Sébastien Riffault e Isabelle Perraud si sono incontrati di persona per la prima volta solo qualche settimana fa, in tribunale. Prima che uno facesse causa all’altra non si erano mai visti nonostante facciano parte della stessa comunità, seppur allargata. Entrambi producono infatti vino naturale in Francia: uno nella Valle della Loira, vicino Sancerre, l’altra nella zona del Beaujolais, pochi chilometri a nord della città di Lione.

Isabelle Perraud oltre a essere una vignaiola è anche presidente di Paye ton pinard, una piccola associazione nata per denunciare il sessismo, l’omofobia, il razzismo e discriminazioni nel mondo del vino. È in questa veste che viene accusata di diffamazione da Sébastien Riffault: nella primavera dell’anno scorso fu soprattutto lei a rilanciare le accuse di molestie sessuali provenienti dalla Danimarca che avevano investito il produttore della Loira.

Una vicenda che in Francia ha avuto particolare eco e di cui si è tornati anche a causa di un lungo e documentato articolo uscito sul quotidiano Libération. Un pezzo nel quale la giornalista Maïté Darnault ripercorre le varie tappe della vicenda, sviluppatasi su internet e in particolare su Instagram e su Reddit, e soprattutto riporta alcune testimonianze inedite che rendono la posizione di Sébastien Riffault ancora più difficile, almeno a livello mediatico. Nessuna delle presunte vittime, tutte residenti in altri paesi, ha infatti mai sporto denuncia nei suoi confronti.

Nell’articolo, in particolare, si sostiene che il vignaiolo avrebbe molestato almeno undici donne e avrebbe abusato di due tra il 2019 e il 2022. Un numero maggiore rispetto a quanto era stato riportato dai media danesi l’anno scorso. Cameriere, sommelier, in generale giovani ragazze che lavorano nel mondo del vino naturale e che quindi avevano a che fare con Sébastien Riffault in occasione dei suoi frequenti viaggi all’estero per promuovere i suoi vini. Tutte persone che hanno raccontato alla giornalista le loro esperienze, con dettagli e date. Ne emerge un racconto condito da una quantità di particolari tale che risulta difficile pensare si tratti di un complotto nei sui confronti, come dall’inizio ha sempre sostenuto Sébastien Riffault: «Nessuna di queste voci è mai stata provata, da nessuna parte, sono solo pettegolezzi nati per screditarmi», ha dichiarato a Libération.

Nel corso del 2022 il mercato ha reagito in vari modi. In Danimarca, dove tutto ha avuto inizio, diversi ristoranti, tra cui il famosissimo Noma di Copenhagen, hanno tolto dalle rispettive carte dei vini le bottiglie del produttore francese. Il suo stesso importatore ha deciso di non vendere più i suoi vini. Nel resto del mondo la cosa ha avuto meno eco, per quanto anche a New York alcune enoteche abbiano fatto lo stesso.

Il verdetto sul processo per diffamazione a Perraud è atteso per l’inizio di giugno: al netto dell’esito sarà interessante osservare quello che succederà nei prossimi mesi. Non è infatti peregrino pensare si replicheranno, a maggior ragione dopo l’articolo di Libération, prese di posizione da parte sia di alcuni dei clienti di Sébastien Riffault (enoteche, ristoranti oltre che importatori e distributori) che di una piccola parte di consumatori consapevoli di non voler, con il loro acquisto, finanziare una cantina di proprietà di un presunto molestatore.

Uno scenario già visto, che grazie alla facilità con cui è possibile condividere oggi un gran numero di informazioni ha riguardato nel tempo situazioni molto diverse tra loro. Come non ricordare per esempio il caos mediatico che investì il vignaiolo friulano Fulvio Bressan, colpevole di aver usato su Facebook irripetibili epiteti razzisti per riferirsi all’allora ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge. Era il 2013 ma sembra passato molto più di un decennio: difficile incontrare persone che allora scelsero e che ancora oggi continuano a non acquistare i vini di Bressan che si ricordano con precisione quello che successe. Una cosa che ha forse a che fare con il modo con cui fruiamo di queste notizie: con emotività ma a termine, domani è un altro giorno, domani è un’altra polemica.

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