò, Forte, Aldo Rizzo, Giovanni Puglisi, Pignatone, Pizzillo, solo per citarne alcuni), esponenti istituzionali, o noti personaggi preposti agli apparati investigativi e di sicurezza, come il Prefetto Giuseppe De Gennaro [...], che nel corso degli anni avevano avuto modo di cooperare con il generale Subranni e di conoscerne ed apprezzarne il valore.

Spiccano, tra gli attestati di stima, la dedica apposta dal giudice Giovanni Falcone (“Al generale Subranni, con stima ed amicizia. Giovanni Falcone”) alla copia del libro “Cose di Cosa nostra” di cui gli fece dono (con la precisazione che la copia in questione è quella edita nel 1991, che corrisponde alla prima edizione del libro, sicché il dono risale ad epoca anteriore e prossima alla morte del dott. Falcone).

E meritano ancora di essere segnalati i motivati apprezzamenti espressi in alcuni passaggi della sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio che diede luogo al maxi processo, e a firma tra gli altri del dott. Falcone e del dott. Borsellino, a proposito della qualità del lavoro investigativo condensato nel rapporto giudiziario Riina Salvatore+25 tutti indiziati — e tra loro anche Gaetano Badalamenti e capi e gregari delle cosche mafiose sia corleonesi che badalamentiane -di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti e altri gravi reati, che, a parere degli estensori della stessa sentenza-ordinanza, forniva una lettura rivelatasi di grande lungimiranza sulle possibili traiettorie di quella che si preannunciava come sanguinosa contesa per l’egemonia tra schieramenti antagonisti all’interno di Cosa nostra.

Quel rapporto giudiziario peraltro faceva seguito ad altre importanti operazioni di polizia giudiziaria le cui risultanze erano compendiate in altrettanti rapporti giudiziari di denuncia dei presunti responsabili di una serie di delitti di sequestro di persona e omicidio che vennero letti come sintomatici di una vera e propria offensiva dei corleonesi contro esponenti dello schieramento mafioso antagonista.

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