Il presidente della regione Campania chiamava il suo ex dirigente comunale, ancora in servizio nel municipio, per sollecitare una delibera da 21 milioni di euro sul progetto a lui molto caro e approvato quando lui era il sindaco della città. Ancora più curioso che una bozza sia stata sottoposta all’imprenditore interessato all’affare, il più noto costruttore della provincia. A Salerno può accadere anche questo. Nella città di Vincenzo De Luca, il sindaco eterno.

Il potente esponente del Pd, presidente della regione, è stato primo cittadino di Salerno dal 1993 al 2001, dal 2006 al 2015, diciassette anni di dominio incontrastato. Da oltre sette anni è il presidente della regione Campania. Ma le carte giudiziarie inedite ottenute da Domani confermano quanto sia ancora forte la sua influenza sull’amministrazione cittadina, ufficialmente gestita dal suo successore, Vincenzo Napoli.

Il metodo con cui De Luca interferisce e detta ancora legge in città è svelato nei dettagli da alcune informative di polizia. La conferma è nelle indagini recenti della procura della Repubblica di Salerno guidata da Giuseppe Borrelli. Favori e appalti, ras delle tessere e dei voti come Franco Picarone e Nino Savastano, camorra, politica e le cooperative locali di Fiorenzo Zoccola, grande sostenitore di De Luca, in affari con la pubblica amministrazione. Alle indagini note, in una di queste la posizione di De Luca è stata archiviata con motivazioni non del tutto indolori, si affiancano rapporti investigativi del 2018 e del 2016 sul “sistema”, per molto tempo rimasti in un limbo.

Il caso Salerno

Prima Partito comunista, poi Pds, infine il Pd, che De Luca ha portato al governo della regione, ottenendo anche un secondo mandato nel 2022: in tutti questi anni di amministratore, amatissimo dai suoi e odiatissimo dagli avversari, ha costruito a Salerno una rete di capibastone che ha resistito a cambi di segreteria, indagini, scandali e conflitti di interesse.

Ora che la neo eletta segretaria del Pd, Elly Schlein, ha promesso rinnovamento all’interno dei democratici con l’obiettivo di arginare il potere dei cacicchi e dei ras delle clientele, Salerno è diventato il caso più spinoso per la segretaria.

In questa provincia Schlein ha perso il confronto con Stefano Bonaccini, appoggiato da De Luca e i suoi seguaci. Il presidente della regione Emilia-Romagna, sconfitto alle primarie, ha vinto a Salerno e dintorni con il 75 per cento. Grazie alla macchina del consenso di De Luca, messa a punto negli ultimi 30 anni anche attraverso i rapporti con imprenditori e portatori di voti sospettati di frequentazioni con la camorra. Qui dunque, nel granducato salernitano, potrebbe consumarsi il primo scontro interno al nuovo Pd: De Luca garantisce che si candiderà per il terzo mandato in regione, a prescindere dai progetti di rinnovamento di Schlein. Ma la segretaria ha in mente ben altri progetti per la Campania.

Il costruttore e il presidente

Tra gli imprenditori di maggior successo che a Salerno hanno realizzato opere discusse, c’è Elio Rainone. La sigla più nota del gruppo industriale di cui è a capo è la Rcm costruzioni, controllata dalla Alan holding di famiglia. I confini provinciali e regionali sono sempre stati stretti alla famiglia Rainone, che lavora in tutta Italia su importanti appalti nazionali.

Rainone, fin dall’epoca in cui De Luca era sindaco, ha goduto della massima fiducia. Ha gestito gli appalti più importanti, le riqualificazioni urbanistiche milionarie che l’allora sindaco ha sponsorizzato per cambiare il volto della città. Il Crescent, piazza della Libertà, palazzo delle Poste, l’impianto di compostaggio, il porto di Salerno. Investimenti a sei zeri. E sono solo alcune delle opere realizzate con la Rcm costruzioni, che oltre a Elio vede tra i titolari il fratello, Eugenio Rainone (finito in un’indagine a Napoli per corruzione, ha chiesto la messa alla prova così da sfilarsi dal processo contro gli altri imputati, tra questi anche un magistrato della procura di Salerno).

L’ultimo intervento di pregio realizzato da Rainone riguarda torri di 18 piani e 50 metri nate sull’ex area Marzotto, litorale est della città. Appartamenti lussuosi, che hanno un costo al metro quadro elevato. Meno però degli immobili del Crescent che Rainone ha venduto a 8mila euro al metro quadro.

