Lunedì 9 dicembre in Aula alla Camera la riforma della separazione delle carriere e di sorteggio dei consiglieri togati. Magistrati contabili sulle barricate per evitare di venire trasformata in un organo ausiliario
Procede a grandi passi il disegno del centrodestra per ridimensionare la magistratura, sia ordinaria che contabile. Per una concomitanza di date, infatti, oggi arriva in aula alla Camera la riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario – la cosiddetta riforma Nordio – e dovrebbe concludere l’iter in commissione la proposta di legge di riforma della Corte dei Conti.
L’approvazione della riforma costituzionale in commissione Affari costituzionali è stata accolta dal giubilo di Forza Italia, che si è intestata la norma più caratterizzante – la separazione delle carriere giudicante e requirente – come battaglia storica di Silvio Berlusconi. Nonostante il progetto porti il nome del ministro Carlo Nordio, infatti, la riforma è da sempre legata agli azzurri e ora sta correndo in modo insperato, superando anche il presidenzialismo («madre di tutte le riforme» secondo Meloni e ora silenziosamente accantonato).
La seconda, invece, è frutto di un lavoro soprattutto di Fratelli d’Italia e della sua testa a palazzo Chigi. La riforma della magistratura contabile, infatti, porta le impronte del consigliere giuridico di Giorgia Meloni e in aria di Corte costituzionale, Francesco Saverio Marini.
L’ispirazione, poi, verrebbe dal sottosegretario Alfredo Mantovano e non a caso la prima firma con cui la proposta di legge è stata depositata è stata quella del capogruppo alla Camera Tommaso Foti, oggi promosso ministro agli Affari europei proprio in virtù della sua indiscussa fedeltà alla linea. Secondo quanto risulta dalla capigruppo, la riforma arriverà in aula a gennaio così che ci sia tempo per la presentazione di un emendamento che dovrebbe addolcirne i connotati dopo i durissimi rilievi della magistratura contabile e i rilievi che sarebbero informalmente arrivati anche dal Colle.
Un disegno unitario
Anche se avranno decorsi diversi, il disegno che le due riforme perseguono è unitario: tramutare due organi di rilevanza costituzionale come il Consiglio superiore della magistratura e la Corte dei conti in organi di alta amministrazione, riducendone invece l’impulso autonomo di discrezionalità.
Se la misura bandiera della riforma Nordio è la separazione delle carriere, sono infatti anche gli altri articoli a impensierire le toghe: la creazione conseguente di due autonomi Csm, a cui però verrà sottratta la potestà disciplinare per affidarla a un’unica Alta corte, e la nomina dei consiglieri togati attraverso il meccanismo del sorteggio puro e non più dell’elezione tra magistrati. «Così scardineremo il correntismo», è il ritornello degli esponenti del governo, che considerano la riforma la risposta compiuta allo scandalo Palamara del 2019, che fece emergere il meccanismo delle nomine pilotate dai gruppi associativi.
In realtà, l’esito politico dell’iniziativa è duplice. La separazione ordinamentale delle carriere (dovranno svolgersi due concorsi separati per giudici e pm, separandoli quindi nella giurisdizione) è sì un modo di rendere effettivo «il sistema accusatorio previsto dal codice Vassalli», come dice Nordio, ma rischia di aprire la strada anche alla sottoposizione del pm all’esecutivo, tramutandolo in un superpoliziotto molto più vicino alla polizia giudiziaria che ai colleghi giudicanti.
La riforma della legge elettorale del Csm con il sorteggio, invece, è un modo per depotenziare il Consiglio nel suo peso politico-istituzionale: non sarà più l’organo di governo autonomo della magistratura in cui le toghe scelgono i loro rappresentanti, ma diventerà un luogo di amministrazione in cui le toghe sorteggiate si muoveranno senza alcun riferimento rispetto alla base.
