A gennaio, l’Ucraina aveva fatto finire nei guai il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Mentre la Russia ammassava truppe ai confini, Biden aveva suggerito che la reazione americana e internazionale sarebbe stata contenuta se la Russia si fosse limitata ad una «incursione minore». «Non esistono nazioni minori o incursioni minori», gli aveva risposto Zelensky, comprensibilmente piccato.

Meno di quattro mesi dopo, la strategia americana e la percezione del ruolo degli Stati Uniti nella crisi non potrebbero essere più diverse. Biden ha definito Putin un «criminale di guerra» complice di un «genocidio», un «macellaio» che non può più «restare al potere», mentre gli Stati Uniti guidano una coalizione internazionale intenzionata a rifornire l’Ucraina di armi fino a che la Russia non sarà così «debole» da non minacciare più i suoi vicini.

Prima dell’invasione

Si tratta di una svolta recente nella strategia americana. Fino alla fine del 2017, il sostegno americano all’Ucraina era stato minimo: pochi aiuti economici e niente armi. Biden all’epoca era l’uomo di Obama in Ucraina, ma questo non ha modificato i due punti centrali della strategia americana: non fare nulla senza l’accordo degli alleati europei e, soprattutto, non fare nulla che potesse rischiare un’escalation con la Russia. Solo a partire dal 2018, qualche decina di milioni di dollari in armi e qualche dozzina di addestratori americani sono iniziati ad arrivare nel paese. Poi, quando nel novembre del 2021 la Russia ha ricominciato a rafforzare la sua presenza ai confini dell’Ucraina, l’amministrazione Biden ha preso la decisione senza precedenti di rivelare informazioni raccolte dall’intelligence sui piani russi di invasione. Ma lo scopo delle rivelazioni, concordano numerose ricostruzioni, era evitare una guerra che gli americani erano certi che l’Ucraina non avrebbe potuto vincere. In quest’ottica va letta la dichiarazione dello scorso gennaio in cui Biden sembrava disposto a condonare una «incursione minore».

L’attacco

Tutto è cambiato nel corso della prima settimana dell’invasione. Inizialmente, Biden e il suo staff erano incerti su quanto sostegno dare a un paese che sembrava votato alla sconfitta. Nei primi giorni dell'attacco, la Casa Bianca aveva addirittura cercato di fermare un accordo bipartisan dei senatori democratici e repubblicani per mettere sotto embargo il gas e il petrolio russi. Ma con il passare dei giorni è diventato chiaro che gli ucraini stavano resistendo e lo stavano facendo con successo. Il cambio di strategia americano è scandito da una serie “gaffes” di Biden: commenti fatti sul momento che però hanno risuonato in un’opinione pubblica scossa dalle immagini della guerra. Il 16 marzo, in risposta alla domanda di un giornalista, Biden aveva detto che Putin era un «criminale di guerra», mentre la posizione ufficiale della Casa Bianca sul tema restava ancora dubitativa. A fine marzo, durante la sua visita ufficiale a Varsavia, Biden aveva concluso il suo discorso con un improvvisato e apparentemente spontaneo: «Perdio, quell’uomo non può più restare al potere». 

Come ha scritto il Washington Post in una lunga analisi realizzata dopo aver parlato con più di 20 alti funzionari e legislatori, il ruolo di Biden nella crisi «è stato emotivo ed imprevedibile in alcuni momenti, studiato ed attentamente coreografato in altri, ma spesso centrale nell’organizzare la risposta dell’Occidente alla Russia».

Le conseguenze

Non è soltanto retorica, infatti: le parole di Biden hanno accompagnato un effettivo cambio di strategia. È come se la resistenza degli ucraini avesse aiutato non solo Biden a fare ciò che «emotivamente» avrebbe voluto fare, ma avesse permesso anche di realizzare un obiettivo strategico: intrappolare il regime di Putin in un conflitto impossibile da vincere e nel quale rischia di finire dissanguato.

La consacrazione di questa strategia è arrivata questa settimana, dopo la visita a sorpresa a Kiev del segretario di Stato Anthony Blinken e di quello alla Difesa Lloyd Austin. Quest’ultimo è stato il più esplicito nel dichiarare che l’obiettivo degli Stati Uniti è «una Russia indebolita» che non sia più in grado «di intraprendere azioni come l’invasione dell’Ucraina».

Si tratta di di una dichiarazione forte, che può facilmente essere letta come l’intenzione di rendere la Russia una potenza di secondo rango. Sono parole che Putin potrebbe sfruttare a suo vantaggio. Il dipartimento della Difesa ha precisato che Austin intendeva solo fornire Zelensky la «migliore mano negoziale possibile». Ma rimane il fatto che la strategia americana resta come minimo controversa, soprattutto in Europa occidentale.

Questo tipo di obiezioni sono incarnate dal presidente francese Emmanuel Macron, il più esplicito nel fare un puntuale controcanto a Biden. Per ognuno delle sue «gaffes» su criminali di guerra e genocidi, Macron ha risposto sulla necessità di non «fare escalation né nelle azioni né nelle parole». Con i successi ucraini e i crimini russi sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, la faglia strategica tra alleati rimane per il momento sottotraccia. Ma non è detto che le cose resteranno così se le fortune del conflitto dovessero cambiare. 

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