Le motivazioni della parziale incostituzionalità della riforma dell’Autonomia differenziata – 166 pagine molto dense depositate – smontano in maniera decisa il cuore della legge Calderoli.

La sentenza esplicita i sette profili su cui la riforma è costituzionalmente carente e i cinque correttivi necessari. E ha due destinatari principali: la Cassazione che deve decidere sulla validità del referendum abrogativo su cui sono state raccolte le firme e il parlamento che – se si riusciranno a comporre le posizioni dei singoli partiti – dovrà intervenire con profonde modifiche, costituzionalmente orientate, alla legge.

Tra i punti fondamentali di criticità, emerge il fatto che la riforma non rispetti il principio di «sussidiarietà». Il correttivo individuato è quello di rendere necessario che l’eventuale autonomia venga concessa per singole «funzioni» e non, invece, per blocchi di materie come previsto dalla riforma.

L’articolo 116 della Costituzione «richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà», si legge nelle motivazioni, e «l’adeguatezza dell’attribuzione della funzione a un determinato livello territoriale di governo va valutata con riguardo ai criteri di efficacia ed efficienza, di equità e di responsabilità dell’autorità pubblica».

La Corte, inoltre, fissa un elenco delle materie in cui la concessione dell’autonomia è «in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà».

Le materie e i Lep

Il cuore della sentenza è il restringimento del tipo di funzioni trasferibili alle regioni. Il riferimento è ad alcune materie fissate dal 116 comma tre: quelle in cui «predominano le regolamentazioni dell’Unione europea» come la politica commerciale comune, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e del sistema elettrico e le grandi reti di trasporto e di navigazione, le «norme generali sull’istruzione» che hanno una «valenza necessariamente generale e unitaria», le funzioni relative alla materia delle «professioni», in particolare quelle ordinistiche, e i sistemi di comunicazione (elettronica o di internet) che hanno finalità di tutela dei consumatori e dunque afferiscono alla materia «tutela della concorrenza».

In altri termini, dunque, la Corte ha ristretto in via interpretativa le funzioni attribuibili, fissando così un caposaldo costituzionale a cui il parlamento dovrà adeguarsi.

Quanto alla determinazione dei Lep, sarà tutto da rifare. La sentenza ha stabilito che la loro determinazione dovrà avvenire «nel rispetto dei principi costituzionali» e dunque per via legislativa e non con Dpcm – quindi da parte del governo – come previsto dalla legge Calderoli.

In materia fiscale, invece, la Consulta ha spiegato che la riforma prevede la «facoltatività» del concorso delle regioni differenziate agli obiettivi di finanza pubblica e «ciò implica la possibilità di un regime più favorevole per queste regioni rispetto a quelle non destinatarie di forme particolari di autonomia: regime che non può trovare ragionevole giustificazione nell’assunzione delle funzioni richieste e trasferite. Di qui la violazione dell’articolo 3 della Costituzione». Infine, la Consulta ha fissato la sua competenza a sindacare, in futuro, ogni accordo di autonomia.

Le reazioni

Ora, come ha detto il presidente della Corte Augusto Barbera, spetta alla Cassazione «verificare se ci sono le condizioni o meno per il referendum». Eppure – secondo l’interpretazione di molti costituzionalisti e anche del ministro della Giustizia, Carlo Nordio – l’inammissibilità sembra inevitabile, visto quanto sono pervasive le modifiche imposte. Difficile che il quesito di abrogazione totale regga di fronte a un mutamento così sostanziale del testo.

Sul fronte politico, invece, la maggioranza sta cercando di rimettere insieme le idee. Il clima tra Lega e Forza Italia è più freddo che mai e gli azzurri non hanno mai fatto mistero del loro scetticismo sul testo Calderoli, tanto che ieri Antonio Tajani – che in passato aveva criticato il tentativo del Veneto di arrogarsi funzioni legate al suo ministero degli Esteri – ha espresso «forte soddisfazione per la sentenza», sottolineando che «non possono esserci deleghe alle regioni sul commercio internazionale» e «le mie osservazioni si sono rivelate fondate».

Uno schiaffone nemmeno troppo velato ai leghisti, che stanno valutando il da farsi. Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ancora spera: «La Corte indica la via» e «dà anche le soluzioni» sulle incostituzionalità, dunque «è sufficiente che il governo faccia queste modifiche, potremmo fare anche veloce». Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro Calderoli che, mentre Avs chiede una sua informativa urgente, sottolinea come «la sentenza conferma che la strada intrapresa dal governo e dal parlamento è giusta».

Sarà, ma le modifiche richieste hanno dato forza ad alcune delle rimostranze che erano emerse anche nella stessa maggioranza. Con l’effetto che l’arrivo in parlamento di un nuovo testo non sarà cosa breve, né dal punto di vista tecnico né soprattutto da quello politico.

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