La crisi tra Occidente e Russia e l'imposizione di sanzioni economiche a Mosca che potrebbero presto riguardare anche il gas naturale, hanno innescato una corsa di singoli paesi europei, soprattutto i più dipendenti dal gas russo, a diversificare il tipo di energia e i paesi fornitori. I progetti di abbandono del carbone da parte di molti paesi europei sono già stati posticipati o si sta seriamente pensando di farlo.

La Germania, uno dei paesi più dipendenti dagli idrocarburi russi, ha annunciato la posticipazione della chiusura di alcune centrali a carbone (che genera circa un quarto dell’elettricità del paese). Anche in altri paesi come la Romania e la Repubblica Ceca le centrali a carbone stanno per essere riaccese. Qualche settimana fa anche il premier italiano Mario Draghi ha detto che l’Italia è pronta a riaccendere alcuni impianti che sono stati chiusi pochi mesi fa.

Questa situazione di emergenza mette a rischio gli obiettivi verdi della Ue. Ma, oltre a ciò, rischia anche di innescare una competizione intraeuropea piuttosto sciocca e controproducente sulla ricerca di nuovi fornitori di gas naturale. Anche in questo settore Germania e Italia si sono dimostrate molto attive. La Germania sta negoziando l’avvio di una “long-term partnership” con il Qatar per aumentare le importazioni di gas liquefatto (Gnl). Berlino però non dispone ancora delle infrastrutture adatte e ha annunciato che si doterà di alcuni rigassificatori per essere in grado di ricevere il Gnl trasportato via mare e introdurre così una maggiore flessibilità nella sua strategia energetica. Ma secondo alcuni analisti potrebbero volerci anche fino a 3 anni per essere pienamente funzionali.

Anche l’Italia pare avere attivato una strategia di diversificazione delle fonti energetiche a largo spettro, puntando soprattutto sui paesi nord africani. Un paio di settimane fa Roma e Il Cairo hanno firmato un accordo per la fornitura dell’equivalente di tre miliardi di metri cubi all’anno sotto forma di Gnl. L’accordo si aggiunge a quello già concluso in precedenza con l’Algeria per l’acquisto dalla compagnia nazionale Sonatrach di nove miliardi di metri cubi all’anno, di cui sei via gasdotto (Algeria-Tunisia-Sicilia) e tre sotto forma di Gnl.

L’Italia

Gazprom vende solitamente 29 miliardi di metri cubi di gas in Italia, quasi il 40 per cento delle importazioni nazionali di metano. Con i nuovi contratti in Nordafrica, l’Italia si avvia ad essere in buona posizione per rimpiazzare a cominciare dal prossimo inverno metà del fabbisogno fino ad oggi coperto dalla Russia. L'accordo con il governo di Algeri, tuttavia, ha sollevato preoccupazione in Spagna che dipende per il 47 per cento delle proprie forniture di gas dall’Algeria. Sia l’Italia sia la Spagna hanno accordi di fornitura tramite gasdotti. Le negoziazioni tra Spagna e Algeria per nuove forniture sono bloccate da mesi e ora sembrano risentire delle cattive relazioni a causa della nuova posizione spagnola sul Sahara Occidentale, più favorevoli al Marocco.

Secondo quanto riferito da Bloomberg, data la limitata capacità di produzione di Algeri la Spagna è preoccupata che l’accordo Italia-Algeria possa compromettere le proprie forniture. Funzionari spagnoli e italiani hanno discusso dell'accordo sul gas italiano negli ultimi giorni e intendono incontrarsi di nuovo. La Spagna, dipendente solo per l’8 per cento dal gas russo, sembra puntare molto sul Gnl ed è il paese europeo che dispone di più rigassificatori (35 per cento della capacità totale europea), ma al momento essi sono piuttosto sottoutilizzati.

La rete del gas della Spagna è scarsamente connessa con quella europea e non permette a Madrid di divenire un punto di accesso del Gnl destinato ad altri paesi europei. La Spagna sarebbe per esempio l’approdo ideale per il Gnl americano.

