«La repressione dei reati con il carcere è giusta, ma la giustizia riparativa è un cambio culturale, offre un passo in più che è quello di ricucire, ripristinare i rapporti che sono stati lesi», con queste parole la ministra della Giustizia Marta Cartabia, ha aperto a Sassari l’undicesimo forum internazionale della giustizia riparativa.

Il tema è caro alla ministra, che si sta impegnando in quest’ottica per introdurre strumenti concreti anche nel sistema penale italiano. «La giustizia ripartiva è sotto utilizzata nella grande maggioranza dei Paesi, anche in quelli che l'hanno introdotta nel proprio sistema legale. Le ragioni sembrano essere una mancanza di consapevolezza e una carenza di fiducia da parte dei professionisti della Giustizia così come dei cittadini».

La giustizia riparativa

Per giustizia riparativa non ha strettamente a che fare con il processo e la condanna, ma è un diverso approccio al reato, da considerarsi principalmente in termini di danno alle persone, che deve poi essere rimediato dall’autore. Per rimediare alle conseguenze del reato, però, serve un coinvolgimento attivo anche della vittima e della comunità, per trovare soluzioni comuni per far fronte alle conseguenze del reato.

«Nel lungo termine la diffusione di una mentalità riparativa promette di trasformare, passo dopo passo, la qualità del nostro orizzonte relazionale, con lo scopo di prevenire l'esplodere di un irreparabile dissenso che apre ferite che non possono essere curate», ha spiegato Cartabia.

Per questo, nella riforma della giustizia, penale, è stato previsto un mandato al parlamento per redigere decreti legislativi che disciplinano la giustizia riparativa nel rispetto dei principi e delle norme internazionali ed europee e sulla base dei criteri stabiliti dal parlamento.

Lo strumento determinante perchè questo tipo di giustizia abbia effetto è il dialogo tra reo e vittima, che deve avvenire ovviamente con il consenso soprattutto della persona offesa. Uno degli ambiti ristretti in cui la giustizia riparativa ha trovato applicazione in Italia è quello del terrorismo politico, con percorsi per le famiglie delle vittime ed ex componenti dei gruppi armati, per poter creare dialogo e ottenere risposte.

L’esempio della Sardegna

Un importante esempio di giustizia riparativa è l’esperienza di Tempio Pausania, cominciata nel 2011 dopo la costruzione del nuovo carcere di Nuchis. Nel 2012 l'istituto penitenziario diventa di massima sicurezza e l'arrivo di detenuti condannati per reati molto gravi, come l'associazione di stampo mafioso, crea preoccupazione nella comunità, creando una frattura tra il carcere e la città. Per sanare questa diffidenza, l'università di Sassari, l'istituto penitenziario, il Consiglio comunale, le Ong locali hanno iniziato a lavorare insieme per costruire un nuovo rapporto con il carcere e con i detenuti, attraverso percorsi formativi, scolastici e culturali che hanno portato i cittadini nel carcere e hanno favorito anche il reinserimento culturale dei detenuti.

Il reinserimento sociale

Proprio il reinserimento sociale dei detenuti è la vera scommessa del carcere del futuro. Un detenuto che sconti la sua pena in cella, senza stimoli nè aspettativa di miglioramento della sua condizione, produce solo ulteriore degrado sociale e aumenta il rischio di recidiva. Non a caso, i detenuti italiani hanno un rischio altissimo di tornare a delinquere una volta scontata la pena: le carceri italiane producono un tasso di recidiva oltre il 68 per cento, secondo i dati del Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria del 2016.

Gli strumenti più efficaci per rendere effettiva la funzione rieducativa della pena sono le misure alternative al carcere e l’offerta di opportunità professionali ai detenuti, così da dare loro competenze che gli permettano di aspirare ad una vita diversa una volta scontata la pena.

In questa direzione va il Memorandum d'Intesa "Lavoro Carcerario", firmato dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia e dal ministro per l'Innovazione tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao.

Il progetto offre ai detenuti opportunità professionali remunerate e formazione specialistica nei settori delle telecomunicazioni e dell’informatica.

Le attività previste dal memorandum si svilupperanno inizialmente in due ambiti specifici: un progetto di rigenerazione degli apparati terminali di rete, a cui hanno già aderito le aziende Fastweb, Linkem, Sky, Telecom Italia, Tiscali, Vodafone e Windtre; un progetto di realizzazione di reti di accesso telecomunicazioni con Open Fiber, Sielte e Sirti. La collaborazione con gli istituti penitenziari è comunque aperta a tutti gli operatori del settore che vorranno aderire.

Prima del lavoro vero e proprio ci saranno dei programmi di formazione, poi di selezione e inserimento lavorativo sia fuori che dentro il carcere. I detenuti che accederanno al programma verranno retribuiti secondo i paramentri dei contratti collettivi di lavoro e quindi avranno modo di costruirsi anche un inizio di solidità economica oppure di contribuire alla vita dei familiari che li aspettano.

Le sedi dei laboratori fin qui identificati sono: Bologna, Cagliari, Catania, Frosinone, Lecce, Milano, Torino e Roma.

«Si tratta di un progetto di ampia portata e altrettanta complessità, ma con benefici per tutti: per l'amministrazione penitenziaria, che offre lavoro in un settore strategico; per i detenuti, che avviano il proprio reinserimento nella società; per le imprese, che possono formare manodopera specializzata da assumere. Si tratta in definitiva di un progetto che porta benefici all'intero Paese, di cui il carcere rappresenta uno specchio: investire nella qualità della detenzione equivale infatti ad investire nella collettività", ha dichiarato Cartabia.

Il ministro Colao ha ringraziato le «numerose aziende del settore privato per aver partecipato con convinzione a questo progetto, dimostrando un'alta sensibilità sociale che consentirà a molti uomini e donne di avere un'occasione preziosa per il loro futuro reinserimento sociale».

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