Dopo più di due mesi di attesa – gli scritti avrebbero dovuto svolgersi a dicembre 2020 – numerosi rinvii e comunicazioni farraginose, il ministero della Giustizia ha stabilito con decreto legge le modalità per lo svolgimento di esame di abilitazione alla professione di avvocato.

La neo-ministra Marta Cartabia, che aveva comunicato nei giorni scorsi di voler risolvere al più presto il limbo in cui sono i 26 mila giovani aspiranti legali, ha risolto l’impasse con un decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri, che stabilisce in via eccezionale e solo per quest’anno le modalità telematiche di svolgimento dell’esame.

I tempi

La data, che era stata fissata dal ministro Bonafede per la seconda settimana di aprile, potrebbe non rimanere tale. Mancano ancora certezze, infatti, sulla data di inizio degli esami, che verrà comunicato a tutti gli iscritti con un nuovo decreto del ministero della Giustizia, entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto-legge.

“Il mio impegno è di portare un decreto al Consiglio dei Ministri davvero al più presto. Escludo quindi un rinvio per l'inizio dell'esame di Stato anche se non posso escludere che ci possa essere qualche ritardo per ragioni organizzative rispetto alle date di metà aprile già indicate per le prove scritte», ha fatto sapere la ministra Cartabia.

Si terranno due prove orali: la prima con il candidato in presenza nella sede d’esame, che può essere o uno degli uffici giudiziari della Corte d’Appello o i locali dei Consigli dell’ordine degli avvocati. Insieme a lui c’è un segretario, mentre la commissione d’esame è collegata da remoto.

La prima prova

I tre scritti canonici – parere di penale, parere di civile e atto a scelta – sono sostiuiti da un’unica prova orale della durata di un’ora. 

Il candidato sceglie una delle tre materie che erano oggetto degli scritti, quindi diritto civile, penale o amministrativo, e pesca una busta che contiene una questione simile a quella prevista per gli scritti: quindi un caso concreto, di cui il praticante deve valutare e argomentare la soluzione.

Il candidato quindi deve individuare la questione, le norme applicabili e gli orientamenti giurisprudenziali pertinenti. Per farlo può utilizzare i codici commentati per mezz’ora e prendere appunti, nella successiva mezz’ora invece deve discutere con la commissione e argomentare il caso.

A differenza di quanto succede con gli scritti, di cui si ha l’esito circa sei mesi dopo, la commissione si ritira in camera di consiglio e decide l’esito della prova immediatamente, comunicandolo anche al candidato. Per superarla, bisogna ottenere un minimo di 18 punti (ognuno dei 3 commissari della sottocommissione esaminatrice esprime un punteggio fino a 10 e poi i tre risultati si sommano).

La seconda prova

Per chi supera la prima, la seconda prova orale avviene entro i 30 giorni successivi. Si tratta di un orale identico a quello che si svolgerebbe senza l’emergenza covid, ma con l’unica differenza che non si svolge davanti all’intera commissione d’esame ma solo davanti alla sottocommissione di tre membri.

Quindi il candidato viene interrogato su sei materie di cui una deve essere una procedura e la sesta è la deontologia forense.

La novità, però, riguarda un secondo obbligo che non è previsto nelle sessioni normali d’esame: quella di dover comprendere tra le materie obbligatoriamente il diritto civile e il diritto penale, in quanto «materie già obbligatorie nelle prove scritte, se non già scelti per la prima prova orale».

A conclusione di questo secondo orale, se superato, il candidato viene dichiarato abilitato alla professione forense.

Queste modalità eccezionali di esame sono state il frutto di una interlocuzione tra il ministero e il Consiglio Nazionale Forense, con l’obiettivo di mettere fine ai continui rinvii.

Le polemiche

La scelta di questa formula con doppio orale, però, non è esente da rischi e polemiche. Il rischio di ricorsi, infatti, è alto: dei 26 mila praticanti, molti aspiranti avvocati hanno investito tempo e denaro in corsi per preparare le prove scritte che a questo punto è certo che non si terranno. 

Anche il Consiglio Nazionale Forense, che ha collaborato con il ministero per studiare le nuove regole, ha espresso alcune perplessità «per l’effettiva garanzia di equilibrio e parità di trattamento nei confronti di tutti coloro che affronteranno il primo colloquio orale».

In particolare, il Cnf aveva suggerito che i quesiti del primo orale fossero elaborati centralmente dal Ministero e non da ogni commissione esaminatrice: «Il Cnf interloquirà con il ministero della Giustizia e con la commissione centrale d’esame per verificare che non sussista un eventuale rischio di disparità di trattamento per gli aspiranti avvocati», ha detto la presidente Maria Masi.

Eppure, da parte dei politici della nuova maggioranza di governo, viene riconosciuta la celerità della ministra nel risolvere la questione che ormai si trascinava da mesi: «Siamo soddisfatti della decisione assunta dal Consiglio dei Ministri e in particolare dalla neo guardasigilli Marta Cartabia sull’esame di abilitazione forense, dopo l’immobilismo dell’ex ministro Alfonso Bonafede e del governo Conte bis», ha detto il deputato della Lega Jacopo Morrone.

I praticanti, che in questi mesi si sono riuniti in associazioni e hanno più volte sollecitato interventi all’ex ministro, hanno risposto positivamente alla fissazione di regole ma presentato delle osservazioni. L’Associazione italiana praticanti avvocati ha chiesto alcune modifiche in sede di conversione e in particolare «l’eliminazione del vincolo sulle materie sostanziali, tra diritto civile o diritto penale, per il secondo orale; senza dimenticare gli amministrativisti i quali sarebbero addirittura costretti a confrontarsi sia con diritto civile che con diritto penale» e «la garanzia di tempi congrui per la preparazione di entrambe le prove orali».

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