Marcello Basilico, consigliere togato di Area, spiega che la convergenza con Mi sul testo unico per le nomine è avvenuta con l’obiettivo di «una soluzione mediana» e attacca i laici: «Si muovono come la corrente del governo dentro il Csm»
Marcello Basilico, consigliere di Area, la vostra proposta del testo unico sulle nomine ha prevalso ma ha diviso il Csm. Secondo i contrari, che volevano un meccanismo a punteggi, la vostra è una proposta conservatrice e non risolve le storture del caso Palamara.
Io credo che il testo unico appena approvato vada in una direzione avanzata di ridimensionamento degli spazi di discrezionalità del Csm, una direzione voluta da tutti per rendere più chiare le decisioni. È un testo di minore impatto rispetto a quello che prevedeva i punteggi, perché ha un impianto più tradizionale, ma di portata non minore nell’ancorare le scelte consiliari a parametri predeterminati e che, al contempo, è meno cervellotica. La nostra proposta fissa una serie di fasce selettive, cui seguono criteri ordinati gerarchicamente e secondo scelte di valore precise.
Voi, corrente progressista, avete votato con i conservatori di Magistratura indipendente. Vi hanno accusati di aver fatto un patto scellerato per difendere il carrierismo.
Non è così. La convergenza è venuta per fatti storici ben precisi. Noi abbiamo accolto l’invito, venuto anche dal Colle, a ricercare una soluzione unitaria e abbiamo lavorato a una proposta alternativa a quelle in campo, per sondare poi le disponibilità ad aderire a questa soluzione mediana, che bilanciasse predeterminazione dei criteri con la discrezionalità propria di un organo costituzionale. Da una parte questa disponibilità non v’è stata, mentre Mi ha aperto alla convergenza. La soluzione che ne è scaturita ci è sembrata rispondere ai valori e alle esigenze che ci eravamo prospettati.
In plenum si è parlato di convergenza innaturale.
Si è dato luogo a una sorta di guerra di religione tra supposti conservatori e pretesi riformatori dei vecchi costumi. Così si è dipinto un quadro non veritiero della dinamica con cui le proposte sono nate e dei loro reali contenuti, offrendo l’immagine di un Csm molto diviso.
E non è così? Il voto è finito 16 a 14...
Al di là del voto, i due testi differiscono meno di quanto si è voluto fare apparire. Gli stessi fautori dei punteggi hanno riconosciuto l’apporto migliorativo che abbiamo dato alla loro proposta. Tra i togati v’è stata molta più collaborazione di quanto non sia stato fatto trasparire.
I laici di centrodestra – prima orientati per l’astensione – hanno invece trovato convergenza con Magistratura democratica e Unicost. Che strategia hanno usato?
Siamo davvero rammaricati del loro modesto contributo alla fase preparatoria e, soprattutto, della loro mancata partecipazione al dibattito. Sono rimasti alla finestra fino all’ultimo, rivelando poi la propria preferenza solo al momento del voto e appoggiando la proposta dei punteggi con una motivazione precisa: la sua sintonia con il disegno governativo della separazione delle carriere e del sorteggio. Negli automatismi del punteggio, hanno colto l’idea di un Csm simile a un ufficio del personale e di consiglieri privi di valori identificativi che li guidino nel loro operato. Insomma, un Csm a misura di un corpo di magistrati impiegatizio e burocrate. Rilevo poi che sono proprio i laici di centrodestra, tanto critici verso il correntismo, ad agire con una logica di schieramento: quello della maggioranza governativa.
Ma non è normale che i laici eletti da una stessa parte politica si muovano insieme?
Non possiamo dire che risponda pienamente all’assetto costituzionale. I professori universitari e gli avvocati sono eletti perché portino al Csm un contributo alto nell’interesse dell’intero quadro parlamentare e della collettività. Assistiamo invece troppo spesso a prese di posizione della componente laica in favore o contro un magistrato perché orientate dal tasso di gradimento della maggioranza governativa.
Lei paventa una connessione tra il comportamento dei laici al Csm e la riforma della giustizia.
Vi colgo una doppia connessione. La critica costante all’autorevolezza del Csm, spesso disancorata dal caso concreto, tende ad avallare l’idea che sia necessario e urgente un intervento riformatore. Inoltre, il modello impiegatizio che si vuole affermare discrimina il magistrato nel suo diritto a partecipare al dibattito pubblico e contraddice la Costituzione che descrive l’ordine giudiziario come potere diffuso, che interpreta le leggi ed evolve la propria giurisprudenza insieme con la società sino ad arrivare alla parola finale spettante alla Cassazione.
Con quale obiettivo?
Temo sia quello di una magistratura silente, che non disturbi il manovratore.
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