Negli ultimi anni abbiamo assistito alla diffusione e al boom di popolarità delle criptovalute che hanno avuto un ruolo da protagoniste, tra aneddoti di indubbia ilarità, improvvisi arricchimenti, rovinosi fallimenti e, addirittura, strategie di guerra. Ma cosa sono le criptovalute?

Si tratta di riserve di valore protette da crittografia basate su una blockchain indipendente (monete e altcoin) o sull’infrastruttura di una blockchain appartenente ad altri (come i token, che sono assett non nativi), e possono essere estremamente volatili o tendenzialmente stabili (a seconda dell’asset, esterno o meno, cui sono ancorate). Sono utilizzate per assolvere a diverse funzioni e sono capaci di assumere svariate vesti: ne esistono a migliaia, tra bitocoin (BTC), ether (ETH), dogecoin (DOGE), binance coin (BNB), Tether (USDT), Solana (SOL), XRP, Cardano (ADA), USD Coin, Terra (Luna), Avalanche (AVAX), eccetera.

I bitcoin

Il bitcoin è stato creato, nel 2009, da Satoshi Nakamoto (è solo uno pseudonimo, sulla sua identità si è fantasticato molto) e oggi ha un valore che si aggira intorno ai venticinque mila euro. Da quel momento le criptovalute sono proliferate, dando prova, attraverso guadagni spropositati e catastrofiche perdite, della loro estrema instabilità. Nell’estate del 2020 è stata creata, da Ryoshi (altro nome di fantasia) una nuova criptovaluta, la Shiba INU, con un prezzo iniziale infinitesimale, schizzato poi alle stelle grazie a uno scambio di battute su twitter tra il direttore di Tesla, Hiromichi Mizuno, e Elon Musk: si giocava sul nome della valuta, che è anche quello di una razza canina giapponese, e sulla necessità di non trattare i teneri cuccioli di Shiba come fossero valute su cui investire a breve termine.

Nel gennaio 2018 è stato sottratto a Coincheck, la più grande piattaforma di scambio di criptovalute del Giappone, più di mezzo miliardo di dollari. Nel 2014 Mt Gox – allora la più grande piattaforma al mondo per lo scambio di bitcoin – ha misteriosamente perso bitcoin per un valore di 450 milioni di dollari e, poco dopo, ha dichiarato fallimento. Nel 2022, l’informatico trentunenne Do Kwon, fondatore della blockchain Terra e accusato di essere dietro il crack di quaranta miliardi della crypto-Luna, è stato catturato mentre era in fuga e arrestato. Lo stesso anno ha avuto luogo l’arresto, alle Bahamas, di Sam Bankman-Fried, fondatore della piattaforma di scambio FTX, ora fallita: è stato accusato di una delle maggiori frodi finanziarie della storia americana.

Il conflitto ucraino

Persino nel conflitto russo-ucraino le criptovalute hanno avuto il loro ruolo da protagoniste: quella tra Russia e Ucraina, oltre a essere una guerra convenzionale, è infatti anche una delle prime guerre digitali, non solo perché si svolge, in grande parte, sul piano mediatico, ma anche per il rilievo che ha avuto, sul piano finanziario, la tecnologia blockchain. Dall’inizio dell’invasione a oggi sono stati donati all’Ucraina oltre cento milioni di dollari in criptovalute (addirittura Save the Children, per la prima volta, ha avviato una raccolta fondi che accetta criptovalute, anche derivanti dalla vendita di opere NFT) e il 16 marzo 2022 il Parlamento ucraino ha approvato una legge finalizzata a consentire le operazioni virtuali. Poco dopo è nato Kuna, il più grande crypto exchange ucraino – una piattaforma tecnologica che permette di scambiare e donare moneta elettronica – ed è stata creata la prima criptovaluta ucraina (la UAC cryptocurrency), lanciata il 21 settembre, in occasione della Giornata internazionale della Pace.

Nei primi mesi del 2023, tuttavia, il governo ucraino ha assunto una posizione anti-crypto: nonostante le molte donazioni ricevute e l’ammissione, da parte del viceministro della trasformazione digitale, che la velocità dei pagamenti in crypto abbia accelerato la capacità del Paese di rispondere all’invasione russa, la Banca centrale ucraina ha sospeso, in via temporanea, l’uso della valuta nazionale tramite carte bancarie per depositi e prelievi sugli scambi di criptovalute.

Nonostante il 2022 sia stato un anno catastrofico per le criptovalute, che ha visto susseguirsi scandali, arresti, condanne, vertiginosi crolli di valore e fallimenti, il 2023 ha registrato un netto rialzo di alcuni valori (per esempio di bitcoin). Gli investitori, continuano, però, a manifestare interesse verso il mondo della cripto-attività, nonostante l’estrema volatilità di tali strumenti che, solo impropriamente, sono chiamati “monete: si tratta, invece, di mezzi di pagamento che vengono accettati su base volontaria, privi di valore legale (tranne a El Salvador, dove lo hanno assunto nel 2021 con la Ley bitcoin), con scarsa liquidabilità, un valore non uniforme e una circolazione limitata; per tali ragioni possono essere considerate, al massimo, “monete distribuite libere”.

