La donna, residente da 20 anni a Varela, era stata fermata il 18 aprile in circostanze mai chiarite: al centro alcune azioni di sabotaggio ai danni delle strutture di un progetto cinese di sfruttamento delle sabbie pesanti. Sul suo reale coinvolgimento, però, non c’erano prove. Oggi l’annuncio della sua scarcerazione, arrivato sulla sua pagina Facebook
«Sono libera, sono molto stanca, ma sto bene. Sono stati dieci giorni e notti che sembravano mesi, la cosa più difficile è stata essere rinchiusa e sapere di essere innocente»: con queste parole Valentina Cirelli - la cittadina italiana residente da vent’anni a Varela, in Guinea-Bissau, e arrestata il 18 aprile scorso in circostanze non ancora chiarite – ha annunciato sui social la sua scarcerazione.
«Voglio ringraziare dal profondo del sostegno che ho ricevuto da tutti voi, non mi sono mai sentita sola. Grazie per le preghiere, gli auguri, grazie alla console che ha spostato le montagne per visitarmi... A breve racconterò la mia storia, ora voglio solo riposare. La verità vince sempre sulle congetture», si legge ancora nel post.
La donna, originaria di Lerici (La Spezia), è presidente dell’associazione ambientalista Tchon Tchomano e proprietaria dell'hotel Kassumayaku. Il suo arresto, insieme a quello di altri dieci attivisti locali, sarebbe stato legato ad alcune azioni di sabotaggio ai danni delle strutture di un progetto cinese di sfruttamento delle sabbie pesanti di Nihinquin, a Varela, al confine con il Senegal. Nello specifico, secondo quanto si apprende, tali azioni avrebbero portato all’incendio di alcuni macchinari delle miniere di zircone.
Eppure, contro Cirelli – come precisato nei giorni scorsi dai suoi avvocati – non c’era alcuna prova. Nella serata di lunedì 28 aprile, poi, l’annuncio della sua liberazione. In attesa che la diretta interessata – come promesso da lei stessa nel post sulla sua pagina Facebook – racconti la propria versione dei fatti.
L’arresto
Tutto era iniziato venerdì 18 aprile, giorno dell’incendio nelle strutture di sfruttamento di sabbie pesanti a Nhinquin. Poche ore dopo, verso le 18:30, otto soldati hanno raggiunto Cirelli direttamente nel suo hotel e le hanno chiesto di seguirli al posto militare di Varela. Nonostante la sua iniziale opposizione, la donna è stata costretta a seguirli senza poter portare con sé il cellulare. Poi il trasferimento nella città di Ingoré, dove è stata trattenuta per essere ascoltata dagli inquirenti.
Dopo una notte in cella, un nuovo trasferimento, stavolta in una stazione di polizia a Bissau. Domenica 20 aprile la possibilità di una visita breve da parte di un avvocato e di un amico, oltre che di un breve colloquio con il padre e della visita del Console onorario d’Italia.
Lunedì 21 aprile Valentina è stata trasferita al ministero dell’Interno, ma non ha potuto parlare con i suoi avvocati. Da quel momento, i suoi legali non erano più riusciti a incontrarla. La Farnesina, l’ambasciata d’Italia a Dakar e il corrispondente consolare a Bissau hanno continuato a seguire il suo caso. Fino alla liberazione di Cirelli.
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