Ieri per quasi tre ore il presidente del Consiglio dimissionario, Giuseppe Conte, è stato sentito dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Catania, Nunzio Sarpietro. Conte super testimone nel processo contro Matteo Salvini: l’ex ministro dell’Interno imputato per il reato di sequestro di persona aggravato per il blocco della nave Gregoretti con 131 migranti a bordo provenienti dalla Libia che nel luglio del 2019 dopo essere stati tratti in salvo dalla nave della Guardia costiera italiana “Gregoretti”, rimasero a bordo dell’imbarcazione per cinque giorni, prima di ottenere l’autorizzazione a sbarcare nel porto di Augusta.

«Quella di Conte è stata una testimonianza lunga, durante la quale il presidente ha risposto a tutte le domande che gli sono state rivolte», ha riferito il giudice Sarpietro uscendo da palazzo Chigi, dove è stato sentito: «Sono stati chiariti tantissimi elementi sulla politica del governo e sulla ricollocazione dei migranti nei vari eventi di salvataggio». E ancora: «Conte è stato molto collaborativo, è emerso che i singoli ministri curavano i singoli eventi, mentre la linea generale era dettata dal Governo». I giudici di Catania avevano ritenuto di approfondire «la politica adottata a livello governativo in materia di migrazione all’epoca dei fatti e in relazione ai rapporti con l’Unione europea», anche in riferimento al cosiddetto patto di governo, e così avevano chiesto di assumere a verbale, come persone informate sui fatti, anche le dichiarazioni di altri ministri.

Per questo motivo, il 12 dicembre scorso, davanti ai giudici della città etnea erano comparsi la ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, e l’ex ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli. Entrambi avevano sconfessato la linea dura in materia di sbarchi tenuta dal comandante in capo del Viminale. Trenta aveva dichiarato in aula: «Posso dire che personalmente se fossi stata al posto di Salvini non avrei tenuto quel comportamento, giudicandolo eccessivo». Il prossimo 19 febbraio, intanto, comparirà per essere interrogato nell’aula bunker di Bicocca, a Catania, l’allora vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio, insieme alla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese e all’ambasciatore Massari.

Giuseppe scarica Matteo

La testimonianza di Conte ha aiutato a chiarire il ruolo assunto durante gli sbarchi dall’ex ministro dell’Interno leghista. Dettagli che ora potrebbero essere utili nella decisione sull’eventuale rinvio a giudizio del leader della Lega.

Ne sono convinti gli avvocati delle associazioni che si sono costituite come parti civili nel processo, Arci, Accoglierete, Legambiente. «Dall’interrogatorio di Conte è emerso che la decisione di non autorizzare lo sbarco è stata assunta esclusivamente dal ministro Salvini. Che la stessa decisione di autorizzarlo fosse un atto amministrativo e non politico. Come tale, è stata tracciata una linea di divisione tra quello che era il programma politico del governo e le decisioni amministrative per l’assegnazione del porto di sbarco», hanno spiegato i legali di parte civile Daniela Ciancimino, Corrado Giuliano, Antonio Feroleto.

«Conte», hanno aggiunto, «ha ribadito che la politica portata avanti dal suo governo sui flussi migratori non è mai stata tale da andare contro i principi internazionali di tutela dei naufraghi, Conte ha detto che in nessuno dei consigli dei ministri è stata mai affrontata la relazione tra la redistribuzione tra gli stati europei e la possibilità di far sbarcare le persone». Anche Conte, dunque, ha scaricato Salvini. La prossima volta toccherà a Luigi Di Maio, all’epoca vicepremier e ministro dello Sviluppo economico del governo gialloverde. Un altro Cinque stelle che proverà a smarcarsi da Salvini, ma che all’epoca aveva coniato una nuova definizione delle navi Ong impegnate nel salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, diventata patrimonio del lessico sovranista: «Taxi del mare».

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