La definizione

La problematicità legata alla definizione di criptovaluta è stata affrontata anche dal giudice amministrativo italiano (TAR Lazio, sentenza 1077/2020), il quale ha chiarito che non esiste una definizione univoca e che la natura giuridica varia a seconda delle operazioni effettuate attraverso tali strumenti. In ogni caso, il TAR ha escluso che le cripto-valute possano essere considerate “moneta”, nel senso convenzionale, poiché volatili e poiché non hanno corso legale. Non si tratta, però, neanche di semplici strumenti di scambio poiché, pur nella loro immaterialità, sono in grado di produrre diritti e obbligazioni: il giudice amministrativo li considera, quindi, strumenti finanziari che assumono una diversa qualificazione a seconda della funzione che assolvono, siano essi utilizzati per compiere operazioni di acquisto di beni e servizi o, invece, impiegati con finalità di investimento.

A fiutare le opportunità che si celano dietro a tali meccanismi e valori non vi sono soltanto i privati, ma anche gli Stati: la banca centrale cinese, per esempio, ha sviluppato un proprio sistema per l’emissione di uno yuan digitale; in Svezia è stata già testato lo sviluppo di una criptovaluta statale (la e-krona); la BCE ha istituito un gruppo di lavoro per analizzare i problemi e i vantaggi che deriverebbero dall’introduzione di una moneta digitale di banca centrale (meglio nota come CBDC) e sta sviluppando un euro digitale.

Le CBDC sarebbero ben diverse dalle comuni criptovalute, in quanto, proprio come le valute tradizionali: avrebbero natura contabile di passività emessa da parte di una banca centrale (per un tempo indefinito e senza remunerazione); verrebbero denominate secondo un’unità di conto esistente; sarebbero dotate di valore legale, il che garantirebbe la loro funzione di mezzo di scambio e di unità di conservazione del valore. A differenza dalle valute digitali, poi, le CBDC sarebbero pienamente capaci di sostituire il denaro contante. Un approfondito studio del World Economic Forum, rileva i pro e i contro delle CBDC: da un lato, il loro impiego porterebbe a trasferimenti transfrontalieri più veloci ed economici, aumenterebbe gli utenti (con un effetto certamente più inclusivo), e ridurrebbe alcuni rischi (come quelli di perdite, di evasione fiscale, corruzione e altre attività illecite); dall’altro lato, però, vi sarebbero indubbi effetti sulla stabilità finanziaria (a causa dello spostamento dei depositi dalle banche commerciali a quelle centrali) e nascerebbero nuovi rischi, connessi alla tutela della privacy e alla cybersicurezza.

Le “valute stabili”

La tendenza più innovativa sembra essere, inoltre, quella degli stablecoins: si tratterebbe di “valute stabili”, anch’esse basate sulla tecnologia blockchain, ma il cui valore è ancorato a elementi dotati di maggiore stabilità (per esempio una valuta fisica o un bene materiale), sistema che dovrebbe evitare le forti e imprevedibili oscillazioni tipiche delle criptovalute. Tra queste vi è, per esempio, il Tether (USDT), moneta “teoricamente” supportata da un numero equivalente di dollari statunitensi che, per tale ragione, ha un prezzo meno volatile. Tuttavia, la questione è molto dibattuta, poiché anche le stablecoins hanno dato modo di provare la loro tendenziale instabilità.

Tra opportunità, problemi e paradossi è sempre stata ribadita, negli anni, la stessa lampante necessità: che la criptoattività venga, finalmente, regolamentata, cosa resa ancor più difficile dal carattere “aterritoriale” di tali valute. Tentativi di regolamentazione non sono mancati, tra estensioni alle criptovalute delle varie normative in materia fiscale, di antiriciclaggio e di contrasto al terrorismo. Tuttavia, il 2023 sarà l’anno dei crypto-regulators: il Parlamento europeo, infatti, ha di recente approvato il Regolamento UE MiCA (Markets in Crypto-Asset) che contiene una dettagliata normativa in materia la quale dovrà essere attuata in maniera uniforme da tutti gli Stati membri.

Il tar Lazio

 La problematicità legata alla definizione di criptovaluta è stata affrontata anche dal giudice amministrativo italiano (TAR Lazio, sentenza 1077/2020), il quale ha chiarito che non esiste una definizione univoca e che la natura giuridica varia a seconda delle operazioni effettuate attraverso tali strumenti. In ogni caso, il TAR ha escluso che le cripto-valute possano essere considerate “moneta”, nel senso convenzionale, poiché volatili e poiché non hanno corso legale. Non si tratta, però, neanche di semplici strumenti di scambio poiché, pur nella loro immaterialità, sono in grado di produrre diritti e obbligazioni: il giudice amministrativo li considera, quindi, strumenti finanziari che assumono una diversa qualificazione a seconda della funzione che assolvono, siano essi utilizzati per compiere operazioni di acquisto di beni e servizi o, invece, impiegati con finalità di investimento. Alle stesse conclusione si arriva leggendo la Direttiva 2018/843/UE che definisce la moneta elettronica come una “rappresentazione digitale di valore” che può avere differenti utilizzi.

Ciò, porterà ad abbracciare, su tutto il suolo europeo, un’unica soluzione definitoria e ad applicare regole armonizzate tra gli Stati membri. Aumenteranno le garanzie sia sul lato dei consumatori che sul lato della stabilità finanziaria e, di conseguenza, anche la fiducia degli utenti verso il sistema.

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