Il dato fa impressione: 551 morti di Covid, il dato più alto degli ultimi due mesi. Come se la campagna vaccinale non facesse ancora effetto. Appunto. Il dato più significativo è che, come al solito, oltre la metà dei morti sono concentrati nelle stesse regioni di sempre: Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. L’impressione è che chi orchestra la campagna vaccinale non guardi le statistiche, ed è strano. Nel 1861 una delle prime leggi dell’Italia unita istituì la Divisione di statistica generale. I padri fondatori avevano chiara l’idea che non si possono governare decine di milioni di persone senza i dati sui quali decidere. Tantomeno in materia sanitaria. Il disastro del piano vaccinale suggerisce invece che a 160 anni di distanza abbia prevalso l’idea di andare a occhio o, peggio, di seguire l’onda delle categorie professionali che hanno fatto a gara per autodefinirsi “a rischio”.

Il piano vaccinale “a occhio”

La direttiva nazionale di vaccinare prioritariamente le categorie a rischio è stata affidata alla libera interpretazione delle regioni, con risultati da commedia dell’assurdo se non fossero più adatti a un film horror: se le dosi di vaccino Covid finora disponibili fossero state concentrate sulla popolazione più anziana, sarebbero state salvate alcune centinaia delle ottomila vite perse nel mese di marzo.

Se il piano vaccinale fosse stato impostato con un occhio ai numeri, avrebbe tenuto conto di alcune evidenze. Tra i primi centomila morti della pandemia 87mila avevano più di 70 anni. E il 60 per cento di tutti i morti vivevano in quelle stesse quattro regioni del nord che in tutto hanno il 40 per cento della popolazione. Il secondo gruppo di quattro regioni con più morti comprende Lazio, Campania, Toscana e Sicilia, che hanno contato solo un quinto dei morti pur avendo un terzo degli abitanti. Questi numeri dovevano suggerire di “ammassare le truppe” nelle quattro regioni del nord, per vaccinare lì, al più presto, tutti gli over 70. Invece le dosi di vaccino sono state distribuite tra le regioni in base alla popolazione anziché in base alla mortalità. Non stiamo parlando di piccoli numeri: gli over 70 sono oltre 10 milioni in Italia e quindi circa 4 milioni nelle quattro grandi regioni del nord.

Se vaccinare tutti avesse richiesto poche settimane o qualche mese, tutto ciò avrebbe avuto un’importanza relativa. Ma, se si ragiona in termini di molti mesi o di un anno o più, allora è decisivo (e a questo punto urgentissimo) il calcolo che non è stato fatto: la statistica ci dice che un lombardo over 70 ha circa il doppio di probabilità di morire di Covid rispetto a un suo coetaneo marchigiano, quindi che la dose mandata in Lombardia ha un’efficacia doppia di quella mandata nelle Marche. Cosa che ai marchigiani può suonare antipatica ma, dovendo scegliere dove allocare le poche dosi disponibili, la strada dovrebbe essere obbligata.

Invece si è fatto il contrario. Le dosi sono state distribuite alle regioni in base al numero di abitanti come se il rischio fosse uguale per tutte, poi le regioni hanno deciso a naso, ciascuna in modo diverso, chi erano i soggetti a rischio da vaccinare per primi. «Alcune sono state severe, alcune più allegre», ironizzano negli uffici del commissario Francesco Paolo Figliuolo, ammettendo di non avere il potere di interrompere lo scandaloso andazzo. Sono stati vaccinati qui gli avvocati e i dipendenti dell’università, lì gli impiegati della regione e gli insegnanti in Dad, e poi vigili urbani, poliziotti, psicologi, volontari delle ambulanze.

In tutto i lavoratori dei settori non sanitari hanno ricevuto 1,3 milioni di dosi che hanno prodotto nella loro fascia di età prevalente (dai 20 ai 60 anni) un decremento di mortalità nullo, visto che era già rasoterra anche senza vaccino: un over 80 senza vaccino ha il 7-9 per cento di probabilità di morire se viene infettato, i ventenni hanno invece un tasso di letalità dello 0,02, i cinquantenni dello 0,5 per cento.

E abbiamo vaccinato i giovani, naturalmente con criteri fantasiosi. I lavoratori non sanitari vaccinati in Campania sono stati 160mila, nel Lazio la metà, anche se le due regioni hanno lo stesso numero di abitanti. E la Toscana, che ha due milioni di abitanti meno del Lazio, ha vaccinato più professionisti. Qualcuno a Roma sa dire il perché? No, perché le regioni fanno come gli pare. Gli over 70 che, ricordiamolo, hanno avuto l’87 per cento dei morti finora, hanno ricevuto solo il 40 per cento delle dosi di vaccino somministrate. Secondo i dati riportati sul sito della presidenza del Consiglio gli over 80 hanno ricevuto 2,3 milioni di vaccino sugli otto milioni somministrati, il 29 per cento.

I settantenni dimenticati

Quelli da 70 a 80 anni non sono nemmeno calcolati perché nessuno si è ricordato di guardare la statistica e scoprire che tra loro si sono contati il 24 per cento dei morti: il piano vaccinale si è dimenticato di indicarli tra le categorie a rischio, per cui gli sono passati davanti gli avvocati, i cancellieri dei tribunali e gli impiegati amministrativi delle Asl.

Il sito del governo ci informa infatti che sono stati vaccinati 2,8 milioni di operatori sanitari e socio-sanitari. Secondo l’Istat i lavoratori della sanità pubblica (dai chirurghi agli uscieri) sono 650mila. Nessuno ha chiesto alle regioni chi sono gli altri vaccinati. Se il governo imponesse alle regioni un cambio di passo drastico e la concentrazione di tutte le dosi disponibili sugli over 70, anche ai ritmi attuali, senza fare conto sulle prodigiose accelerazioni promesse e confidando nel buon funzionamento dei vaccini, entro la fine di aprile risulterebbero sventati l’87 per cento dei decessi.

Se il governo si decidesse a guardare le statistiche anziché i sondaggi l’obiettivo sarebbe a portata di mano.

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