Il Consiglio di Stato ha annullato l’avviso pubblico del Ministero dell’Economia, che prevedeva di assegnare prestazioni professionali a professionisti del settore legale. Prestazioni che, però, dovevano essere svolte a titolo gratuito.

L’avviso, pubblicato nel febbraio 2019, era rivolto a professionisti con «consolidata e qualificata esperienza accademica e professionale documentabile di almeno 5 anni», anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari.

L'incarico, di durata biennale e non rinnovabile, era a titolo gratuito, con l'esclusione di ogni onere a carico dell'amministrazione. Inoltre, per recedere dal rapporto serviva l’avviso di 30 giorni e il completamento di eventuali progetti in corso.

L’avviso è stato impugnato al Tar dai consigli degli ordini di Roma e Napoli ma i giudici amministrativi lo avevano rigettato, ritenendo la richiesta di lavoro gratuito per la pubblica amministrazione pienamente legittima. Ora il Consiglio di Stato ribalta la decisione, ma solo in parte.

L’annullamento

Secondo i giudici di Palazzo Spada, infatti, l’avviso pubblico va annullato non perchè violi i principi dell’equo compenso per i professionisti, la cui norma è stata approvata nel 2017, ma per violazione delle regole sull’imparzialità dell’azione amministrativa, «sia sotto l’aspetto della formazione dell’elenco da cui attingere per i futuri affidamenti di incarichi, sia in relazione ai criteri da applicare di volta in volta per attribuire specificamente gli incarichi ai professionisti».

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, l’avviso pubblico aveva criteri troppo generici e per questo è da considerarsi illegittimo perchè la pubblica amministrazione deve utilizzare «canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti, di modo che in questo “nuovo mercato” delle libere professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri».

In pratica, avrebbero dovuto essere specificati meglio i criteri per scegliere i professionisti candidati, per evitare corsie preferenziali.

Nessun dubbio, invece, sulla legittimità di chiedere ai professionisti di lavorare gratis: «Nel quadro costituzionale ed eurounitario vigente la prestazione lavorativa a titolo gratuito è lecita e possibile e che il "ritorno” per chi la presta può consistere anche in un vantaggio indiretto (arricchimento curriculare, fama, prestigio, pubblicità)».

Tradotto: lavorare gratis per la pubblica amministrazione conviene, perchè si ottiene un vantaggio indiretto come voci di curriculum interessanti e pubblicità. E forse anche entrature presso gli uffici pubblici.

La domanda che segue è chi sia il libero professionista che può permettersi di lavorare senza incassare per due anni, senza ottenere vantaggi economici nemmeno in via indiretta.

L’equo compenso

Il paradosso è che alla Camera è stata approvata una proposta di legge che integra le norme già vigenti in materia di equo compenso per i professionisti.

In particolare, impone che i professionisti abbiano diritto ad essere retribuiti in modo equo anche nell'ambito dei rapporti contrattuali con la Pa e i cosiddetti “committenti forti”, come sono per esempio le imprese bancarie, le compagnie assicurative e le aziende di grandi dimensioni.

Questa legge ha l’obiettivo di evitare l’effetto dei grandi committenti che ottengono prezzi sotto soglia di mercato per prestazioni professionali da parte di studi che poi sperano di avvantaggiarsi di altre offerte di lavoro. Con questa pratica, però, a venire penalizzati sono i piccoli studi professionali e i singoli professionisti che non sono in grado di competere e di offrire prestazioni a prezzo altrettanto basso.

Secondo i giudici amministrativi, però, il caso del lavoro gratuito non va considerato lesivo dell’equo compenso.

Questo per un ragionamento peculiare: l’equo compenso si applica solo per contratti a titolo oneroso. Quando il contratto presuppone un pagamento, questo pagamento deve rispettare uno standard come previsto dalla legge.

Ma in questo caso il contratto è a titolo gratuito e l’equo compenso non può essere reclamato, visto che compenso non c’è. 

«La normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l’ulteriore che lo stesso debba essere sempre previsto», scrive il Consiglio di Stato.

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