Il fantasma dell’immigrazione continua a dettare l’agenda del governo Meloni. Ieri il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni ha annunciato che l’esecutivo intende «azzerare la protezione speciale», anticipando la volontà di inserire norme stringenti al cosiddetto «decreto Cutro». Una proposta che avrebbe già trovato l’ok da parte di Fratelli d’Italia, e che si tradurrebbe in una forte stretta sui permessi concessi ai migranti che approdano in Italia.

Nel frattempo, Meloni e la destra hanno deciso di trasformare, almeno per i prossimi sei mesi, il fenomeno dei disperati che arrivano sui barconi in un’emergenza di stato («solo uno strumento tecnico», ha detto il ministro Piantedosi), che presto dovrebbe essere gestita da Valerio Valenti, il prefetto in pole per diventare commissario speciale.

Domani ha già raccontato come la «carriera del prefetto Valerio Valenti» è stata favorita dal potente ex sottosegretario berlusconiano, Antonio D’Alì, ora in carcere per mafia perché ritenuto un complice della famiglia Messina Denaro. Un dettaglio biografico che potrebbe creare ora più di un imbarazzo al governo.

Con D’Alì

La carriera di Valenti ha infatti, nel 2001, uno snodo importante quando viene nominato viceprefetto. In quell’anno è arruolato nel governo Berlusconi Antonio D’Alì, uomo forte di Forza Italia in Sicilia, che diventa sottosegretario all’Interno e che aveva scelto come capo della segreteria particolare proprio Valenti. Erano gli anni nei quali il complice politico della mafia, D’Alì, poi condannato a sei anni per queste relazioni, dava la caccia ai fedeli servitori dello stato a lui invisi, tra questi c’era anche un poliziotto: Giuseppe Linares, dirigente della squadra mobile di Trapani, negli anni 2000, non gradito al politico di Forza Italia. In questa manovra studiata da D’Alì entra in gioco Valenti.

Il suo ruolo, sebbene non sia mai stato indagato, è descritto nelle carte giudiziarie sull’ex senatore. Nella misura di prevenzione a carico di D’Alì, troviamo alcune telefonate tra Valenti e un poliziotto della squadra mobile, Emiliano Carena. Risalgono al 2004. «Nel corso della prima conversazione il Valenti - definito dalla difesa del D’Alì all’udienza del 27.9.2018, «persona vicina al D’Alì» - e lo stesso Carena. Una in particolare è degna di nota, perché fa emergere la consapevolezza di un progetto per trasferire il poliziotto sgradito. In particolare il sottosegretario aveva chiesto un appuntamento con il capo della polizia, all’epoca il prefetto Giovanni De Gennaro. Valenti aveva accompagnato il politico.

«Al Senatore gli ho detto «ora lei va dal Capo .. mi raccomando non gli chiedere .. il trasferimento di cosa» .. «no, abbiamo concordato le cose del trasferimento di Linares»...gli ho detto: «Non fare questo errore perché ti metti sotto scopa». In pratica Valenti, intercettato, riferisce il suggerimento dato a D’Alì: all’incontro con De Gennaro vanno usate cautele maggiori, di informarsi su Linares, ma di non dire esplicitamente che desiderava il suo trasferimento. Valenti aggiungeva: «Quindi questa cosa (del trasferimento, ndr) .. gli interessa come partito ... non è una cosa che interessa solo al senatore». Di certo il prefetto Valenti mostra una certa conoscenza dei segreti del politico.

Le pressioni sul prefetto

Non c’era solo Linares da trasferire, ma anche Fulvio Sodano, prefetto a Trapani, negli anni 2000, diventato presto, per la sua integerrima condotta, nemico giurato dell’allora sottosegretario di Forza Italia. Anche in questa manovra fatta di pressioni e accerchiamenti spunta il nome di Valenti. «Valenti era il suo fedelissimo, era a conoscenza di tutto, quando per ovvie ragioni si interrompe il dialogo tra Sodano e D’Alì, lui diventa il collegamento per le comunicazioni. Era informato sulle manovre di D’Alì, i progetti di trasferire le persone scomode», racconta a Domani una fonte che preferisce l’anonimato. Una storia italiana, nella quale a carico di Valenti, prefetto della Repubblica, non c’è stata alcuna conseguenza giudiziaria. Resta il tema dell’opportunità. L’opportunità di aver lavorato, agito, diventandone uomo di fiducia e assecondandone i desideri, di D’Alì mentre questo tramava contro i fedeli servitori della stato.

D’Alì è stato condannato definitivamente a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nella sentenze i giudici ripercorrono anche il trasferimento del prefetto Sodano, inviso ai mafiosi, perché strenuo difensore della società Ericina Calcestruzzi, confiscata e in mano pubblica. Il clan si era perciò mosso e grazie anche all’interessamento del senatore. All’epoca D’Alì era appena diventato sottosegretario all’Interno, da lui dipendevano «nomina e trasferimento del prefetto e del questore», diceva il politico a Sodano. «D’ Alì... aveva continuato ad esercitare “indebite interferenze” tramite il suo segretario dott. Valenti», è scritto nella misura di prevenzione speciale a carico di D’Alì, firmata dal tribunale di Trapani nel novembre 2018.

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