Nell’articolo pubblicato su Domani del 12 febbraio titolato “Il procuratore generale non parla e la guerra tra i magistrati continua”, tra i vari temi trattati vi è quello che investe la distinzione tra deontologia e sistema disciplinare. 

Nella direttiva del 22 giugno 2020 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, prima di indicare i criteri che sarebbero stati seguiti nell’esame del materiale acquisito nel “caso Palamara”, pone una questione di metodo preliminare: «Dal materiale esaminato possono emergere condotte rilevanti su cinque differenti piani: penale, deontologico, professionale, disciplinare, della responsabilità civile. In questa sede il materiale da esaminare deve essere valutato all’esclusivo scopo di accertare se emergano condotte riconducibili ad una delle fattispecie di illecito disciplinare tipizzate. […] Ciò impone di delineare con precisione ( e mantenere ferma) la distinzione tra professionalità, deontologia giudiziaria e responsabilità disciplinare, che cooperano allo stesso scopo, ma assumono rilievo in ambiti diversi e distinti. […] Non tutte le condotte considerabili eticamente o deontologicamente disdicevoli sono state assunte dal legislatore tra quelle punibili in sede disciplinare. Può verificarsi una sovrapposizione delle aree di rilevanza delle condotte disdicevoli […] Ma l’area della disciplina è assai più ristretta di quelle della deontologia o della valutazione della professionalità e ancor più del disvalore etico».

Il confine tra deontologia e disciplina deve essere rigorosamente tracciato.

Gli usi terminologici presentano differenze nei diversi Paesi, nel richiamare  etica, deontologia e disciplina. Ma netta è la distinzione tra la deontologia, che rimanda ad un sistema di principi che debbono guidare il comportamento quotidiano del magistrato, sorretto da una tensione etica e la disciplina, che fa riferimento ad un sistema di norme  tipizzate corredate di sanzioni.

Il Consiglio Superiore della Magistratura francese ha pubblicato nel 2019 un Recueil des obligations déontologiques des magistrats; nel preambolo si precisa: “Questa Raccolta non costituisce un codice di deontologia con forza regolamentare e con contenuto fissato una volta per tutte; enuncia principi di condotta professionale, articolati intorni ai grandi valori cui deve ispirarsi il comportamento di ogni magistrato”.

La distinzione tra le due sfere è netta anche nella attività della Rete Europea dei Consigli di giustizia European Network of Councils for the Judiciary( ENCJ)/ Réseau européen des Conseils de la Justice (RECJ). Alla deontologia è dedicato il documento “Judicial Ethics. Report 2009-2010/Déontologie judiciaire. Rapport 2009-2010”. La tematica disciplinare è affrontata in altro documento intitolato  Standards for Disciplinary Proceedings and Liablilty of Judges.

La delimitazione espressa nel documento della Procura Generale della Cassazione si iscrive in questa elaborazione ormai pacifica a livello internazionale. Le distinzioni non sono pedanteria, ma sono la premessa per una analisi corretta delle situazioni concrete.

Dalla indagine di Perugia sono emersi fatti di rilievo penale e disciplinare, ma anche cadute deontologiche con le quali la magistratura italiana deve fare i conti.  Il confronto non può essere certo con la ricostruzione proposta nella postuma narrazione di Palamara, ove, anche al netto di errori e strafalcioni, domina l’allusione, l’ammiccamento, l’insinuazione.  Sta ai magistrati raccogliere l’invito al “voltare pagina” richiesto dal Presidente Mattarella già il 21 giugno 2019. Sta a loro essere capaci di rifuggire da pratiche deteriori e ritrovare l’orgoglio del confronto tra posizioni ideali nell’associazionismo giudiziario, rivitalizzandone una storia non priva di momenti elevati, e nel Csm, valorizzando tutte le potenzialità del modello voluto dalla Costituzione

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