Ormai da anni, le persone hanno due identità: quella reale, contraddistinta dal corpo fisico, e quella digitale, contraddistinta dai dati.

Se l’identità fisica è da sempre oggetto di tutela, per quella digitale il dibattito è ancora in corso ma è diventato sempre più importante, anche perchè tocca problemi non facilmente risolvibili. Per la tutela dell’identità digitale, che è formata anche da una serie di dati sparsi per il web o presi in consegna da qualche cyber farm, il legislatore ha iniziato a regolamentare ciò che riguarda la cancellazione dei dati delle persone defunte e la conservazione degli stessi su richiesta degli eredi.

Per esempio, è facile constatare come molti profili di social network di persone morte risultino essere ancora attivi e oggetto di continue iterazioni.

Il legislatore italiano, su impulso di quanto già predefinito da quello europeo, si è posto recentemente il problema con il decreto legislativo 101/2018 che ha aggiornato il previgente Codice per la protezione dei dati personali.

Proprio questo decreto legislativo ha consentito ad una signora, rimasta vedova improvvisamente perchè il marito è morto d’infarto, di ottenere addirittura dal gigante Apple la consegna delle chiavi d’accesso ai dati del telefonino del coniuge.

Il ricorso d’urgenza

La donna si è rivolta al Tribunale ordinario di Roma per veder accolto il ricorso cautelare, nel quale si chiedeva all’azienda di Cupertino di consegnare i codici associati all’ID del marito improvvisamente scomparso.

Il problema si poneva perchè solo il defunto conosceva il numero di pin per sbloccare il cellulare, dunque per accedervi e conservare i suoi dati serviva l’intermediazione di Apple, così da poter recuperare i dati associati all’iPhone.

Con l’accesso allo smartphone, la signora ha voluto garantire alle figlie – per altro molto piccole - un concreto ricordo del padre con la conservazione delle ultime foto registrate sul telefono. La ricorrente, infatti, ricordava che il marito pochi giorni prima della scomparsa aveva effettuato un backup del telefono.

Davanti ad una prima richiesta informale dei dati ad Apple senza passare per un giudizio civile, l’azienda – che si è però dimostrata collaborativa – ha informato la donna che la procedura di assistenza al recupero dei dati era regolata da una specifica policy e venivano archiviati su iCloud in base a particolari condizioni contrattuali.

Nella sostanza, per conseguire il recupero dei dati del marito, avrebbe dovuto ottenere un provvedimento di un tribunale con il quale si sarebbero valutate, in concreto, le “ragioni famigliari meritevoli di protezione” – così come esplicitato nella normativa di riferimento.

Le richieste in via d’urgenza

Per questo la donna ha presentato ricorso presso il tribunale di Roma con procedimento d’urgenza. Per sostenere il fumus boni iuris, è stata motivata con le tutele previste dall’art. 2 terdecies del D.Lgs 101/2018: i diritti riferiti ai dati personali di persone decedute possono essere esercitati da soggetti meritevoli di tutela, da soggetti portatori di “ragioni famigliari meritevoli di tutela”.

Mentre il periculum in mora è facilmente ravvisabile nel pericolo di veder persi per sempre i dati contenuti nel telefono: i sistemi di conservazione Cloud, infatti, provvedono automaticamente alla cancellazione dei dati dopo sei mesi dal mancato utilizzo dell’account. Con il rischio concreto di veder cancellati per sempre i dati e in particolare le fotografie del defunto.

Apple si è costituita, associandosi al dolore dei famigliari senza far alcuna resistenza nella prospettiva di consentire al giudicante la più serena valutazione delle ragioni meritevoli di tutela.

L’ordinanza

Con l’ordinanza del 9 febbraio scorso, il tribunale di Roma ha accolta la richiesta della vedova e ha ordinato alla società di Cupertino di “prestare assistenza per il recupero dei dati dell’account (…) associato all’ID anche mediante consegna delle credenziali di accesso”.

Nell’articolato dell’ordinanza – che fissa un punto importante in materia di eredità dei dati delle persone defunte – viene chiarito che il legislatore si è limitato a “prevedere la persistenza dei diritti di contenuto digitale oltre la vita della persona fisica (diritti che prevedono il diritto di accesso, previsti dall’articolo 15 del Regolamento Ue), di rettifica e cancellazione (art. 16 e 17), di limitazione di trattamanto (art. 18), di opposizione (art. 21), di portabilità dei dati (art. 20)”.

L’eventuale divieto all’utilizzo dei dati da parte degli eredi deve essere “inequivoco” e può riguardare solo alcuni diritti, ma “non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato, nonché al diritto di difendere in giudizio i propri interessi”. Visto il caso concreto e le ragioni che hanno giustificato il ricorso, il giudice ha determinato il legittimo interesse della ricorrente e delle eredi ad accedere ai dati del proprio caro.

L’ordinanza, nel riconoscere il diritto di accesso ai dati da parte delle eredi, ha fissato un precedente importante nel dare consistenza a livello giuridico all’identità digitale, che determina tutele dirette per il suo possessore ma anche diritti per eventuali eredi. Un’evoluzione, questa, che dà la dimensione di come la cifra impalpabile della nostra esistenza continua, da questo millennio, a vagare nell’etere anche dopo la nostra morte e può ora essere oggetto di concrete attenzioni anche legali.

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