Dagli chef, alle grandi fiere internazionali, la pasticceria, sempre più a corto di materie prime è costretta a rinnovarsi e ripensarsi per un nuovo modello etico e sociale.
Dal momento che un terzo delle emissioni globali proviene dal food system, viene naturale interrogarsi sul futuro di una nicchia che fa dell’uso di prodotti per lo più inaccessibili a chilometro zero le proprie materie prime. A farsi carico della risposta sono le scuole di pasticceria, i cui studenti sono sempre più attenti alle preoccupazioni della società in termini di sostenibilità e responsabilità sociale.

Un tema necessario

Promuovere la sostenibilità come pasticceria implica considerare attentamente l’impronta ambientale delle proprie attività e impegnarsi attivamente per minimizzarla. Questo coinvolge la selezione di ingredienti eco-sostenibili, l’utilizzo di imballaggi e contenitori biodegradabili, la limitazione degli sprechi alimentari e l’adozione di pratiche produttive rispettose dell’ambiente.
Essere una pasticceria sostenibile non solo contribuisce a ridurre l’impatto ambientale dell’industria alimentare, ma può anche attrarre una clientela sempre più sensibile alle questioni ecologiche.

La consapevolezza ambientale tra i consumatori è in costante crescita, con sempre più italiani che cercano di effettuare scelte responsabili per il bene della propria salute e del pianeta. Allo stesso tempo, la pasticceria vive di regole proprie slegate al mondo della cucina. Ad esempio, comprare frutta fresca da trasformare in confettura o polpa da utilizzarsi in un secondo momento, non sarebbe possibile.

Questo spiega perché il 90 per cento della frutta utilizzata provenga da aziende specializzate i cui prodotti, comprati dalle singole attività dolciarie, vengono poi utilizzati nel lungo periodo. Per quanto concerne poi la base della pasticceria (farina, latte, zucchero, burro e uova) sfortunatamente, costi e quantitativi richiesti per soddisfare la domanda dei consumatori, soprattutto nel periodo di Natale, sono impossibili da sostenere da un singolo produttore estraneo alle dinamiche della grande distribuzione. La pasticceria diventa quindi economicamente sostenibile solo sulle grandi quantità. 

Quantità e sostenibilità

Pensiamo a un cornetto, la cui preparazione richiede due o tre giorni di lavoro. Il prezzo medio di un cornetto in Italia, oggi, si aggira intorno agli 80 cent. Difficilmente un cliente accetterebbe mai di spendere più di 1,50 euro.

«Per fare business, tutte le pasticcerie sono costrette a fare grandi numeri»: a parlare è Matteo Berti, docente dell’Alma, la scuola internazionale di cucina italiana. Le entrate che fa un ristorante con trenta coperti, una pasticceria le fa vendendo almeno mille brioches. Le cose si complicano ancora di più quando si tratta di prodotti difficilmente reperibili in Italia. Le fave di cacao coltivate in sud America, per esempio, difficilmente saranno accessibili se non grazie al grande gioco della globalizzazione.

Certo, esistono dei cioccolatieri italiani che lavorano la materia prima, «ma quale pasticcieria può permettersi di fare pralineria comprando cioccolato da un piccolo produttore quando mi servono quintali di praline per avere un margine di guadagno concreto?».

Un ristorante, facendo invece leva sull’esclusività, svincola questo limite strutturale. Detto questo, «la ricerca della materia prima ovviamente è il cardine di tutto: ultimamente anche le stesse industrie che fanno cioccolato hanno incominciato a incoraggiare i campesinos sudamericani perché coltivino prodotti autoctoni». Esistono già associazioni no profit che, slegate dalle dinamiche che vogliono battere il cioccolato all’asta, stanno formando culturalmente i produttori locali al fine di riconoscere ai campesinos ecuadoriani il giusto compenso per il lavoro svolto.

Non si può demonizzare 

Berti non ha alcun dubbio: un giovane pasticcere con una forte attenzione per la sostenibilità deve capire veramente qual è la logica del mercato. Il segreto sta nel saper formarsi una cultura culinaria completa. «La battaglia contro il saccarosio», insiste, «è giusta, ma fino a un certo punto». Stravolgere un dolce non è infatti così facile: si tratta di saper perfettamente bilanciare una serie di elementi chimici che non solo possono impattarne il gusto, ma anche la sua salubrità.

«L’altro aspetto che la pasticceria deve tenere in considerazione è che ci sono degli elementi tecnici e delle reazioni chimiche che purtroppo solo l’industria riesce a dominare nel modo corretto». Per quanto si provi a fare dei dolci meno dolci, un panettone non lievitato difficilmente sarà digeribile.

Esiste ormai un’attenzione, anche nei concorsi internazionali, per la ricerca di nuove materie prime e approcci innovativi, anche nelle scelte di ingredienti alternativi. Tuttavia, se si volesse veramente immaginare una pasticceria sostenibile, riflette Berti, «si dovrebbe entrare in una dinamica di stagionalità».
Il riferimento ancora una volta è alle regole della cucina: con la creazione di un menù stagionale, i cuochi riescono infatti a combinare esclusività e risparmio. «La vera sostenibilità è quella di diventare un po’ più specifici nel momento ideale del prodotto». A Parigi, la pralineria di Jacques Genin è riuscita nella sfida, forte del nome di uno dei cioccolatieri più famosi al mondo e di una clientela altamente ricercata.
Allo stesso tempo esiste un limite formale legato alle caratteristiche dei singoli ambiti della pasticceria: gelateria, cioccolateria, cremerie e tutte le altre specializzazioni sono infatti mondi a sé stanti per cui diventa difficile non snaturare un singolo prodotto. «Il gelato ha bisogno di caratteristiche proprie per rimanere cremoso e a temperatura. Senza lo zucchero non sarebbe possibile».

L’etica del lavoro

La nuova generazione sta cercando di fare di tutto per ripensare il mestiere. Da pedagogo Berti nota che «i giovani chiedono ore di lavoro più giuste, anche a costo di una minore produttività». Mantenendo dunque un laboratorio di media struttura, le nuove generazioni di pasticceri puntano a trovare il giusto mezzo tra entrata economica e rispetto dell’ambiente, unica alternativa possibile per il futuro del mestiere. «In origine, le pasticcerie erano laboratori artigianali che offrivano dolci pensati esclusivamente con prodotti locali».

Il ritorno all’artigianalità potrebbe dunque essere la risposta per salvaguardare un mestiere altrimenti destinato a soccombere alla crisi ambientale. «I ragazzi sono sempre più proiettati verso una pasticceria del risparmio», riflette Berti, «che non gli permetterà mai di fare il grande salto, ma che salvaguardi l’etica del lavoro grazie a una tecnologia all’avanguardia e minori quantitativi di prodotto».

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