Scelta simile verrà fatta anche per la magistratura contabile. La proposta di legge Foti, infatti, punta a riformare le funzioni di controllo e consultive della Corte dei conti e a modificare la responsabilità per danno erariale.
La paura della firma
Nella relazione al progetto si legge il senso della proposta: «Attribuire alla Corte dei Conti un nuovo ruolo di supporto agli amministratori, affinché questi possano trovare in via preventiva una concreta assistenza nella articolata gestione del denaro pubblico e non debbano più incorrere in processi per danno erariale che troppo spesso, almeno nel 60 per cento dei casi, si risolvono con assoluzioni determinate dalla infondatezza delle accuse; processi che, inoltre, hanno ripercussioni negative sulle carriere e alimentano a livello generale il circuito della paura». Tradotto: la Corte dei conti non deve più essere un controllore, ma assistere gli amministratori pubblici e, in seguito al suo intervento, sospendere poi nuovi giudizi di responsabilità erariale.
La proposta, infatti, prevede anche che «qualora l'atto abbia superato il controllo preventivo di legittimità e quindi sia stato vistato e registrato, non sarà più possibile sottoporre a giudizio per responsabilità erariale gli amministratori che lo abbiano adottato». Oggi, invece, la Corte dei conti può sottoporre a giudizio gli amministratori, anche se hanno adottato atti vistati dalla stessa Corte.Non solo, il governo avrebbe in animo anche di «razionalizzare» – come ha detto Mantovano – la Corte, accorpando le sezioni territoriali «sulla base della loro produttività».
Del resto, la Corte dei conti rischia di essere un problema per l’esecutivo soprattutto nella sua funzione di controllo sulla spendita dei fondi Pnrr e di ispezione sulle modalità con cui ciò avverrà. Di qui la decisione – parallelamente all’abrogazione dell’abuso d’ufficio – di ridurre anche la portata del danno erariale per gli amministratori pubblici così da ridurne la “paura della firma”, proprio nel momento in cui il piano deve essere messo a terra in tempo per la chiusura dei lavori nel 2026.
Le reazioni
Davanti alle rispettive riforme, le due magistrature si sono immediatamente mobilitate in senso contrario: l’Associazione nazionale magistrati si è espressa parlando di «riforma improvvida» e anche la solitamente meno esplicita Associazione Magistrati della Corte dei conti è salita sulle barricate, proclamando lo stato di agitazione.
L’Amcc ha parlato di «riforma frettolosa e fuori sistema che introduce uno scudo tombale sulla responsabilità amministrativa» e che allontana l’Italia «dalla cornice europea, snaturando il controllo preventivo di legittimità che non è idoneo a misurare l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa». Secondo fonti interne alla magistratura contabile, infatti, l’effetto che si rischia è quello di «far sì che i funzionari siano liberi di sbagliare anche con errori grossolani, senza poi rispondere dei loro errori», con effetti negativi anche sul Pnrr, perché il soggetto controllato potrà decidere quali e quanti atti sottoporre al controllo, anche solo con lo scopo di ottenere uno scudo erariale sulle attività connesse al piano europeo.
Eppure, il governo non ha mostrato l’intenzione di voler arretrare in modo sostanziale sulla strada intrapresa. La separazione delle carriere è ormai diventata bandiera unificante, anche se il viceministro Francesco Paolo Sisto ha aperto a possibili lievi modifiche d’aula. Secondo fonti interne, ci sarebbe margine per ridimensionare almeno parzialmente la portata della legge Foti, ma non nell’impianto generale di ridurre i poteri delle toghe contabili.
Anche perché, come è stato fatto notare da fonti di governo, soprattutto la riforma del Csm è uno dei punti su cui i litigiosi partiti della maggioranza hanno trovato una quadra senza distinguo e di cui anche Giorgia Meloni, dopo gli ultimi scontri con le toghe sulle questioni legate ai migranti, si è convinta della bontà.
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