La Corte dei Conti e il ministero della Giustizia hanno pubblicato i numeri dei rimborsi pagati dallo stato ai cittadini che hanno subito ingiusta detenzione o patito errori giudiziari. Il dato che emerge in modo chiaro è che la regione stabilmente in testa con il record negativo è la Calabria.

Il dato è eclatante soprattutto nel 2020, in cui la somma dei risarcimenti confermati dalle corti d’appello di Catanzaro e Reggio Calabria è esattamente un terzo dei risarcimenti totali e la regione è anche in testa per numero di richieste accolte.

Tradotto: su circa 37 milioni di euro di rimborsi, 7,9 milioni riguardano ingiuste detenzioni nel distretto di Reggio Calabria e 4,6 milioni quello di Catanzaro. Anche nei due anni precedenti, le due corti hanno toccato cifre record: nel 2019 a Reggio Calabria i risarcimenti sono stati di 10,3 milioni di euro, pari al 21 per cento del totale di quell’anno, che è stato di 48,7 milioni di euro; nel 2018 invece il picco è stato di Catanzaro, con 10,4 milioni di risarcimenti, equivalenti al 22 per cento del totale di 48 milioni.

Le cifre non restituiscono il dato qualitativo: chi sono le persone indennizzate, quanto tempo hanno scontato ingiustamente agli arresti e soprattutto quanto hanno aspettato per venire risarciti.

Inoltre, va sottolineato che i dati dei risarcimenti si riferiscono a casi di ingiusta detenzione che risalgono ad almeno qualche anno prima della presentazione della richiesta: per vedersi riconoscere l’indennizzo per una ingiusta detenzione scontata in primo grado, per esempio, è necessario attendere la sentenza definitiva di assoluzione. Che nella maggior parte dei casi – e considerata la durata dei processi in Italia – arriva molto tempo dopo. Dunque gli errori risarciti nel 2020 a Reggio Calabria (dove un processo penale dal primo grado alla cassazione dura in media più di sei anni) si riferiscono, con tutta probabilità, a detenzioni risalenti al 2014.

Tuttavia, il dato deve far riflettere la magistratura che attualmente opera in Calabria e di conseguenza il ministero della Giustizia. Perchè ogni misura cautelare potenzialmente ingiusta stabilita oggi è soprattutto vessatoria nei confronti di chi la subisce ma sarà anche, tra qualche anno, un costo per le casse dello stato in termini di risarcimento.

Come si calcola

Gli indennizzi per errori di giustizia si dividono in due tipi: errori giudiziari, previsti quando un imputato viene prosciolto in sede di revisione del processo e non ha dato causa con dolo o colpa grave all’errore giudiziario; e ingiusta detenzione, nel caso in cui l’imputato sia stato prosciolto ma, nel corso del processo, abbia patito una misura cautelare in carcere o ai domiciliari. Circa il 90 per cento dei casi di errore, tuttavia, riguarda l’ingiusta detenzione. Un dato che va accostato con le cifre sulla popolazione detenuta: più del 30 per cento è composta da imputati in attesa di giudizio, secondo un rapporto del Consiglio d’Europa.

L’ammontare del risarcimento nella singola corte è soggetto a due variabili: il numero di errori giudiziari, oppure detenzioni molto lunghe poi smentite dall’esito del processo.

Ecco come si spiega il fatto che, per esempio, nel 2019 la corte d’appello di Reggio Calabria abbia liquidato 9,8 milioni di risarcimenti per 120 casi di ingiusta detenzione. Tre volte tanto rispetto a Napoli, dove nello stesso anno i casi sono stati 129 ma il risarcimento totale è stato di 3,2 milioni di euro. Con tutta probabilità, i casi di ingiusta detenzione riconosciuti dalla corte reggina hanno riguardato situazioni in cui i giorni di detenzione sono stati molti di più rispetto a quelli di Napoli.

La cifra varia anche a seconda della corte d’appello. Non esiste, infatti, una giurisprudenza standard sul calcolo degli indennizzi se non per l’ammontare del risarcimento per un singolo giorno di ingiusta detenzione. Sulla base della cifra massima di rimborso, fissata a circa 516 mila euro, si è sviluppato un criterio per calcolare la somma indennizzabile per un giorno: dividendo l’importo massimo per la durata massima di custodia cautelare in carcere, che è di 6 anni, la cifra è di 235,82 euro. Tuttavia, la cifra giornaliera riconosciuta dalle corti può aumentare sulla base di moltissime varianti, dal sovraffollamento della cella alla distanza del carcere dalla residenza dei familiari.

