La disputa per la guida della procura generale di Roma si è chiusa con un passo indietro del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.

All’unanimità, infatti, la Quinta commissione del Csm ha indicato come prossimo vertice dell’ufficio l’attuale procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato. Così, il plenum non dovrà fare altro che ratificare la scelta e dunque non si concretizzerà la sfida all’ultimo voto con il procuratore capo di La Spezia, Antonio Patrono.

Formalmente tra questa nomina dell’autogoverno delle toghe e il sottosegretario Mantovano non ci sono legami, anzi l’esecutivo dovrebbe rimanere estraneo a tutto ciò che riguarda gli incarichi dei magistrati. Tuttavia, come ha raccontato Domani, l’ex magistrato Mantovano si è interessato personalmente della nomina, caldeggiando il nome di patrono soprattutto ai consiglieri laici di centrodestra, ma anche alle toghe conservatrici di Magistratura indipendente, di cui sia Patrono che Mantovano sono stati esponenti.

Il veto su Amato, secondo fonti del Csm, sarebbe derivato dal fatto di essere stato il pm che ha archiviato l’indagine su Marco Cappato che, con altri due membri dell’associazione Luca Coscioni, aveva portato una malata di Parkinson a morire in Svizzera. Decisione considerata inaccettabile dal potente sottosegretario, molto legato al mondo cattolico conservatore.

I voti per Amato

La ragione di questo movimento che ha stupito e imbarazzato i componenti del Csm è il fatto che la procura generale di Roma è un ufficio chiave, perché è il punto di passaggio per gli apparati di sicurezza interna visto che ha la responsabilità di autorizzare tutte le intercettazioni preventive richieste per ragioni di sicurezza nazionale dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi). La cui autorità delegata a Palazzo Chigi, guarda caso, è proprio Mantovano.

Il fatto che il nome di Amato abbia raccolto tutti e sei i voti di commissione Incarichi direttivi (di cui fa parte la laica di FdI e che è presieduta dalla togata di Mi, Maria Luisa Mazzola), invece, ha troncato sul nascere il rischio di un potenzialmente aspro confronto in plenum con l’ombra del sottosegretario a incombere.

A favore del magistrato che fa parte della corrente centrista di Unicost ha giocato prima di tutto il curriculum: Amato ha ricoperto tre incarichi direttivi alla guida di procure, di cui due – Trento e Bologna – distrettuali. Patrono, pur potendo vantare anche lui una carriera prestigiosa, ne ha invece dirette solo due.

Il terzo candidato considerato in lizza, invece, era il procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino, il quale è subito uscito dai giochi perché non ha all’attivo nessun incarico direttivo, ma la stessa commissione, all’unanimità, lo ha destinato all’incarico di procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia guidata da Giovanni Melillo.

Un ruolo chiave

La prova di unità della commissione ha messo al riparo il Csm da ipotesi e illazioni su un incarico così delicato in chiave di controllo sull’operato dei servizi di intelligence. Del resto, storicamente e proprio a causa del suo essere crocevia di interessi che toccano vari mondi, lo sforzo è sempre stato quello di assegnare il vertice della procura generale di Roma con un accordo il più possibile unanime dentro il Consiglio, scegliendo un nome trasversale oltre che dal curriculum solido.

Amato, magistrato considerato serio e moderato ma anche abile nel gestire situazioni delicate, vanta buoni rapporti non solo con gli esponenti del gruppo di Unicost a cui appartiene, ma anche con quelli di Magistratura indipendente, che infatti avevano accolto con imbarazzo le pressioni in favore di Patrono, che era sì stato membro di Mi, ma l’aveva lasciata per entrare in Autonomia & Indipendenza, la corrente fondata da Piercamillo Davigo. Nei suoi anni al vertice della procura bolognese, inoltre, Amato ha incrociato sul suo cammino anche l’attuale ministro Matteo Piantedosi, che è stato prefetto di Bologna dal 2017 al 2018.

Si avvia così verso la chiusura l’iter di una nomina che spetta in via esclusiva al Csm, che procede in modo assolutamente indipendente, ma su cui si concentrano le attenzioni di altri poteri. Le sedute per questo ufficio, infatti, sono seguite con particolare interesse dal ministero della Difesa, da quello dell’Interno, dall’autorità delegata di palazzo Chigi e dal Copasir, ovvero tutte le istituzioni che hanno a che fare con la sicurezza nazionale.

Visti tutti questi occhi puntati, dunque, il tentativo di Mantovano di spingere per Patrono rischia di aver ottenuto il risultato opposto di penalizzarlo. Ambienti istituzionali, infatti, avrebbero colto con fastidio questi movimenti più che irrituali e sarebbero intervenuti per bloccare un’impropria intromissione, per di più ormai nota a tutti i membri del Consiglio. Lo stop ha funzionato e a dimostrarlo è stata proprio l’unanimità raggiunta in commissione: si è espressa in favore di Amato anche la laica in quota FdI, Daniela Bianchini, avvocata e componente del Centro studi Livatino di cui Mantovano è stato vicepresidente.

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