La notizia dell’esistenza della presunta loggia segreta denominata “Ungheria”, composta da magistrati, alti funzionari di stato e avvocati e nata per condizionare inchieste giudiziarie e nomine, nasce dalla rivelazione del segreto d’ufficio compiuta da un magistrato milanese, Paolo Storari. E’ lui, che ha sostenuto di aver agito in «autotutela» perché preoccupato dall’«inerzia» della procura di Milano, a consegnare al togato del Consiglio superiore della magistratura Piercamillo Davigo i verbali segreti resi dall’ex legale di Eni, Piero Amara, in cui racconta della loggia.

Questa consegna, avvenuta tra il marzo e l’aprile 2020 nella casa milanese di Davigo, ha generato un inestricabile cortocircuito tra procure. Da che nessun fascicolo era stato aperto, ora le indagini sono parcellizzate in quattro diversi uffici, che ora indagano gli uni sugli altri.

Milano e Perugia

A dare la dimensione dell’amalgama è il caso dello stesso Storari. Dopo che ha consegnato i verbali a Davigo, il togato comunica informalmente il contenuto ad alcuni membri del Csm: sicuramente al comitato di presidenza composto dal vicepresidente David Ermini, il pg di Cassazione Giovanni Salvi e il primo presidente di Cassazione Pietro Curzio, ma anche al laico Fulvio Gigliotti e forse anche ai togati Giuseppe Cascini e Giuseppe Marra. Tuttavia pubblicamente nulla succede e Davigo va in pensione e decade da consigliere nell’ottobre 2020. Poco dopo, al Fatto Quotidiano e a Repubblica vengono inviati in forma anonima dei plichi contenenti i verbali segreti, i giornalisti però non li pubblicano e denunciano il fatto rispettivamente alle procure di Milano e Roma. La procura di Roma indaga e, ad aprile 2021, scopre che la mittente sarebbe la ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, indagata per calunnia.

A fine 2020 anche Milano però apre un fascicolo a partire dalla denuncia del giornalista del Fatto, che il procuratore capo di Milano Francesco Greco assegna allo stesso Storari. Del resto, i verbali oggetto della fuga di notizie sono gli stessi che contengono le dichiarazioni dell’ex legalde di Eni, Piero Amara, raccolte da lui raccolti insieme all’aggiunta Laura Pedio. Storari, dunque, si trova a indagare su se stesso: i verbali arrivati al Fatto, infatti, sarebbero gli stessi che lui ha consegnato a Davigo e dunque l’origine della fuga di notizie sarebbe lui.

Storari potrebbe non aver subito capito: infatti inizia a indagare e dispone addirittura una consulenza per stabilire la provenienza delle carte. Per circa quattro mesi Storari è titolare del fascicolo sulla fuga di notizie, di cui si spoglia solo l’8 aprile di quest’anno, quando scopre che nell'indagine aperta a Roma è coinvolta l'ex segretaria di Davigo. Solo allora Storari riferisce a Greco per la prima volta di aver consegnato le carte al togato del Csm e si chiama fuori dall’indagine.

Ma non è l’unico fascicolo che sarebbe tuttora aperto a Milano. Nonostante l’inerzia denunciata da Storari, a inizio 2020 la procura meneghina si coordina con quella di Perugia sui verbali di Amara, che contengono tra i possibili indagati nomi di magistrati romani e dunque la competenza è degli uffici umbri. Il 9 maggio 2020 la procura di Milano iscrive nel registro delle notizie di reato lo stesso Piero Amara, il suo collaboratore Alessandro Ferraro e l’avvocato Giuseppe Calafiore, con l’ipotesi di reato di associazione segreta.

Un fascicolo gemello è aperto a Perugia, a cui nel gennaio 2021 Milano trasmette ufficialmente i verbali di Amara. Anche qui l’ipotesi accusatoria è di associazione segreta e gli indagati dovrebbero essere dei magistrati romani di cui ancora non si conoscono i nomi. Sempre a Perugia, inoltre, è in corso il processo a Luca Palamara (a sua volta tirato in ballo da Amara, che ne sarebbe il corruttore), che però ormai sembra essere diventato solo un filone laterale nella storia della presunta loggia.

Roma e Brescia

A Roma, invece, sono stati aperti due fascicoli. Il primo è quello nato dalla denuncia della giornalista di Repubblica, Liana Milella, dopo aver ricevuto i verbali anonimi. E’ stata lei a portare la procura a individuare la ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, oggi indagata per calunnia. La funzionaria inizialmente si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Il suo avvocato Alessia Angelini ha chiesto al tribunale del Riesame il dissequestro dei documenti sequestrati (una scelta difensiva che permette di conoscere le prove in mano all’accusa) e ha dichiarato che «manca il presupposto per la configurabilità del reato calunnia», ovvero la coscienza di accusare qualcuno di un reato, sapendo che non lo ha commesso. Poi ha aggiunto che la sua cliente «è intenzionata a collaborare alle indagini». Segno che forse la storia è meno lineare di come apparsa fino ad ora.

Inoltre è in corso uno scontro tra Roma e Brescia. Entrambe le procure hanno aperto un fascicolo con la stessa ipotesi: rivelazione di segreto d’ufficio da parte di Storari. A determinare la competenza per l’indagine, è il luogo in cui il reato si sarebbe consumato. Se i verbali sono stati consegnati a Davigo a Roma, allora l’indagine spetta alla procura di Michele Prestipino. Se invece la consegna è avvenuta a Milano, come ha detto Davigo nei giorni scorsi, la competenza è di Brescia in quanto ufficio titolare delle indagini sui magistrati milanesi.

A dirimere la questione sarà probabilmente l’interrogatorio di Storari, previsto per sabato davanti ai magistrati della capitale.

Per ora, dunque, l’unica certezza in tutti questi procedimenti aperti è la costituzione di parte offesa da parte del Csm. La richiesta è stata presentata formalmente durante l’ultimo plenum da parte dei togati di Magistratura indipendente e il comitato di presidenza ha deciso di accoglierla.

 

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