«In questi anni il problema non è stato il sindaco, ma qualche collaboratore. Io non mi sono mai permesso di mancare di rispetto a nessuno e se non mi sono permesso io non si deve permettere nessuno». Così diceva Vincenzo De Luca nel corso dell’ultima campagna per le elezioni amministrative. Lui non era candidato, aveva già stravinto lo scorso anno le regionali, ma si è impegnato comunque per la sua Salerno.

Al suo fianco, mentre lo catechizzava, il sindaco uscente, poi riconfermato alla guida della città, Enzo Napoli. «Nessuno si senta Garibaldi, questa cosa bisogna migliorarla nella prossima esperienza amministrativa», diceva il presidente De Luca alludendo a dissidi nella catena di comando, emersi anche dalle carte dell’ultima inchiesta della magistratura che lambisce il presidente e mette sotto accusa il suo sistema di potere.

Un sistema nato nel 1993 quando l’ex sindacalista De Luca è diventato primo cittadino di Salerno. La giunta precedente era stata azzerata dagli arresti. Da allora quasi tre decenni di dominio incontrastato. Un “regno” mai visto prima. Un’eccezione persino nel panorama meridionale dove trovano spazio ras locali e macchine di voti.

I vasi comunicanti

A Salerno si registra da anni il fenomeno dei vasi comunicanti, con alcuni vertici delle società partecipate che hanno ruoli di responsabilità nel partito. Un consenso costruito con assunzioni senza concorso attraverso l’uso di cooperative, affidatarie di lavori per milioni di euro, premiate con proroghe continue.

Nella città campana chi ha la fortuna di fare il sindaco è una sorta di facente funzioni perché «da piazza Libertà alla ferrovia, anche se devi spostare un ombrellone del bar, lui lo viene a sapere, è onnipresente», dicono i suoi seguaci. L’onnipresente è Vincenzo De Luca. «Piaccia o meno Salerno sono io», dice senza falsa modestia.

In tre decenni ha trasformato tutto. Ha creato una città pulita, sicura e moderna, ma dietro le luci si nasconde un sistema di potere che è fatto di occupazione scientifica dei posti, controllo sociale, imprenditoria di riferimento, clientele «fatte come cristo comanda», direbbe De Luca.

Nulla sfugge al sovrano, anche se questo castello dorato inizia a tremare dopo le inchieste della magistratura. E a Salerno persino questa è una notizia. In questi decenni, infatti, il potere giudiziario è rimasto incantato dai lustrini e dagli effetti speciali del gran ducato di Salerno fino a spendersi direttamente perché il regno continuasse a esistere. In passato ogni terremoto annunciato sul sistema di potere deluchiano si è rivelato un refolo di vento. Ma questa volta sembra diverso. Anche perché i primi e preoccupanti segnali non arrivano dal palazzo di giustizia, ma dall’aula del consiglio comunale dove, qualche mese fa, alcuni fedelissimi di De Luca sono andati via.

La maggioranza frana

«Noi lo abbiamo portato in trionfo, ma ora questo sistema bisogna cancellarlo», dice Peppe Ventura, consigliere comunale uscente. La sua famiglia è storicamente di sinistra, ma alle ultime amministrative non ha sostenuto il candidato deluchiano mentre suo fratello è passato a destra. Ventura non ha solo rotto politicamente con il presidente della regione, ha cominciato a denunciare il grande affare delle cooperative, il raddoppio dei costi, gli sprechi, l’assenteismo. Tutto materiale utile per la procura.

In poco tempo il nemico è diventato lui e così, nel 2018, dopo l’ennesima denuncia pubblica, è stato minacciato sotto casa. Una violenza verbale che è rimasta senza responsabili. Non solo, quando Ventura ha chiesto spiegazioni sul comportamento di alcune cooperative a un dirigente del comune, dopo poche ore ha ricevuto una diffida dalla coop.

Un’altra volta, dopo aver espresso delle critiche sulla cura del verde, un consigliere di maggioranza, Horace Di Carlo, ha avvisato il re delle coop, Fiorenzo Zoccola, suggerendogli di denunciare Ventura: «Se non lo querelate adesso quando lo querelate».

Il dirigente al quale Ventura inviava segnalazioni si chiama Luca Caselli. Ora è ai domiciliari accusato di essere al servizio di un’associazione a delinquere guidata da Zoccola. Zoccola, invece, è attualmente in carcere. Portava voti a Nino Savastano, assessore uscente alle Politiche sociali e consigliere regionale, in cambio della disponibilità del politico, che per questo è finito anche lui ai domiciliari.

