La nostra Costituzione è una carta di valori, voluti ed affermati dai nostri padri costituenti non solo come reazione alla dittatura ed all’oppressione fascista ma soprattutto come progetto per la ricostruzione di una democrazia effettiva e non meramente formale.

I “principi fondamentali”, che costituiscono il nucleo essenziale e forte della carta dei valori, disegnano una società buona, solidale, rispettosa delle differenze (i nostri padri costituenti di certo si prefiguravano una società ben diversa da quella attuale, chiusa su se stessa, egoista e diffidente, spaventata dalle diversità).

Quel «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale» che costituisce l’incipit dell’art. 3, giustamente considerato dagli studiosi il “capolavoro istituzionale” della Carta, enuncia le garanzie fondamentali della persona («senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali») assegnando alla Giurisdizione, ai suoi soggetti ed alle sue regole, la responsabilità di assicurarne l’eguaglianza «davanti alla legge».

In questo contesto, non è un caso che quello della Giustizia sia l’unico ministro espressamente menzionato nella nostra Carta costituzionale; perché è al ministro della Giustizia che è assegnato il compito, essenziale per la tenuta di tutto l’impianto costituzionale, di assicurare che la Giurisdizione (la G è volutamente scritta in maiuscolo) possa assolvere a quella responsabilità.

Difendere e tutelare la giurisdizione è un compito che va ben oltre quello, previsto dall’art. 110 della Carta costituzionale, che impone al ministro della Giustizia di assicurare «l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia»: la giurisdizione si difende preservandola dalle dinamiche della ricerca a tutti i costi del consenso elettorale, che troppo spesso tracima nel populismo, e si tutela rispettandone la sua funzione, le sue prerogative, le sue regole ed i suoi protagonisti (magistrati, avvocati, personale amministrativo).

Giustizia senza processo

La giurisdizione, soprattutto per quanto riguarda il comparto della giustizia civile, è, da ormai troppo tempo, una risorsa sempre più limitata, in conseguenza di scelte politiche e legislative che in maniera costante, negli ultimi trenta anni, si sono incentrate sulla ossessionante e continua modifica di regole processuali rincorrendo il mito dell’efficientismo della funzione giudiziaria che nulla ha a che vedere con il valore della sua effettività (siamo il paese in Europa con la durata più lunga dei processi e, contemporaneamente, con la più alta percentuale di sentenze ineseguite).

Tuttavia, nei prossimi anni, anche per effetto delle devastanti conseguenze delle crisi economica e pandemica, la domanda di giustizia tenderà ad aumentare in maniera vertiginosa e sulla giurisdizione si scaricherà il compito di assicurare tutela a diritti fondamentali sempre meno garantiti ed a dare soluzione a conflitti collettivi ed individuali sempre più diffusi.

Ed allora non è più eludibile l’esigenza di sostenere la giurisdizione operando, nell’immediato ed in parallelo, su due direttrici principali.

Da un lato, favorire la costruzione di un modello di “giustizia senza processo” nella considerazione che la definizione dei conflitti vertenti su diritti disponibili non richiede necessariamente il ricorso alla tutela giurisdizionale (ovviamente senza mai limitare la possibilità per chi lo vuole di ricorrere al giudice).

Ecco come

In questa prospettiva vanno rafforzati e sostenuti (anche con uno strutturato sistema di incentivi economici e fiscali, favorendo l’utilizzo delle piattaforme di comunicazione a distanza ed estendendovi l’applicabilità dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti) gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie attualmente esistenti nel nostro ordinamento:

- L’arbitrato amministrato da camere arbitrali interprofessionali da costituire anche in sinergia con gli enti pubblici);

- La mediazione, soprattutto quella volontaria;

- La negoziazione assistita, estendendone l’applicabilità a qualunque accordo negoziale (anche se intervenuto a causa in corso ed a prescindere dalle formalità preliminari) che sia stato sottoscritto con l’assistenza professionale, integrando l’art. 474 c.p.c. con la previsione che abbiano efficacia di titolo esercutivo tutte le scritture private sottoscritte dalle parti che siano state assistite da professionisti iscritti in albi professionali i quali attestino oltre che l’autografia delle parti anche la non contrarietà dell’atto negoziale alle norme imperative ed all’ordine pubblico.

Magistratura laica

Dall’altro lato, ricostruire il circuito giurisdizionale oggi di competenza della magistratura onoraria da trasformare in magistratura laica gestita dalle istituzioni professionali forensi ed affiancato, ma non subalterno, a quello togato come struttura separata ed autonoma che realizzi presidi giudiziari di prossimità o segmenti di giurisdizione su diritti disponibili diversi da quelli di cui si occupa la magistratura ordinaria.

La selezione della magistratura laica dovrebbe passare attraverso un percorso di valutazione dei titoli e della personalità, effettuato con la partecipazione sia del consiglio dell’ordine degli avvocati sia del consiglio giudiziario con previsione di condizioni di eleggibilità e di cause di incompatibilità particolarmente severe; la durata dell’incarico dovrebbe essere rigorosamente “a termine” (si potrebbe ipotizzare lo svolgimento dell’incarico onorario per un periodo rigorosamente predeterminato di assunzione degli incarichi che andrebbe ad esaurirsi con il completamento del ruolo, da realizzarsi comunque non oltre tot anni dall’assunzione dell’incarico).

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