La Corte Costituzionale il 30 maggio ha emesso una sentenza, la numero 76, che conferma un presentimento molto diffuso tra chi ogni giorno si occupa di salute mentale: il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) è parzialmente incostituzionale.

Il TSO è un provvedimento sanitario eccezionale istituito per la prima volta 47 anni fa con la legge conosciuta ai più come Legge Basaglia (anche se è fuorviante chiamarla così perché la legge porta la firma del democristiano Bruno Orsini e perché, in realtà, Basaglia con l’istituzione del TSO non era d’accordo).

Si tratta di un provvedimento molto controverso, convalidare un TSO significa limitare le libertà civili di una persona e sospenderla dall’esercizio delle sue facoltà, motivo per cui per predisporlo entrano in gioco a garanzia della persona diverse figure della società civile. Servono la richiesta di due medici, la firma del sindaco della città e la convalida di un giudice tutelare per avviare quello che è in tutto e per tutto un ricovero psichiatrico coatto.

Chi lo subisce, per sette giorni non può scegliere se e come curarsi. La Corte Costituzionale, adesso, ha stabilito che in tre passaggi l’iter predisposto dalla legge per l’attivazione della procedura del TSO è incostituzionale: in quelle tre fasi procedurali non viene garantito il diritto di difesa della persona a cui viene sottoposto il TSO. In pratica, il percorso burocratico adottato finora non garantisce al cittadino o alla cittadina di essere, da una parte, messo a conoscenza del provvedimento restrittivo della libertà personale che lo riguarda e, dall’altra, di partecipare al procedimento di convalida.

La mancanza di queste garanzie giudicate dalla Corte incostituzionale avvengono in tre momenti precisi e per ripristinare i diritti costituzionali dei cittadini la Corte ha disposto che il provvedimento sanitario firmato dal sindaco venga comunicato alla persona sottoposta al trattamento, che quella persona venga sentita dal giudice tutelare prima che il giudice firmi la convalida e che, una volta convalidato, il TSO venga notificato al diretto interessato.

Fino ad adesso e per 47 anni una persona a cui veniva notificato un TSO non poteva né saperlo né tantomeno difendersi. Gli ultimi dati disponibili sul numero di TSO effettuati nel nostro paese si riferiscono al 2023, in quell’anno ne sono stati firmati quasi 5.000. In realtà, però, per stessa ammissione della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, si tratta di dati sottostimati perché «accade che un trattamento sanitario obbligatorio venga rinnovato in trattamento sanitario volontario (TSV) con la minaccia da parte del personale sanitario di procedere con nuovo TSO.

Così, le persone si trovano a «dover accettare un ricovero volontario per paura di uno obbligatorio» ha spiegato a Domani uno dei militanti del Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud che da anni tiene aperto uno sportello di ascolto dedicato alle persone che vogliono denunciare un abuso nei reparti o da parte del personale. Anche le relazioni pubblicate dal Senato sull’argomento concordano, sono consapevoli che molti TSV devono essere letti come dei TSO e che i dati registrati non contano altre modalità di ricovero coatto disposte dalle autorità giudiziarie.

«La sentenza numero 76 della Corte Costituzionale per chi come noi denuncia da anni la pratica del TSO e l’uso che se ne fa è arrivata in maniera inaspettata. Devo dire che ci ha sorpreso il tempismo ma non il contenuto» ha riferito il collettivo.

«Come tutte le sentenze, anche questa parte da un caso vero. Sappiamo che tutto è iniziato quando qualche anno fa a una signora di Caltanissetta è stato convalidato un TSO perché avrebbe manifestato idee suicidarie. In realtà, come ha spiegato davanti ai giudici, lo avrebbe fatto solo per attirare su di sé l’attenzione delle figlie. Non aveva alcuna patologia psichiatrica, stava vivendo un momento di forte scoramento.

Ha sempre detto che era in pieno delle sue facoltà e che se qualcuno l’avesse ascoltata avrebbe trovato con il personale una soluzione diversa, cosa che tra l’altro la legge obbliga a fare perché lo psichiatra deve assicurarsi che la persona in questione si trova in una situazione di alterazione tale da necessitare urgenti interventi terapeutici. Ma non solo: deve verificare che quegli interventi proposti vengano rifiutati e che non è praticabile nessun altra soluzione extraospedaliera tempestiva e idonea» ha spiegato l’avvocata Sarah Trovato interpellata dal Collettivo Artaud.

«Invece lei ha scoperto tutto a cose già fatte, ha avuto notizia che le era stato imposto un trattamento sanitario obbligatorio solo una volta ottenuta l’ultima firma necessaria per l’avvio, quella del giudice tutelare. Ha deciso di impugnare il suo TSO consapevole che si sarebbe comunque dovuta sottoporre alle cure obbligatorie per 7 giorni dato che è un provvedimento emergenziale e, quindi, con avvio immediato. Il punto è proprio questo: come ha detto la Corte Costituzionale, una persona non può difendersi se qualcuno decide di avviare il procedimento. Lo si può impugnare solo dopo, a cose già fatte» ha riferito l’avvocataTrovato.

La signora ha comunque deciso di rivolgersi alla giustizia rilevando di non essere stata avvisata del provvedimento. «Le hanno dato torto in primo e in secondo grado, poi la Cassazione analizzando il caso ha sollevato la questione di legittimità costituzionale a settembre del 2024 ed ecco che si arriva alla sentenza delle Corte, una sentenza che non sarebbe mai arrivata se non ci fosse stata la denuncia. È così che funziona, si pronuncia perché qualcuno solleva la questione di incostituzionalità di una norma» ha detto l’avvocato. «Adesso bisogna capire come verrà declinato nel concreto quanto richiesto dalla Corte. Sono tre i momenti in cui viene chiesto di intervenire per garantire il diritto alla difesa e alla partecipazione. Non ci preoccupano tanto i due momenti in cui è prevista l’introduzione della notifica alla persona, quanto quello in cui è previsto che il giudice tutelare ascolti la persona.

Se andiamo a leggere la sentenza, c’è scritto chiaramente che deve essere sentita la persona interessata e che a quest'ultima o al suo legale rappresentante deve essere notificato il provvedimento che dispone il TSO. La paura di alcuni colleghi è che questa audizione avvenga con una video chiamata, in un luogo virtuale, magari quando la persona si trova già nel reparto del servizio psichiatrico di diagnosi e cura. In quel caso la persona potrebbe già aver assunto farmaci ed essere compromessa» ha concluso.

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