Come si ottiene

Quanto alla procedura per ottenere i rimborsi, la richiesta va presentata entro due anni dalla sentenza passata in giudicato alla corte d’appello del distretto dove è stata pronunciata la sentenza. Il rimborso, inoltre, non è automatico: la corte d’appello valuterà se il richiedente non abbia concorso a causare l’errore giudiziario che poi ha subito. Secondo i dati del 2020, per esempio, dei 935 procedimenti per ingiusta detenzione svolti, il 77 per cento si è chiuso con una pronuncia di rigetto. Si tratta dunque di casi in cui in effetti un imputato poi assolto ha trascorso del tempo in carcere o ai domiciliari, ma le modalità con cui questo è avvenuto non giustificano il risarcimento.

Pur con queste precisazioni, la Calabria è anche in cima alla classifica per numero di casi di errore. Sulle 1023 ordinanze del 2017, Catanzaro è stata la corte con più casi: 159; lo stesso anche nel 2018, con 183 casi su 913. Nel 2019, invece, la maglia nera per numero di errori riconosciuti è di Napoli con 129 casi, seguito da Reggio Calabria con 122 (su un totale di 1020).

Di chi è la colpa?

Il dato calabrese così significativo, pur con tutti i distinguo, colpisce: in un territorio dove la densità criminale è alto, anche gli errori giudiziari commessi negli anni sono tali.

La vulgata sul punto è che si tratti di una sorta di effetto collaterale rispetto alla mole di inchieste in corso e di conseguenza degli arresti disposti. Eppure, i numeri di una regione come la Sicilia – altrettanto colpita da fenomeni di criminalità organizzata – sono inferiori sia per ammontare degli indennizzi che per casi.

La responsabilità, in ogni caso, va ricercata sia negli uffici di procura che nei giudici: sono i pubblici ministeri a presentare richiesta di misura cautelare in carcere o i domiciliari, ma è il giudice per le indagini preliminari a valutarla e a disporla. La filiera, quindi, parte da chi ha condotto l’indagine e arriva a chi ha convalidato la misura.

A provare a dare una lettura dei dati è l’attuale procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, che tuttavia parte da una premessa: «I dati si riferiscono a ingiuste detenzioni risalenti nel tempo ad almeno sette anni fa (Gratteri si è insediato a Catanzaro nel 2016 ndr) e posso dire che non rispecchiano il quadro attuale degli uffici giudiziari calabresi».

Secondo Gratteri i numeri forniti dalla Corte dei Conti non devono essere letti come valori assoluti, ma vanno interpretati alla luce di alcune peculiarità territoriali. «Va considerata la vastità del territorio calabrese, il numero dei procedimenti aperti, degli arrestati e dei processi – spiega –. In Calabria lavoriamo su 7 tribunali che hanno almeno un processo antimafia al giorno, rispetto ad altre aree dove questo non avviene».

Trent’anni di attesa

Eppure un dato di realtà rimane, anche se non è direttamente riferibile al presente giudiziario della regione: in Calabria è molto più facile finire ingiustamente in carcere rispetto alle altre zone d’Italia.

Non solo, su chi chiede ristoro per aver patito un trattamento giudiziario errato ricade un’altro dei problemi della giustizia: il tempo lunghissimo dei procedimenti. A quanto risulta presso la corte d’appello di Catanzaro, infatti, i risarcimenti liquidati dal 2018 al 2020 pubblicati nelle tabelle della Corte dei Conti fanno riferimento a fatti che risalgono anche al 1991. Quindi riguardano errori giudiziari commessi trent’anni fa.

Con il risultato che sulle spalle di chi ha già scontato una detenzione non dovuta si sommano due ingiustizie: l’errore giudiziario a suo carico, ma anche la patologica lunghezza del processo che ha stabilito la sua innocenza e poi di quello che gli ha liquidato il risarcimento. E di questo secondo aspetto la responsabilità è soprattutto di sistema, visto che gli uffici giudiziari calabresi scontano una significativa carenza di organico.

 

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