Nella seduta del 9 luglio scorso, tuttora usufruibile su Radio Radicale, il Comitato Direttivo Centrale (Cdc) dell’Anm era chiamato a pronunciarsi sull’addebito disciplinare mosso al magistrato ordinario Tizio dal Collegio dei Probiviri, che ha il potere di esperire l’azione disciplinare e di archiviare, ma non di disporre la sanzione, riservata all’esclusiva competenza del Cdc.

In via preliminare Tizio ha chiesto di essere personalmente ascoltato dal Comitato e che il dibattito fosse pubblicamente registrato e diffuso da Radio Radicale, come avviene per tutte le sue altre delibere. É veramente allarmante che il responso del Comitato sia stato immotivatamente negativo.

Ben vero, in primo luogo l’audizione dell’indagato da parte dei Probiviri non gli può precludere di difendersi personalmente davanti ai componenti del Cdc, gli unici chiamati a decidere sulla sua sorte in un procedimento endoassociativo che ha natura afflittiva, giacché sono previste varie sanzioni, tra cui perfino l’espulsione.

I magistrati del Cdc che hanno negato il diritto di difesa a Tizio hanno omesso di considerare che la sanzione disciplinare – e segnatamente l’espulsione endoassociativa - non è altro che l’esclusione prevista dall’art. 24 c.c. (applicabile anche all’associazione non riconosciuta, qual è l’Anm), che prevede una delibera assembleare in contraddittorio con il socio escludendo e la sua possibilità di ricorrere al giudice, qualora l’esclusione sia decisa senza grave motivo.

Mentre infatti il recesso garantisce la libertà di sottrarsi al vincolo associativo (art. 18 Cost.), le disposizioni sull’esclusione (e il procedimento disciplinare) assicurano l’interesse dell’associato a permanere nella compagine fin quando non si dimostrino in giudizio gravi motivi. Consegue che la sanzione in ipotesi irrogata segretamente al dott. Tizio, dopo avergli precluso di difendersi, sarebbe da lui impugnabile per questa sola ragione sia davanti al giudice ordinario ai sensi dell’art. 24 c.c., sia in sede endoassociativa davanti all’Assemblea Generale dell’Anm, come espressamente previsto dall’art. 13, 3° del suo Statuto. Qualora invece il verdetto del Cdc fosse liberatorio per Tizio, nessuno degli associati potrebbe saperne la ragione.

Il regolamento

In secondo luogo infatti, ai sensi dell’art. 13 del regolamento interno del Cdc «Le sedute del Cdc sono pubbliche e, salvi i casi di sedute a porte chiuse previsti dallo Statuto, sono trasmesse in diretta streaming on line o via radio nonché registrate».

La disposizione impone la massima pubblicità delle sedute del Cdc, con la sola eccezione dei casi in cui, ai sensi dell’art. 11 dello Statuto, «L’incolpato può chiedere che si proceda a porte chiuse». Sennonché nel caso in esame è stato proprio l’incolpato a invocare la più estesa pubblicità della seduta, sicché arbitrariamente il Comitato ha interrotto la «diretta streaming on line o via radio» nonché la registrazione del dibattito!

Taluno dei membri del Cdc ha eccepito che nel corso della pubblica discussione potrebbero essere coinvolte vicende di terzi estranei al dibattito sanzionatorio.

Sennonché in teoria generale (artt. 89 c.p.c. e 598 c.p.) delle due: o tali vicende sono necessarie ai fini della decisione disciplinare, e allora non se ne potrà fare a meno, con il solo temperamento della necessaria continenza e proporzionalità; oppure esse esondano dal thema decidendi e dunque il loquens ne risponderà in sede propria. Infine è significativo che, nel procedimento con cui nel 2020 il dott. L. Palamara è stato bandito dall’Anm, egli si è difeso anche davanti al Cdc e gli atti che lo riguardano sono stati ampiamente pubblicati proprio sul sito ufficiale dell’Anm.

Se si aggiunge che invece, dopo l’espulsione di Palamara, l’Anm non consente perfino agli stessi associati di conoscere l’elenco dei suoi adepti e chi sia stato condannato o assolto in sede disciplinare, si ha la netta impressione che l’Anm abbia assurdamente restaurato «... schemi obsoleti, ereditati dalla legislazione anteriore e ancora attivi dopo l'entrata in vigore della Costituzione, imperniati sull'idea, che rimandava ad antichi pregiudizi corporativi, secondo cui la miglior tutela del prestigio dell'ordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare» (Corte Costituzionale, sent. n. 497/ 2000). Sennonché negli anfratti procedurali si nasconde raramente Dio, più spesso l’ombra silente del diavolo. Senza una convinta e completa trasparenza dell’archiviazione disciplinare – unica garanzia d’imparziale legalità – è impossibile raddrizzare il “legno storto della giustizia” (per dirla con G. Zagrelbesky) e riconquistare la fiducia dell’Utente finale della Giustizia.

Se non vuole trasformarsi in un’associazione segreta (vietata anche dall’art. 18 Cost.) o nella Santa Inquisizione, l’Anm non può sottrarsi all’impegno di rispettare il diritto alla difesa degli inquisiti e di ristabilire la totale trasparenza (interna ed esterna) dei propri atti: condizioni senza le quali l’Ordine giudiziario non ha alcuna seria possibilità di arginare efficacemente i maldestri attacchi degli oppositori.

Se non ora, quando?

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