Dopo la fiammata dei 1.600 emendamenti depositati in commissione Giustizia, più della metà dei quali firmati dal Movimento 5 stelle, la parola torna alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia.

L’iter della riforma del penale si è complicato, ma il governo non dà segni di voler arretrare né di voler prendere una pausa di riflessione, posticipando a dopo l’estate il voto alla Camera sul disegno di legge. Nell’aula di Montecitorio per il question time, la Guardasigilli ha usato toni decisi: «Il governo è consapevole di quello che fa, ed è il primo a non volere ciò che voi paventate. Ma vuole affrontare il tema della durata dei processi che è gravissimo».

Parole che sono suonate sia come l’avviso che il governo non intende arretrare, ma anche come una risposta indiretta alle critiche della magistratura, che nei giorni scorsi si è mossa in modo compatto a criticare la riforma della prescrizione, ipotizzando un’ecatombe di processi in appello. Cartabia, infatti, ha ribadito che il ddl penale comprende una serie di interventi volti alla riduzione della durata dei processi «attraverso un approccio organico che riunisce investimenti e riforme», con l’obiettivo che la durata dei processi si riduca e la prescrizione idealmente non si verifichi più.

Dalla sua, la ministra continua ad avere l’appoggio del presidente del Consiglio Mario Draghi, concentrato a rispettare i tempi concordati con l’Unione europea per il Pnrr in cui la riforma della giustizia è inserita. Politicamente, inoltre, Cartabia può contare sull’appoggio del centrodestra: Forza Italia, Azione e la Lega – anche in ottica di antagonismo con il M5s – hanno confermato che per loro il testo è da approvare così com’è, senza modifiche. Il sottinteso: eventuali cambiamenti rischiano di rimettere in discussione anche gli altri fronti aperti.

Diversa è la posizione del Partito democratico, che sostiene pienamente la linea Cartabia ma non può permettersi un deragliamento verso l’opposizione del gruppo dei Cinque stelle. Per questo esponenti dem si sono posti come mediatori con i parlamentari grillini – forse non i pasionari Vittorio Ferraresi e Giulia Sarti, ma quelli legati alla componente più dialogante –, cercando di ricondurli sul piano di una dialettica di merito.

La norma transitoria

Il perimetro delle possibili modifiche è stato di fatto tracciato da Cartabia con le sue parole durante il question time, nel rispetto dei criteri fissati da Draghi: modifiche chirurgiche al testo, che non ne determinino lo slittamento.

Innanzitutto, si starebbe lavorando a una norma transitoria per l’entrata in vigore della nuova prescrizione, «che permette agli uffici che sono in maggiore difficoltà di attrezzarsi, di adeguarsi, di sfruttare le occasioni degli investimenti per poter essere al passo con i tempi», ha detto la ministra. Un riferimento che poteva essere frainteso (nel testo esiste già una norma che fissa l’applicazione della nuova prescrizione a gennaio 2020), ma che sarebbe invece proprio l’indicazione di un versante su cui si sta trattando, a partire da un emendamento in tal senso del Pd.

L’altra modifica possibile riguarda invece un allungamento dei tempi delle due fasi di prescrizione processuale: allungare da due a tre gli anni per il processo di appello e da un anno a 18 mesi per la Cassazione, senza più liste di reati per cui prevedere quella che veniva definita prescrizione “lunga”. In questo modo, si riflette a via Arenula, si andrebbe incontro a chi teme che i reati più gravi e complessi si prescrivano per mancanza di tempo.

Queste due modifiche mirate, a cui si sommano le assunzioni di nuovo personale e l’operatività dell’ufficio del processo che dovrebbe velocizzare il lavoro dei giudici, dovrebbero essere sufficienti a placare soprattutto i timori della magistratura. Cartabia, infatti, sarebbe stata colpita dalle dichiarazioni del procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho, da cui non si aspettava un attacco così violento come l’accusa di «mettere in pericolo la democrazia». E tutto Cartabia vuole essere tranne che colei che viene accusata dal terzo potere dello stato di far andare in fumo processi delicati.

A preoccupare meno, invece, sono i quasi mille emendamenti del Cinque stelle: su quel fronte il Pd sta facendo lavoro di mediazione e Draghi è stato rassicurato dal fatto che la partita ora sia stata presa in mano da Giuseppe Conte, che nella confusione generale avrebbe già ricondotto a più miti consigli anche i più arrabbiati. Tanto che, al contrario di quanto trapelato dopo il loro incontro, la scelta di mettere la fiducia sul ddl penale sarebbe già decisione presa da palazzo Chigi. A slittare, al massimo, sarà la data del voto previsto per il 23 luglio, ma il mantra di Draghi è quello di fare presto e, dopo questa nuova apertura a correzioni e mediazioni, quello del ddl penale è finito.

 

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