I razionamenti

Oltre a questioni legate al sistema concorrenziale vi è quindi anche un problema infrastrutturale che è evidente anche nella questione delle strutture di stoccaggio del gas. Gli stoccaggi sono solitamente

gestiti da società private e nei mesi scorsi l’alto prezzo del gas lo ha reso poco vantaggioso. Ora paesi come l’Italia stanno incentivando le compagnie private in questa attività. Il risultato al momento attuale è comunque uno stoccaggio molto limitato. Come segnalato da una analisi di Matteo Villa (Ispi), se il flusso di gas russo venisse interrotto oggi, l'Italia avrebbe solo otto settimane di autonomia prima di finire le riserve presenti negli stoccaggi.

La Germania avrebbe circa dieci settimane. Nell’attuale contesto europeo sanzioni sul gas immediate rischierebbero quindi di obbligare a razionamenti che ovviamente andrebbero a colpire l’industria europea, farebbero schizzare i prezzi ancora più verso l'alto rispetto a quelli di oggi e causerebbero un rallentamento della ripresa europea.

La corsa a fonti alternative di gas naturale e le decisioni di ritardare l’uscita dal carbone rischiano di mettere a repentaglio il Green Deal, il grande piano di riconversione energetica europeo. Questo non era solo un piano industriale e ambientale, ma anche un piano che avrebbe garantito di liberare l'Ue dalle sue dipendenze guadagnando parte della sovranità europea.

I paesi produttori di gas, dal Qatar, all’Azerbaijan sino ai paesi nord-africani sono perlopiù autocrazie che non brillano né per stabilità né per rispetto di diritti civili. Il rischio di legarsi a loro per svincolarsi dalla Russia non appare una strategia lungimirante, seppure oggi non abbia molte alternative.

Ogni paese europeo ha un mix energetico diverso, punti di forza e costrizioni diverse, ma quasi tutti in un modo o nell’altro sono esposti alle potenziali ricadute delle sanzioni alla Russia e tutti quanti hanno il comune interesse a una transizione verde più rapida possibile. Per questi motivi, è necessario che l'Europa crei al più presto una nuova unione sull’energia che garantisca allo stesso tempo sicurezza energetica e transizione ecologica. Questa non sarebbe d’altronde una novità se pensiamo che il primo progetto di integrazione europea avvenne con la Comunità del Carbone e dell’Acciaio nel 1951.

Il progressivo processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia promosso dalle istituzioni europee nel corso degli anni Novanta, come scritto da Alessandro Rubino su questo giornale, ha avviato un processo di unbundling e parallelamente di apertura dei mercati. I monopoli esistenti negli stati membri sono stati quindi tutti trasformati in imprese in competizione per quote di mercato.

La progressiva imposizione di questo modello si è basata sulla convinzione che l'integrazione del mercato del gas dell'Ue, dal livello nazionale a quello europeo, costituisse un'opportunità per introdurre concorrenza su scala più ampia e capace che porta a maggiori benefici per i consumatori finali. Tuttavia, in un’epoca di “weaponization” delle connessioni energetiche questa scelta sta mostrando i suoi limiti poiché non ha tenuto in basso conto la necessità della sicurezza energetica, lasciata perlopiù ai singoli governi in un’epoca di abbondanza.

La nuova unione dell’energia

Per questo motivo è necessario stabilire una nuova unione sull’energia in modo tale da mettere in comune le potenzialità, attenuare le debolezze, evitare concorrenze tra paesi (esattamente come avvenuto per i vaccini), stabilire tetti ai prezzi dell’energia, proporre la creazione di infrastrutture prioritarie e gestioni comuni di quelle esistenti (dai gasdotti alle infrastrutture di stoccaggio sino agli investimenti nelle rinnovabili). Solamente così la Ue potrà prendere decisioni coraggiose sul gas o sul petrolio russo, e in prospettiva rispondere alle minacce geopolitiche in modo più robusto e solidale mentre non rinuncia alla propria transizione verde.

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