C'è una frase che meglio di altre riassume la giornata politica anche e soprattutto del M5s dopo l'assoluzione della sindaca di Roma Virginia Raggi. Una frase che l'ex deputato Alessandro Di Battista scrive sul suo profilo social a commento di un suo post: «Chiudete er ponte d'Ariccia!». Per i romani Ariccia è luogo ameno, dove attovagliarsi con pane casareccio e porchetta. Ma per raggiungere Ariccia bisogna attraversare un ponte monumentale, purtroppo, negli anni, diventato famoso per i troppi suicidi. Di Battista usa un'immagine funerea per festeggiare l'assoluzione e spiegare che il verdetto dei giudici ha rovinato piani politici e future alleanze. Per non lasciare spazio a dubbi, la senatrice Barbara Lezzi, nello stesso post aggiunge: «No, no, lasciatelo aperto» riferendosi al ponte. Il piano politico saltato è l'accordo  tra Pd e M5s per una candidatura condivisa per la città di Roma. «Il patto era già stato raggiunto. I nostri vertici e il partito democratico si erano già accordati per un nome, forse il viceministro Sileri. Raggi era già stata 'sacrificata', per cancellarla definitamente si aspettava soltanto la condanna, l'assoluzione ha rovinato i piani. A Milano era pronto l'appoggio a Sala e a Roma un nome condiviso e tanti saluti alla sindaca», dice un esponente del M5s.

Una sentenza che fa saltare tutto e costringe anche i vertici grillini a una solidarietà pelosa nei confronti della prima cittadina.

Il giorno della sindaca

La giornata giudiziaria, che presto è diventata politica, inizia con la requisitoria della pubblica accusa.«Dieci mesi di reclusione per Virginia Raggi», chiede Emma D'Ortona, sostituto procuratore generale di Roma.

La richiesta di condanna per la sindaca della capitale arriva nell'ambito del processo di appello a carico della prima cittadina accusata di falso per la nomina di Renato Marra, fratello dell'ex capo del personale del Campidoglio Raffaele, a capo del dipartimento turismo del Comune di Roma. La nomina venne poi ritirata. Già in primo grado Raggi era stata assolta con la formula «perché il fatto non costituisce reato».

La breve requisitoria della pubblica accusa ricostruisce alcuni passaggi della vicenda e critica la decisione dei giudici di primo grado. «La sindaca conosceva la posizione di Raffaele Marra e ha omesso di garantire l'obbligo che Marra si astenesse nella nomina del fratello Renato. L'errore del precedente giudice è di avere trasformato una indagine documentale in dichiarativa». Ma anche il presidente della II sezione della Corte di appello di Roma, Antonio Lo Surdo, ha confermato la sentenza di  assoluzione.

Il verdetto definitivo arriva a pranzo e subito dopo, chiuso il processo di merito e la vicenda giudiziaria, la sindaca carica l'artiglieria pesante contro i silenzi interessati e le ambiguità dei vertici del M5s. «Ora è troppo facile voler provare a salire sul carro del vincitore con parole di circostanza dopo anni di silenzio. Chi ha la coscienza a posto non si offenda per queste parole ma tanti altri, almeno oggi, abbiano la decenza di tacere», dice Virginia Raggi.

Mentre i maggiorenti del M5s affollano social e agenzie per esprimere giubilo e vicinanza alla sindaca, la prima cittadina allontana i falsi amici dell'ultima ora: «Questa è una mia vittoria, del mio staff, delle persone che mi sono state a fianco in questi quattro lunghi anni di solitudine politica ma non umana. Credo che debbano riflettere in tanti, anche e soprattutto, all'interno del M5s».

Il silenzio dei vertici

Il riferimento è al silenzio prolungato, alle continue giravolte senza mai schierarsi apertamente di buona parte del movimento, soprattutto dei vertici. Non è passato inosservato l'equilibrismo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio che festeggia con queste parole l'assoluzione «grande donna, il Movimento 5 Stelle resiste insieme a te», ma è lo stesso Di Maio che, a più riprese, nelle scorse settimane, aveva detto: «Anche a Roma abbiamo il dovere di costruire una coalizione», ma anche «non bisogna fossilizzarsi sui nomi». Ogni volta Di Maio, però, ribadiva anche la stima per Raggi mantenendo due parti in commedia. In fondo nel movimento Virginia Raggi è stata sempre osteggiata non solo dalla nemica storica, la consigliera regionale, Roberta Lombardi, ma anche lentamente ignorata dalla senatrice Paola Taverna, dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. La prima non ha fatto mancare la vicinanza social alla sindaca dopo il verdetto. Prima dell’assoluzione, però, la spaccatura all’interno del M5s era chiara. Da una parte c’era un drappello di lealisti, a partire dall’ex deputato Alessandro Di Battista e dall'ex ministra e senatrice Barbara Lezzi.

Proprio Lezzi aveva spiegato: «Vi dico che non ho bisogno di aspettare domani per dirvi che sono convinta che Virginia Raggi rappresenti pienamente il M5S». Mentre Lezzi dava il proprio incondizionato sostegno, il reggente Vito Crimi, si defilava con un laconico: «Vediamo quale sarà la sentenza su Virginia e poi ci regoliamo». In poche parole il riassunto dell'idea dei vertici del movimento che avevano pianificato il futuro politico di Roma in caso di tramonto politico della sindaca. Crimi, dopo l'assoluzione, però affida ai social il suo sostegno: «Forza Virginia, avanti tutta». Parole che non convincono. «Crimi è stato ambiguo, ma lui non rappresenta il movimento, il sentire del movimento, è di passaggio, un reggente. Io non lo so se i vertici sono stati tiepidi perché c'era un disegno politico, ma di certo Raggi rappresenta i valori del movimento e deve andare avanti. Lei è la nostra candidata, il Pd dovrebbe tacere. Rutelli e Veltroni hanno riempito Roma di debiti, il Pd si è mangiato Roma e ora il governo dimostri reale sostegno accogliendo le richieste della sindaca», dice la senatrice del M5s Barbara Lezzi. Anche il fondatore del movimento Beppe Grillo, da sempre vicino alla prima cittadina, esulta parlando di detrattori zittiti e Di Battista di «fuoco amico». A Roma la sindaca Virginia Raggi è tornata più forte di prima e c'è chi nel movimento chiede che ricopra un ruolo nel nuovo vertice nazionale. Una scelta che darebbe ulteriore sostanza a quella frase choc di Di Battista: «Chiudete er ponte d'Ariccia!».

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