Il tribunale della Santa sede ha condannato in appello a nove mesi con pena sospesa e al risarcimento di 28.148 mila euro due attivisti di Ultima generazione, Ester Goffi e Guido Viero, per essersi incollati con le mani alla statua del Laocoonte all’interno dei musei Vaticani. Il gesto di protesta risale al 18 agosto del 2022 e aveva l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti della crisi climatica.

Secondo una relazione interna al Vaticano, i costi per la riparazione del danno sono stati di circa 15mila euro, ma durante il processo è emerso che è stata spesa una cifra minore. Gli ecoattivisti si sono difesi affermando che il loro intento non era quello di arrecare danno all’opera, per questo avrebbero utilizzato una colla più facilmente lavabile. Inoltre, nella loro azione hanno toccato solo il basamento dell’opera che a differenza del Laocoonte risale a un’epoca successiva.

«Io e Guido abbiamo fatto questa azione spinte da amore e cura, assolutamente senza violenza. Che cos’è la violenza? È rimanere indifferenti di fronte allo sfacelo, o è cercare una via per portare l’attenzione affinché il disastro venga arginato? Non abbiamo mai avuto intenzione di causare un danno, ma di lanciare un grido di allarme», ha detto Ester Goffi ai giornalisti dopo la sentenza.

Sul caso si è espresso anche l’intero movimento: «L’accanimento della Città del Vaticano nei confronti degli attivisti climatici è senza dubbio una sorpresa per i cittadini e le cittadine di Ultima Generazione, che comunque continuano a riconoscere nel ruolo di Papa Francesco una delle voci più coraggiose e fuori dal coro per quanto riguarda la sensibilizzazione delle persone rispetto all’emergenza climatica».

Nella sentenza di primo primo grado dello scorso 12 giugno, Guido Viero era stato condannato a due anni e cinque giorni, mentre Ester Goffi a due anni. Per entrambi una multa di tremila euro a testa. A quella sentenza hanno fatto seguito una serie di proteste da parte degli attivisti di Ultima Generazione. Negli ultimi anni il movimento ambientalista si è resto protagonista di una serie di azioni di protesta, non soltanto prendendo di mira opere artistiche all’interno di musei o in pubblica piazza, ma anche come l’interruzione del traffico cittadino.

La repressione del governo

Per cercare di limitare le azioni di protesta degli ambientalisti il governo Meloni, su iniziativa del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ha cercato di adottare misure più aspre e repressive. A fine gennaio la proposta del ministro è diventata ufficialmente legge. Il testo, oltre ad aumentare le pene già previste per il danneggiamento dei beni culturali ha introdotto altri due reati. Chi «distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui» potrà essere punito con la reclusione da 2 a 5 anni e con sanzioni da 20mila a 60mila euro (prima da 2.500 a 15mila euro). Chi «deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui» oppure «destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico», o chi mette a repentaglio la loro conservazione potrà ricevere multe da 10mila a 40mila euro (prima da 1.500 a 10mila euro).

L’altra condanna

Quella di ieri è la seconda condanna ricevuta dal gruppo ambientalista dopo quella dello scorso 5 marzo quando il tribunale di Roma ha disposto per tre attivisti, poco più che ventenni, otto mesi di reclusione e un risarcimento di 60mila euro. Lo scorso 2 gennaio i tre attivisti avevano gettato sulla facciata di palazzo Madama, sede del Senato, della vernice rossa lavabile. Il difensore degli imputati aveva fatto notare che il gesto di protesta era di natura ideologica ed è stato portato avanti con strumenti che non recano danni permanenti. Infatti, per la rimozione della vernice dalla facciata del senato e la sua ripulitura sono stati spesi 1.400 euro.

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