Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, continua a non dare risposte e i magistrati onorari, che da più di un mese portano avanti le proteste, hanno proclamato quattro giorni di astensione dalle udienze: dal 19 al 22 gennaio.

«L’assenza di tutele assistenziali e le modalità di retribuzione a cottimo, in ragione delle sospensioni ex lege e della costrizione delle attività, in uno con lunghi periodi di malattia e quarantene, hanno prodotto devastanti conseguenze nella vita di 5000 servitori dello Stato e delle loro famiglie, rimasti privi di reddito e privi di adeguati indennizzi», si legge nella nota sottoscritta dalle associazioni di categoria che fanno parte della Consulta della magistratura onoraria.

Sotto accusa sono finite le mancate iniziative del ministero nell’assicurare ai magistrati onorari lo status di dipendenti, anche perchè in periodo di Covid proprio gli uffici dei magistrati onorari non hanno visto implementato il processo telematico.

Quanto ai ristori a causa della pandemia, gli onorari hanno avuto accesso per due mensilità ai 600 euro previsti dal decreto ma – pur operando in via prevalente nei tribunali – non hanno potuto godere di nessuna delle tutele del lavoro dipendente: se non presenziavano alle udienze assegnate, non percepivano il pagamento dell’onorario previsto a udienza. Il che, però, ha provocato una conseguenza: le giornate di lavoro svolte sono state decurtate dall’indennizzo dei 600 euro. «Le udienze di convalida degli arresti hanno visto centinaia di requirenti precari presenziare anche con la curva pandemica all’apice del proprio andamento. Tutti costoro, come estremo atto di spregio, hanno subito pulciose decurtazioni del ricchissimo paniere indennitario di maggio, vedendosi sottratte, al centesimo, dai 600€ d’indennizzo previsti, le somme per le giornate lavorative prestate nell’ambito delle suddette attività improcrastinabili, dopo aver messo a repentaglio la salute propria e dei propri cari».

La sentenza di Vicenza

A sostanziare la richiesta di riconoscimento dei magistrati onorari è anche una sentenza di merito del giudice del lavoro di Vicenza, che ha riconosciuto il diritto degli onorari venire parificati nei diritti giuslavoristici e non nello status ai magistrati ordinari. Si legge in sentenza: “Una ragione oggettiva che giustifichi la disparità di trattamento può bensì essere rappresentata dall’esistenza di un concorso iniziale, specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell’accesso in magistratura, cui non si fa ricorso per la nomina dei giudici di pace e dei magistrati onorari; ciò tuttavia solo ove vengano in rilievo diverse qualifiche richieste e diversa natura delle mansioni di cui le due categorie di lavoratori devono assumere la responsabilità: in altri termini, ove il trattamento differenziato derivi dalla necessità di tener conto di esigenze oggettive attinenti all’impiego che deve essere ricoperto. La natura delle mansioni – prosegue la sentenza – riferibili ai magistrati ordinari e GOT, e di conseguenza la competenza professionale richiesta, è sostanzialmente la medesima: non sussistono dunque ragioni oggettive che giustifichino quindi una diversità di trattamento tra lavoratori comparabili ... Va inoltre considerato che l’esercizio della funzione giurisdizionale non può essere considerata diversamente in ragione del valore delle controversie trattate, dal momento che non esiste una graduatoria di rilevanza della giurisdizione fondata sul valore economico dei diritti azionati in giudizio”.

L’appoggio di togati e avvocati

I magistrati ordinari si sono schierati a favore delle rivendicazioni degli onorari e lo stesso ha fatto anche l’Associazione nazionale magistrati per bocca del presidente Giuseppe Santalucia, che in una recente intervista ha dichiarato: «I 5mila giudici onorari e di pace che svolgono attualmente la professione hanno ricevuto un trattamento inaccettabile. Sono state date loro responsabilità sempre maggiori ma è 5 mancato il pieno riconoscimento dei loro diritti che, al contrario, sono stati mortificati. Ecco allora, per quanto riguarda loro, credo che sia il caso di garantire i diritti di cui non hanno goduto».

Appoggio alla protesta è arrivato anche dai consigli degli ordini degli avvocati. L’ultimo in ordine di tempo è arrivato dal consiglio dell’ordine di Napoli, che ha pubblicato il verbale della seduta del 22 dicembre in cui esprime solidarietà ai giudici onorari e «condivisione dei motivi delle loro manifestazioni, anche perchè le evidenti insufficienze della cosiddetta Riforma Orlando incidono fortemente sul buon andamento della giustizia e sulla funzione, terzietà, imparizialità e rispettabilità della magistratura onoraria, con conseguente scadimento quantitativo e qualitativo della giurisdizione». 

In Parlamento 

Intanto, in Parlamento, il Partito democratico è intervenuto sul tema in commissione Giustizia del Senato, con il capogruppo in commissione Franco Mirabelli. «Abbiamo proposto al governo di fare al più presto un decreto con le norme discusse e condivise finora al Senato, che possa consentire di mettere subito più soldi per le indennità e i riconoscimenti ai magistrati onorari. Vogliamo garantire misure che diventino subito operative prima che ad agosto entri in vigore la riforma Orlando», ha spiegato Mirabelli, dicendo che sia il ministro della Giustizia Bonafede che i sottosegretari Giorgis e Ferraresi hanno dato la loro disponibilità a far si che il tutto possa «concretizzarsi in tempi brevissimi».

In concreto, il Pd sostiene la strada del decreto, visto che il testo unificato e condiviso dalla maggioranza è fermo in Senato. Quanto al merito, «Prevediamo che sia possibile lavorare per tre giorni alla settimana. Fissiamo un'indennità più alta rispetto a quella stabilita nel 2017. Nel testo sono previsti fino a 38mila euro all'anno, più una quota di 98 euro per ogni udienza sostenuta». Sul fronte previdenziale, Mirabelli apre la strada a che, in sede di decreto, «si ragioni anche di un aumento dell'investimento per consentire ai magistrati onorari e ai giudici di pace di potersi costruire un percorso previdenziale e un'assicurazione sanitaria. Per loro ci sarà comunque la proroga dell'incarico per altri quattro quadrienni, prevedendo però che possano lavorare fino a 70 anni, mentre quelli che hanno cominciato a lavorare dopo la legge Orlando potranno restare in servizio fino a 65 anni».

Il punto, tuttavia, rimane lo stesso: serve una riforma ampia che riprenda in considerazione  e inquadri correttamente l’intera categoria. Che, per ora, sceglie la via dura dell’astensione.

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