Sul complesso residenziale Crescent c’è stato un processo. Il presidente De Luca è stato assolto così come gli altri imputati. L’ultimo filone aperto è in corso di dibattimento, l’imputata è eccellente: la compagna del presidente, Maria Maddalena Cantisani, dirigente del settore urbanistico del comune, accusata di irregolarità nella deviazione del torrente Fusandola fatta per realizzare piazza della Libertà, fiore all’occhiello del progetto Crescent. Su questo piazzale lambito dal mare, infatti, si affacciano i balconi del complesso residenziale a mezzaluna.

Crescent e piazza della Libertà hanno consolidato il rapporto di stima tra Rainone e De Luca. Per l’imprenditore è stato un ottimo affare, per l’allora sindaco un’opera che dava lustro alla città, nonostante le critiche degli ambientalisti. C’è un documento ottenuto da Domani che fotografa questa sinergia. Si tratta di una serie di conversazioni del 2018 tra De Luca e il suo allora fedelissimo Alberto Di Lorenzo, dirigente del comune di Salerno e nello staff del sindaco Napoli, successore di De Luca. Di Lorenzo, dopo una breve parentesi romana, è rientrato nella sua città a dirigere l’ufficio Tributi. Nei dialoghi intercettati, parte di una vecchia indagine terminata con un’archiviazione, Di Lorenzo e il presidente della regione discutono di una delibera di giunta su alcuni fondi regionali destinati al completamento di piazza della Libertà.

«Ma a piazza della Libertà il finanziamento non ci sta ancora, che cazzo è questa cosa?», così De Luca il 6 luglio 2018. Quanto interesse per una piazza cittadina da parte di un presidente di regione, verrebbe da pensare. Di Lorenzo rispondeva spiegando che l’iter era in corso. De Luca alterato, con un linguaggio rude, chiedeva di fare presto. Alla fine, scrivono gli investigatori, «sull’argomento dell’ultimazione dei lavori di piazza della Libertà, nell’evidenziare che la questione è una evidente criticità per il presidente della regione Campania, probabilmente anche legata alle sue vicende giudiziarie connesse all’opera pubblica, forniscono prova dell’evidente pressione esercitata dal De Luca sull’amministrazione comunale di Salerno con la richiesta di adozioni di provvedimenti che consentano di ultimare in maniera più spedita e probabilmente per sottrarre a controlli e verifiche la regione Campania passando addirittura attraverso anche il “benestare” degli stessi imprenditori che stanno eseguendo i lavori».

Dalle intercettazioni si scopre che la bozza di delibera sarebbe stata sottoposta all’imprenditore Rainone, direttamente interessato ai lavori di piazza della Libertà. «Lo escludo categoricamente», replica Di Lorenzo a Domani, «sarebbe una cosa gravissima, che io personalmente non ho fatto». Di Lorenzo smentisce la ricostruzione degli investigatori. La delibera serviva a individuare la destinazione dei fondi “retrospettivi”, cioè risorse europee che la regione trasferiva al comune quale rimborsi di altri finanziamenti, in questo caso 21 milioni. «Io sostenevo che dovevano essere usati per la manutenzione generale della città, poi però la decisione è stata politica: usarli tutti per completare il progetto di piazza della Libertà», dice a Domani. Un progetto, però, molto caro a Rainone e al presidente della regione. «Il costo della piazza è lievitato tantissimo, credo abbia toccato almeno 60 milioni», aggiunge Di Lorenzo.

I detective però non avevano dubbi. La delibera sarà poi approvata dalla giunta deluchiana di Salerno il 13 luglio 2018. «La gravità del fatto è data dalla circostanza che una delibera viene concordata direttamente con l’imprenditore avvantaggiato». Nella stessa informativa si segnala poi un incontro privato e documentato dalla Guardia di finanza tra De Luca e Rainone presso gli uffici del genio civile di Salerno.

Contattato da Domani, Rainone dice di non ricordare né la delibera che Di Lorenzo gli avrebbe sottoposto, né l’incontro con De Luca al genio civile. «Con Di Lorenzo non ho mai parlato, non so di cosa parla, non faccio politica, ma l’imprenditore». Sull’incontro con De Luca? «Ho difficoltà a ricordarmi cosa ho mangiato ieri, lei mi chiede se ho incontrato De Luca nel 2018? Non ricordo». Abbiamo chiesto anche al presidente, tramite il suo portavoce, se ricordasse della delibera sottoposta a Rainone e perché fosse stata seguita una procedura così bizzarra. Nessuna risposta.

Tavolino a tre gambe

A Salerno il sistema di potere che ha governato la città si è retto su quello che, dopo il terremoto in Irpinia del 1980, è stato chiamato il “tavolino a tre gambe”. Una coda giudiziaria c’è stata e vede imputati per corruzione il consigliere regionale, Nino Savastano, e il re delle coop, Fiorenzo Zoccola. C’è molto altro da raccontare, fatti che non hanno avuto sviluppi giudiziari, ma che pongono una questione di opportunità politica sul granducato di Salerno.

