Lancia il sasso e poi nasconde la mano, Giorgia Meloni. Dopo il duro attacco alla magistratura via Facebook e le repliche dell’Anm, a chi oggi le ha chiesto conto delle ragioni ha ha detto che «non c'è nessuno scontro. La magistratura è libera di disapplicare una legge del governo, e il governo è libero di dire che non è d'accordo». Eppure, le sue parole hanno rappresentato un cambio di paradigma per la premier, che nei mesi scorsi aveva evitato scontri troppo diretti con i magistrati e aveva frenato anche il ministro Carlo Nordio. Ora, invece, il tabù è caduto.

E le toghe hanno interpretato come una evidente invasione di campo nella loro autonomia le parole di Meloni contro la magistrata di Catania, che non ha convalidato il trattenimento di un migrante.

Tanto che, dopo l’Anm, si sono mossi anche i consiglieri togati del Csm, l’organo costituzionale posto a garanzia della giurisdizione.

Con una spaccatura interna, però, che si è consumata nella serata di lunedì e non si è poi ricucita. L’iniziativa scelta dai consiglieri è stata quella di chiedere all’ufficio di presidenza del Consiglio di aprire una pratica a tutela della giudice ma l’atto, pur dopo un lungo lavoro di limatura per tentare di renderlo condivisibile a tutti, è stato firmato solo dai 13 i togati di Area, Magistratura democratica, Unicost e i due indipendenti. I sette di Magistratura indipendente, la corrente conservatrice, hanno invece deciso di non sottoscriverla.

Il testo, dopo molte revisioni, è netto: i togati ricordano che Meloni li ha definiti «nemici della sicurezza della Nazione, un ostacolo alla difesa dell’ordine pubblico» e responsabili «di scagliarsi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto». Dichiarazioni che «in modi e contenuti, si traducono in autentici attacchi all’autonomia della magistratura» e mettono «in discussione la funzione stessa della giurisdizione in uno Stato di diritto». É questo, prima ancora che il passaggio in difesa della collega vittima di «grave delegittimazione professionale» e di «indebiti attacchi mediatici», il punto più duro della nota.

La spaccatura

Proprio questo, dopo lunga riflessione, avrebbe portato Mi a sfilarsi pur dopo un attacco così deciso da parte dell’esecutivo. Una dinamica non nuova che già si è registrata in questi mesi, secondo alcuni togati, secondo cui Mi, infatti, avrebbe trovato sponda in consiglio con i laici di centrodestra (7 su 10) e sottoscrivere la richiesta avrebbe rischiato di provocare una rottura.

«Non credo che mancasse la condivisione sulle ragioni dell’iniziativa, ma ha prevalso una valutazione di strategia interna», è l’analisi di una fonte togata. Un altro firmatario ha confermato il convincimento: «Hanno avuto un lungo travaglio interno, li ha condizionati il rapporto con i laici di centrodestra».

La strategia, però, viene definita «pericolosa» in un momento in cui la magistratura dovrebbe apparire unita contro gli attacchi all’autonomia della magistratura. Infatti, in molte giunte locali dell’Anm si è registrata l’adesione anche di Mi alle ragioni di difesa della collega e di tutela dell’autonomia delle toghe.

Mi ha spiegato le sue ragioni, le stesse già ripetute in altre occasioni di scontro tra politica e toghe: non ha voluto «alimentare ulteriormente la dannosa contrapposizione tra istituzioni democratiche in atto, fermo restando il doveroso rispetto delle decisioni giurisdizionali e l'auspicio che la legittima critica degli stessi abbia a oggetto il loro contenuto. La militanza politica non ci appartiene», si legge in una nota dei togati di Mi.

Eppure, la stessa corrente non ha voluto isolarsi del tutto e ha diramato un secondo comunicato a firma dei vertici. «Dispiacere» per le «accese critiche da parte di esponenti politici nei confronti di un provvedimento giurisdizionale diffusamente motivato». Ma, sottolineano in una velata critica alla collega di Catania (che nel 2018 ha condiviso link politici su Facebook), «il magistrato deve sia essere che apparire indipendente dalla politica e siamo disponibili a interrogarci su come questo dovere debba essere declinato nell’era dei social network».

La maggioranza

Al netto della spaccatura in seno al Csm, tuttavia, la magistratura ribolle. Il profluvio di attacchi dei giorni scorsi da parte degli esponenti politici della maggioranza hanno rotto un equilibrio che già era precario. Questa è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo il caso Cospito, l’invasione di campo di Nordio dopo l’indagine sul sottosegretario Andrea Delmastro e lo scontro sul caso della fuga dai domiciliari del russo Artem Uss, con le note anonime del ministero e di palazzo Chigi e gli ispettori negli uffici milanesi.

La scelta di aprire il fronte contro la magistratura, però, spaventa e non è stato condiviso da molti esponenti moderati del governo. O meglio, viene considerata un rischio che si sarebbe tranquillamente potuto evitare e soprattutto il sintomo del nervosismo della premier, come filtra dall’ufficio di un ministro. «E se tutto questo si riverberasse sulle inchieste aperte, come quella di Santanchè?», è la domanda che circola tra chi ricorda il clima negli anni dei governi Berlusconi. 

Anche perché, viene fatto notare, il presidente del Csm è il capo dello Stato e Sergio Mattarella non prende alla leggera sgrammaticature istituzionali e scontri tra poteri. Soprattutto in una fase così delicata per il governo.

A tentare di spegnere il focolaio è intervenuto il viceministro alla Giustizia, l’azzurro Francesco Paolo Sisto, che a Telenorba ha definito un nuovo scontro magistratura-politica «gravissimo e sbagliato» e invitato a «non ripetere l'errore delle guerre di religione» ma «se c'è un provvedimento che non va bene, lo si impugni».

Un invito alla prudenza, in attesa di come si muoverà Nordio: se manderà gli ispettori a Catania come già fatto a Milano e come risponderà all’interrogazione della Lega. «Mi aspetto che il ministro segua la premier», ha commentato il deputato di Azione Enrico Costa, perché «Meloni è intervenuta in modo sgrammaticato ma sapendo ciò che faceva. Quando è in difficoltà ha bisogno di trovare un nemico». Se così è ora dovrà cavalcare la tigre, col rischio di finire sbranata.

 

© Riproduzione riservata