Savastano è un politico di lungo corso, come Zoccola, e conosce De Luca da decenni. Ha fatto carriera nonostante un processo per concorso esterno in associazione camorristica dal quale è uscito assolto, nel 2008. Un processo che ha comunque provato i rapporti con i fratelli D’Agostino «camorristi, ma anche i compagni di infanzia del Savastano cresciuto nel Rione Petrosino», scrive la giudice Dolores Zarone nella sentenza. Uno dei fratelli, Antonio D’Agostino, nel 1999 è il mandante di una bomba carta piazzata sotto casa di un assessore, Rosa Masullo, che stava liberando gli alloggi popolari occupati dai camorristi.

Proprio Savastano, assolto per camorra, è stato condannato in via definitiva per abuso d’ufficio: aveva fatto ottenere un alloggio popolare alla moglie di Antonio D’Agostino. Incroci pericolosi ignorati dalla politica. A distanza di anni Savastano è stato eletto consigliere regionale, Zoccola al telefono dice che De Luca aveva chiesto di sostenerlo.

Ora la nuova giunta comunale di Salerno è già in crisi. Enzo Napoli, appena rieletto sindaco, è indagato per turbativa d’asta, così come un uomo del suo staff, Ugo Ciaparrone, che ha ottenuto da Zoccola l’assunzione del figlio e anche la gratuità di lavori idraulici presso l’abitazione della suocera. L’assessore uscente è stato arrestato, altri manager indagati, il marito di una candidata (prima dei non eletti) è ai domiciliari perché ha minacciato gli operai per assicurare voti alla lista e a sua moglie.

La guerra togata

Ma Napoli, che si dichiara totalmente estraneo, non arretra e ha già indicato l’uomo forte della giunta. Si tratta del magistrato Claudio Tringali, ex presidente della prima sezione della Corte d’appello, che sarà assessore alla Sicurezza dopo aver lasciato 4 anni fa la magistratura. «Se pensano di tenermi come fiore all’occhiello ci saluteremo, io sono il garante della legalità», dice.

Nel mondo delle toghe c’è però chi la pensa diversamente come Michelangelo Russo. Stessi anni, stesso concorso, amico di liceo di Tringali, magistrati della corrente di sinistra. Russo nel 2016, da presidente di Corte d’appello, ha assolto De Luca dall’accusa di abuso d’ufficio.

Ora sulla nomina dell’ex collega nutre più di una perplessità perché il messaggio che si manda ai cittadini è devastante: «Sembra un premio a qualcosa che ha fatto o peggio che non ha fatto». Si tratta di «giudici integerrimi», sottolinea, ma per lui un magistrato deve essere indipendente e anche apparire tale. Russo parla al plurale perché cita anche altri casi. Come quello di Franco Roberti, ex procuratore capo di Salerno, poi procuratore capo della Direzione nazionale antimafia, una vita contro le mafie, assessore alla Sicurezza della regione nella giunta di De Luca e oggi parlamentare europeo del Pd.

Gli incroci tra politica e magistratura non si fermano, basta andare indietro nel tempo. Nel 2017 non sono mancate polemiche quando il figlio dell’allora procuratore capo di Salerno Corrado Lembo, magistrato anticamorra integerrimo, si è candidato a sindaco del Pd in un paesino della provincia salernitata. Andrea Lembo non ha nascosto l’amicizia con Piero De Luca, anche lui lanciatissimo nel panorama politico e imputato di bancarotta fraudolenta dall’ufficio inquirente guidato dal padre, procuratore, dell’amico. «I miei rapporti politici sono stati sempre improntati alla massima trasparenza e lealtà. Frequento e organizzo iniziative di partito, rivendico il diritto di esercitare le mie libertà civili. Qualcuno tenta di intimidirci? Bene, ma sappiano questi miserabili che noi non arretreremo», aveva detto Lembo junior a Repubblica Napoli, nel 2017. Oggi Lembo si è dimesso da consigliere comunale e di recente è stato nominato nel consiglio di amministrazione di una società provinciale che si occupa di rifiuti.

Torniamo a palazzo. L’indagine prosegue, ma i riflettori devono restare spenti. Nel giorno della proclamazione della giunta, infatti, i giornalisti sono stati tenuti fuori dalla sede del comune. Le domande, nel granducato di Salerno, non sono gradite.

(1-continua).

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