Sta circolando in queste ore un video che mostra detenuti in rivolta che sfasciano sedie, spaccano vetri, distruggono ogni cosa a disposizione. Al video viene attribuita la data del 5 aprile 2020 e da più parti, anche su alcune testate online, è presentato come una documentazione delle violenze commesse dai detenuti di Santa Maria Capua Vetere il giorno prima del pestaggio da parte della polizia penitenziaria.

Le violenze dei reclusi, secondo questa narrazione, avrebbero provocato l’orrenda rappresaglia del 6 aprile della quale Domani ha dato notizia già dallo scorso settembre. Il problema è che questo video non ha niente a che fare con i fatti di Santa Maria Capua Vetere e non è stato registrato il 5 aprile.

Quel video risale alla protesta violenta in un carcere emiliano e risale al marzo del 2020. Nelle rappresentazioni fuorvianti che girano si parla di detenuti che occupano il reparto Nilo, quello poi oggetto del pestaggio generalizzato, e compiono violenze e devastazioni. Una falsificazione alla quale hanno abboccato alcuni giornali in rete e molti utenti sui social. Il video gira in alcune chat della polizia penitenziaria.  

«Dalle immagini della videosorveglianza disponibili (si precisa che i detenuti della terza sezione procedevano a oscurare le telecamere interne durante la grand parte il barricamento), sia dalle chat afferenti a quella giornata, non era stato consumata alcuna aggressione da parte dei detenuti, né danneggiato il mobilio, eccezion fatta per un tavolo all’interno della quinta sezione», scrive il giudice Sergio Enea in merito a quanto accaduto, il 5 aprile, nel carcere di Santa Maria. 

C’è anche un’altra notizia, in questo caso sbagliata, che è girata in rete e sui giornali. Ieri, a seguito dell’intervista a un detenuto picchiato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile, si faceva riferimento al direttore con il manganello in mano mentre avveniva l’operazione, definita dal giudice «orribile mattanza».

Il detenuto poi si è scusato, ma la notizia è girata per ore ed era facilmente verificabile. La direttora del carcere, infatti, si chiama Elisabetta Palmieri ed era assente, per malattia, il giorno del pestaggio. Gli inquirenti, infatti, ritengono quella perquisizione arbitraria e abusiva proprio perché eseguita senza alcun provvedimento del direttore del carcere, unico titolare del potere. Un provvedimento che non c’era perché la direttora era assente. 

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