Le informative che hanno dato forma alla recente inchiesta sulle cooperative, raccontano in maniera chiara questo triumvirato che ha garantito a De Luca di regnare per tre decenni. La Direzione investigativa antimafia ha ricostruito, in un rapporto del 2016, il reticolo d’interessi e i rapporti tra politici, imprenditori e camorristi. Nessuno, men che meno De Luca, sul quale non si appuntano incontri e neanche contatti, è stato indagato per questi fatti. Anche perché, quando la procura aveva chiesto l’autorizzazione alle intercettazioni sui consiglieri regionali Franco Picarone e Savastano, portatori di voti del presidente, non l’ha ottenuta e addio verifiche sul fronte collusione con i clan. De Luca neppure su questa commistione, sollecitato dal nostro giornale, ha voluto commentare.

I documenti che Domani ha letto aiutano a smontare uno dei falsi miti che hanno accompagnato il lungo regno: l’estromissione dei clan dalla vita pubblica della città-regno. Sono stati i fedelissimi di De Luca, prima assessori in comune e poi plenipotenziari in regione, a costruire rapporti con camorristi.

Le ricostruzioni investigative e il racconto dei collaboratori di giustizia danno corpo a questo intreccio che girava attorno a un amico del presidente, Vincenzo “Libero” Zoccola.

Zoccola è il re delle cooperative. Da una parte ha garantito pacchetti di voti ai deluchiani in cambio di affidamenti, proroghe e servizi pubblici, dall’altra posti di lavoro e favori. Le coop di Zoccola sono il luogo di incontro tra il mondo di sotto, i camorristi, e il mondo di sopra, i politici.

Prima di raccontare gli artefici di questo sistema, bisogna subito chiarire che l’ascesa di Zoccola è stata possibile grazie a due spinte, una istituzionale e una criminale. Quella istituzionale la troviamo chiarita nella richiesta di archiviazione, accolta dal gip, di un recente filone di indagine dove si evidenzia il rapporto decennale con il potente esponente del Pd che guida la regione. In una cena prima delle regionali, come confermato dal ras delle coop, il governatore uscente ha chiesto voti e appoggio a Savastano. Ma l’altra spinta è quella criminale, riportata nelle carte degli inquirenti. La posizione giudiziaria vede Savastano e Zoccola coinvolti per corruzione e De Luca archiviato. La richiesta di archiviazione per il presidente della regione è del novembre scorso. La procura di Salerno, tuttavia, pur archiviando, ha ribadito l’opacità di alcuni comportamenti di De Luca. I pm confermano infatti che De Luca ha dato indicazioni di voto a Zoccola chiedendogli di sostenere Savastano. E sottolineano il metodo con cui il presidente attua le prerogative connesse al suo ruolo politico, ossia «con modalità non trasparenti e connesse a rapporti e cointeressenze dai potenziali sviluppi delittuosi da parte di altri soggetti».

L’alba di Zoccola

Tutto è iniziato nel 2015 quando, durante un processo, il collaboratore di giustizia Adamo Pisapia, ha così definito Zoccola: «Zoccola, il signor Zoccola che ha la cooperativa del comune, quello è un affiliato al clan, non so il perché lavora ancora con una cooperativa, non so ancora come fa ad assumere tutta la gente di D’Agostino». In pratica il plenipotenziario dei servizi pubblici del comune attraverso le coop, amico di vecchia data di De Luca, sarebbe la sponda economica della camorra. Gli inquirenti ricostruiscono «le cointeressenze che costui aveva condiviso, nel tempo, con esponenti apicali del clan D’Agostino».

Pisapia diceva la verità, come confermano i riscontri dei detective. A partire dal 1997 sono «assidui contatti telefonici che Zoccola manteneva con i fratelli D’Agostino Antonio e Giuseppe», si legge negli atti. Anche un altro collaboratore, Angelo Ubbidiente, ha riferito nel 2008 fatti analoghi confermando i legami tra Zoccola e i D’Agostino, così come Carmine Napolitano che, ancor prima nel 1997, raccontava dei rapporti con il clan, dei lavori eseguiti dalle ditte di Zoccola presso gli appartamenti dei boss e del ruolo di un pregiudicato in una delle prime coop di Zoccola.

Le cooperative, si legge nella stessa informativa, sembrano essere un braccio economico del clan. Gli investigatori hanno verificato che al loro interno lavoravano i familiari dei boss, come la moglie del camorrista D’Agostino e altri pregiudicati o “parenti di”. «Sulla scorta dei dati investigativi sin qui riferiti, si è ritenuto ragionevole sostenere che, tra il 2007 ed il 2015, le cooperative sociali riconducibili, direttamente o meno, a Zoccola sono state affidatarie dei seguenti pubblici servizi da parte del comune di Salerno, “foraggiando”, in tal modo, una molteplicità di soggetti, inseriti a vario titolo, nel panorama criminale di questo capoluogo», si legge. Un patto invisibile nel regno di De Luca, siglato da uno dei suoi più grandi sostenitori.

