Dopo quattro mesi e mezzo di conflitto a Gaza, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha reso finalmente nota la sua visione per il post guerra, basata sul mantenimento sine die del controllo militare sull’enclave, la cui amministrazione dovrebbe passare a funzionari locali privi di legami con Hamas o altri gruppi terroristici.

A questo si aggiunge un altro punto: la chiusura della Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, che dovrà essere sostituita da «organizzazioni umanitarie internazionali responsabili». Sebbene si conoscessero già alcuni dei punti delineati in un documento circolato nelle prime ore di ieri, questo elenco di principi sulla gestione della Striscia rappresenta il piano più dettagliato emerso sinora, che dovrebbe fornire una base di discussione, secondo l’ufficio del primo ministro. Il suo contenuto scontenterà buona parte della comunità internazionale e degli alleati di Israele, che aspettavano da tempo che Bibi si pronunciasse su un tema così cruciale, come pure buona parte degli israeliani. Un assetto di governo della Striscia così delineato renderà, se non impossibile, estremamente difficile la realizzazione di uno stato palestinese nei territori di Gaza e della Cisgiordania, per lo meno nel breve termine.

Tale ipotesi è, invece, avallata dagli alleati di Israele, in primis gli Stati Uniti, che la considerano la via necessaria e imprescindibile alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

Netanyahu ha sempre osteggiato la soluzione basata su due stati contigui, dicendo che ciò rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza di Israele. Le frange più estremiste del suo governo sostengono un ritorno degli israeliani a Gaza, con la creazione di nuovi insediamenti alla fine della guerra. Il piano non fa riferimento a tale eventualità, ma non la esclude neppure. Ciò che dice, invece, è che l’esercito israeliano manterrà indefinitamente la libertà di azione nella Striscia.

Nuovi insediamenti

Si aggiunga che il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, del partito di estrema destra Sionismo religioso, ha annunciato che il governo ha deliberato un piano di costruzione di più di 3.300 unità abitative per coloni israeliani in Cisgiordania, in risposta all’attentato di giovedì a Ma’aleh Adumin che è costato la vita a un giovane israeliano e il ferimento di altre dieci persone.

Circa 2.350 case saranno proprio costruite a Ma’aleh Adumin, un insediamento di coloni a est di Gerusalemme, sottolineando l’esplicito approccio del governo sulla sicurezza: costruire insediamenti e armare i coloni per meglio garantire la stabilità e la protezione degli israeliani nelle zone occupate. Tali piani emergono nei giorni in cui la Corte internazionale di giustizia dell’Aja sta esaminando la legalità degli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est, mentre la comunità internazionale critica sempre più duramente il governo di Netanyahu su questo tema e alcuni governi, come la Francia e la Gran Bretagna, impongono sanzioni ai coloni responsabili di violenze contro i palestinesi, annunciando la volontà di riconoscere unilateralmente uno Stato palestinese in futuro.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha criticato ieri la notizia di nuovi insediamenti in Cisgiordania, affermando che questi sono in «contrasto col diritto internazionale». Altro aspetto del piano relativamente alla sicurezza israeliana e all’assetto post guerra di Gaza è la creazione di una buffer zone intorno alla Striscia, di cui Israele manterrà il controllo fino a quando lo reputerà necessario, secondo quanto previsto dal piano. Il governo americano ha già espresso la sua contrarietà a questo progetto, perché questo significherebbe sottrarre territorio alla Striscia. Inoltre, Bibi vorrebbe anche controllare il confine sud di Gaza con l’Egitto, un’ipotesi che invece incontrerebbe l’opposizione del Cairo. Non si menziona l’Autorità palestinese, che invece la comunità internazionale vorrebbe in una forma rinnovata al governo di Gaza. In precedenza, però, Netanyahu ha escluso questa ipotesi.

La posizione dell’Anp

Il ministero degli Esteri dell’Autorità ha definito il piano di Netanyahu come «il riconoscimento ufficiale della rioccupazione di Gaza e l’imposizione del controllo israeliano su di essa».

Sempre su richiesta del ministro Smotrich, il governo ha inoltre deciso ieri di aumentare la quota trattenuta dal governo israeliano delle tasse pagate dall’Autorità palestinese dai cittadini dei territori che amministra in Cisgiordania, portandola sempre più vicino al collasso finanziario.

Il piano è uscito lo stesso giorno in cui i negoziatori internazionali si sono incontrati a Parigi per continuare le trattative sul cessate il fuoco e lo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, che permetterebbe la liberazione degli ostaggi israeliani ancora intrappolati nella Striscia.

Le trattative sulla tregua si sono intensificate nella speranza di evitare l’attacco israeliano alla città di Rafah, al confine dell’Egitto, dove si sono rifugiati più di un milione di palestinesi. Israele ha fatto sapere che procederà con l’attacco della zona se non si raggiungerà un accordo sul cessate il fuoco al più presto, malgrado gli avvertimenti degli alleati, in particolare gli Stati Uniti, che temono ciò si possa tradurre in una carneficina di civili. Questo a fronte dell’intenzione israeliana, delineata nel documento, di continuare con le operazioni militari fino a quando Gaza non sarà completamente «demilitarizzata e deradicalizzata».

Il cessate il fuoco quindi, come è stato sostenuto sinora da Netanyahu, sarebbe solo temporaneo e finalizzato alla liberazione degli ostaggi. Solo una volta demilitarizzata Gaza, Israele ne permetterebbe la ricostruzione, finanziata e gestita da nazioni ritenute accettabili dal paese ebraico.

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