Valentina Cirelli, cittadina italiana residente da vent’anni nella cittadina di Varela in Guinea-Bissau, è stata arrestata venerdì 18 aprile. La donna, originaria di Lerici, è presidente dell’associazione ambientalista Tchon Tchomano e proprietaria dell'hotel Kassumayaku. 

Da lunedì 21 aprile i suoi avvocati non stanno riuscendo a comunicare con lei. Il suo arresto sembrerebbe essere legato a un incendio alle strutture di un progetto cinese di sfruttamento delle sabbie pesanti di Nihinquin. 

L’arresto

Tutto è iniziato venerdì mattina, quando un incendio è divampato nelle strutture di sfruttamento di sabbie pesanti della località di Nhinquin. Poche ore dopo, verso le 18:30, otto soldati hanno raggiunto Cirelli direttamente nel suo hotel e le hanno chiesto di seguirli al posto militare di Varela.

Cirelli ha inizialmente ha cercato di opporsi, ma è stata costretta ad accompagnarli, non riuscendo a portare con sè né cellulare né occhiali, che le sono stati portati poco dopo dal compagno insieme ad alcuni vestiti. Al posto militare le è stato comunicato che sarebbe stata trasferita nella città di Ingoré per essere trattenuta e ascoltata dalla Procura della Repubblica.

Qui ha trovato già detenuti il capo villaggio di Carruai, quello di Yal e quattro anziani del comitato di Cassolol, tutti con problemi di salute. Altre dodici persone — tra cui donne e giovani — risultano arrestate, ma al momento non sono note le loro identità.

Le prime ore in stato di fermo

Cirelli ha trascorso la notte tra venerdì e sabato in una cella a Ingoré, insieme a una donna di Nhinquin. Il giorno successivo, nel tardo pomeriggio, entrambe sono state trasferite sotto scorta a Bissau, nella seconda stazione di polizia. L’ultimo messaggio inviato da Valentina è delle 19:58 di sabato, prima che il suo telefono esaurisse la batteria. 

Domenica 20 aprile ha potuto ricevere una visita breve da parte di un avvocato e di un amico, che le ha portato vestiti, cibo e articoli per l’igiene. Le è stato concesso anche un rapido contatto telefonico con il padre, prima che il cellulare le venisse nuovamente confiscato. Il Console onorario d’Italia le ha fatto visita rimanendo con lei per circa un’ora.

Nessun contatto con i legali

Lunedì 21 aprile, Valentina è stata trasferita al ministero dell’Interno, ma non ha potuto parlare con i suoi avvocati, che ha solo salutato da lontano. Dopo l’incontro al ministero, è stata riportata nella stessa cella della stazione di polizia. Nel frattempo, un’amica ha provato a consegnarle generi di prima necessità, riuscendo però solo ad abbracciarla.

Martedì 22 aprile i legali si sono recati nuovamente alla stazione di polizia, ma gli agenti hanno impedito loro di parlare con Valentina e gli altri arrestati, riferendo che si trattava di «ordini superiori». Hanno quindi provato a presentare una richiesta di Habeas Corpus (il principio che tutela l'inviolabilità personale e il conseguente diritto dell'arrestato di conoscere la causa del suo arresto e di vederla convalidata da una decisione del magistrato, ndr) che è stata inizialmente rifiutata e, solo in un secondo momento, il documento è stato accettato e consegnato al giudice istruttore penale (Jic) per la valutazione.

Una detenzione ancora senza spiegazioni  

Una donna portoghese che conosce bene Valentina Cirelli e ha chiesto di restare anonima ha raccontato al giornale «Jornal de Noticias» che «Valentina è nota per il suo amore per Varela e per il suo contributo alla comunità attraverso un progetto di turismo sostenibile radicato nella cultura locale». «Ciononostante è stata arrestata dalle autorità di Ingoré per il solo fatto di essere una figura attiva e un leader della comunità. Un chiaro tentativo di mettere a tacere chi difende la terra, il popolo e i diritti umani. Non possiamo rimanere in silenzio». 

Fonti della Farnesina hanno riferito all’Adnkronos che la situazione è seguita con particolare attenzione dall’ambasciata d’Italia a Dakar e dal corrispondente consolare a Bissau, i quali restano in costante contatto con lei. Le autorità italiane hanno già interpellato quelle guineane per ottenere chiarimenti sulla sua situazione legale e per assicurarsi che i suoi diritti vengano pienamente rispettati. 

A una settimana dall’arresto, non esistono ancora comunicazioni ufficiali da parte delle autorità guineane e nessuna accusa formale è stata resa pubblica. 

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