La bomba

Manca ancora una gamba del tavolino: i politici. Sono due quelli in contatto con gli uomini del clan D’Agostino. Il primo è Savastano, il secondo è Picarone. Sono stati anche indagati per concorso esterno, ma il giudice ha rigettato la richiesta di intercettazioni a loro carico perché carente in motivazioni e perché analoga inchiesta (per Savastano) si era già conclusa. Così addio all’indagine. Cosa emerge dalle carte?Partiamo da una bomba carta piazzata davanti allo studio di una ex assessora alle Politiche sociali, Rosa Masullo. Correva l’anno 1999 e Rosetta, così è conosciuta a Salerno, aveva ordinato lo sfratto del malavitoso Antonio D’Agostino dalle case popolari. La risposta ricevuta? Una bomba carta. Il processo che si è celebrato a carico del boss non ha visto il comune costituirsi parte civile e Masullo, di lì a poco, vedrà il tramonto della sua carriera politica con l’ascesa definitiva di Savastano che ha preso il suo posto. Proprio lui, l’amico di Zoccola, il candidato del presidente De Luca, che tra gli amici vanta anche i D’Agostino.

Savastano è stato processato per i suoi rapporti con il clan, è stato condannato solo per abuso d’ufficio per aver dato una casa alla moglie di D’Agostino. La giudice che lo ha assolto dall’accusa più grave ha comunque scritto di quelle relazioni, dei voti, dei favori che però, a suo avviso, non provavano la collusione perché i D’Agostino erano «camorristi, ma anche i compagni di infanzia del Savastano cresciuto nel Rione Petrosino». I collaboratori di giustizia raccontano del tentativo di D’Agostino di evitare lo sgombero rivolgendosi a Savastano, tentativo poi risultato vano.

L’altro fedelissimo

I clan non avrebbero sostenuto solo Savastano, ma anche un altro politico fedelissimo di De Luca: Picarone, già assessore comunale, oggi consigliere regionale del Pd, più volte nominato nell’indagine sulle cooperative come vicino a Zoccola, che lo avrebbe sostenuto in diverse elezioni, ma la cui posizione è stata archiviata.

«Il clan D’Agostino quando c’erano le elezioni si interessava della campagna elettorale dei vari candidati a cui era interessato. Ad esempio i fratelli Matteo e Ciro Marigliano facevano la propaganda elettorale per Picarone, assessore del comune di Salerno», ha detto il pentito Ciro De Simone nel 2016. Ha riferito di aver saputo di soldi, 80 euro, in cambio dei voti e anche di posti di lavoro. «Parecchi ragazzi di Mariconda, chi nella Salerno pulita e chi nella cooperativa il Leccio, che è una cooperativa che si occupa di tagliare il verde al parco del Mercatello, queste cose qua le hanno prese tramite Picarone per via dello scambio dei voti», sempre parole di De Simone, nel 2013. Gli inquirenti riscontrano la presenza di alcuni dei nomi indicati all’interno delle società partecipate dal comune o nell’orbita delle cooperative di Zoccola.

«Marigliano Ciro (il boss, ndr) è amico dell’assessore Picarone del comune di Salerno. Li ho spesso visti insieme davanti al bar Sole e luna», un altro pentito, anno 2016. Il collaboratore parlava di soldi e disponibilità in cambio dei voti. Elezioni, quelle del 2011, nelle quali i clan avrebbero sostenuto Picarone e Savastano, candidati in Progressisti per Salerno, la lista costruita da De Luca e benedetta dal Pd. Gli inquirenti ritengono attendibili i collaboratori e riscontrano le loro parole attraverso i risultati elettorali «che i medesimi avevano ottenuto il maggior numero di preferenze proprio nei rioni di Pastena, Mariconda e zone limitrofe, corrispondenti alle aree di maggior influenza del clan D’Agostino», si legge. «Sono cresciuto in un quartiere popolare, conosco tutti, ma non ho mai frequentato nessuna di queste persone e da un punto di vista politico non mi sono mai rivolto a loro», replica Picarone. Su Marigliano, Picarone dice: «Non devo dare giudizi, è la giustizia che deve farlo».

Eccoli, quindi, Picarone e Savastano, i portatori di voti di De Luca. Salerno è dei cacicchi. In un sistema di potere che dura da tre decenni, retto da politici fedelissimi del presidente in rapporto con i clan, imprenditori amici, ras degli appalti comunali e una cortina di silenzio che protegge tutti.

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