Tutti i togati e il laico del Pd, Roberto Romboli, hanno chiesto l’apertura della pratica dopo che il ministro in Aula ha parlato di «clonazioni» di fascicoli e «indagini occulte ed eterne» dei pm
La vigilia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario è già caldissima, nello scontro tra toghe e governo.
I togati di tutte le correnti del Csm e il laico in quota Pd, Roberto Romboli, hanno infatti presentato al comitato di presidenza la richiesta dell’apertura di una pratica a tutela dell’ordine giudiziario dopo le parole in aula del ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Un atto dal forte connotato politico, visto che significa accusare il ministro di aver leso il prestigio e l’indipendenza dei giudici.
Nella sua relazione annuale sullo stato della giustizia in parlamento, il guardasigilli ha infatti parlato della separazione delle carriere e non ha risparmiato toni aspri, dicendo: «Quanto, poi, al timore che il pm diventi un superpoliziotto, la risposta è assai semplice: nel sistema attuale esso è già un super poliziotto, con l'aggravante che, però, godendo delle stesse garanzie del giudice, egli esercita un potere immenso, senza alcuna reale responsabilità» e ancora «Oggi infatti il pm non solo dirige le indagini, ma addirittura le crea, attraverso la cosiddetta clonazione del fascicolo, svincolata da qualsiasi parametro e da qualsiasi controllo, che può sottoporre una persona a indagini occulte, eterne e che, alla fine, creano disastri, anche finanziari, nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, che sono irreparabili. Pensiamo a quante inchieste sono state inventate (nel vero senso della parola), si sono concluse con sentenze la cui formula è «il fatto non sussiste» e sono costate milioni e milioni di euro in intercettazioni, in tempi, in ore di lavoro perdute e in altro».
La reazione
A fronte di queste dichiarazioni, nella richiesta di pratica presentata si legge che le parole del ministro «appaiono, inoltre, ancora più gravi perché provenienti da uno dei titolari dell’azione disciplinare che ha l’obbligo di segnalare e perseguire le condotte che egli, con impropria e gratuita generalizzazione, pretende di attribuire alla generalità dei pubblici ministeri italiani». Il ministro della Giustizia, infatti, ha il potere di chiedere al procuratore generale presso la Cassazione l’apertura di procedimenti disciplinari.
Per questo, i consiglieri firmatari hanno ritenuto che le parole del ministro integrino un «comportamento lesivo del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento alla credibilità della funzione giudiziaria».
A discostarsi da questa posizione presa in particolare dai consiglieri togati – tutti uniti a prescindere dagli orientamenti – è il laico in quota Forza Italia, Enrico Aimi, che si è detto «stupito e sconcertato» dall’iniziativa «surreale». «A poche ore dalle Cerimonie per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2025, queste suggestioni allarmistiche non fanno altro che esacerbare i già tesi rapporti tra Magistratura e Esecutivo», ha scritto in una nota, aggiungendo: «Ricordo ai colleghi che il Consiglio Superiore della Magistratura non è la terza Camera. Tra i suoi compiti non c'è quello di fare opposizione al Governo, biasimando le parole del Ministro pronunciate peraltro nell'Aula del Senato della Repubblica».
Poi Aimi lancia una stilettata ai togati, collegando l’iniziativa alle imminenti elezioni dell’Associazione nazionale magistrati che si svolgeranno a fine mese: «Capisco che creino un clima da campagna elettorale che porta ad alzare sempre di più l'asticella dello scontro istituzionale, ma a tutto c'è un limite».
Cosa è
La pratica a tutela è un atto che non produce effetti concreti ma è una iniziativa volta a ottenere dal Consiglio, che è l’organo apicale della magistratura, difesa nei confronti del singolo magistrato o dell’ordine giudiziario. Si tratta quindi di una sorta di presa di posizione ufficiale, con cui il Csm stigmatizza parole o comportamenti considerati lesivi della categoria. L’atto ha quindi un peso politico, soprattutto in questo caso visto che viene proposto nei confronti del ministro della Giustizia.
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