Delmastro e Nordio, ancora un botta e risposta con le toghe: il primo le accusa di mafiosità, il secondo polemizza sul caso Garlasco e il principio di “oltre ogni ragionevole dubbio”
Care lettrici, cari lettori
la settimana ha avuto al centro il via libera alla Camera alla conversione del dl Sicurezza, diventato decreto da disegno di legge che era. Ora passerà al Senato, ma le proteste di tutto il mondo giuridico continuano a farsi sentire, con i professori di diritto penale e procedura penale che in settimana hanno organizzato in 10 atenei convegni per evidenziare i problemi del testo.
A questo proposito, invito a leggere il commento di Giulia Ribaudo, la quale nel 2016 ha fondato Closer, un’associazione culturale che promuove attività all'interno del carcere femminile della Giudecca. Nella sua analisi, spiega come il decreto del governo traduca il concetto di sicurezza in esigenza di controllo sociale, piuttosto che di tutela del benessere collettivo.
Sempre in materia parlamentare, quasi ottanta professoresse di diritto penale hanno sottoscritto un appello contro il reato di femminicidio per come concepito dal governo. La lettura è interessante, perché spiega le ragioni della loro contrarietà e mette in guardia dai rischi di un uso simbolico della norma penale. Il dibattito è aperto, se qualche lettrice o lettore vorrà riprendere questo tema.
Sul fronte della politica giudiziaria, in settimana c’è stato l’ennesimo scontro tra il sottosegretario Andrea Delmastro e le toghe. Anche il caso di Garlasco è stato occasione di un confronto tra ministro Nordio e Anm sul principio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Delmastro, le toghe e la mafia
Il sottosegretario Andrea Delmastro ha sollevato una nuova polemica: al convegno "Giustizia è sicurezza" di Torino ha detto che «il magistrato che dovrebbe sentire pulsioni di giustizia dice che Meloni è pericolosa perché non ha inchieste. Questo lo dicono i mafiosi, non i magistrati».
Parole pesanti, che hanno provocato la reazione delle opposizioni e anche del consigliere laico del Csm, Ernesto Carbone, che ha sottolineato come «Ormai con cadenza mensile (così ci ha abituato) il sottosegretario in modo scomposto attacca la magistratura. Credo che non voglia il bene del Paese, credo che non voglia il bene della magistratura e credo non voglia il bene della giustiza».
Una risposta indiretta è arrivata anche dall’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha incontrato i magistrati in tirocinio al Colle: «Rigore morale e professionalità elevata sono la risposta più efficace ad attacchi strumentali intentati per cercare di indebolire il ruolo e la funzione della giurisdizione e per rendere inopportunamente alta la tensione tra le istituzioni», ha detto.
All’incontro ha partecipato anche il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, che nel suo intervento ha sottolineato in particolar modo la necessità che il magistrato sia super partes, citando l’esempio del magistrato Rosario Livatino. Qui trovate i dettagli.
Il caso Garlasco
La riapertura delle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi, oltre a provocare una grande mediatizzazione, ha investito anche la politica.
Sulla questione è intervenuto il ministro Nordio, che ha detto che trova «irragionevole che dopo una o due sentenze di assoluzione sia intervenuta una condanna senza rifare l'intero processo», riferendosi al fatto che Alberto Stasi sia stato assolto sia in primo che in secondo grado, e che sia stato poi condannato in seguito all'annullamento in Cassazione della seconda assoluzione.
Immediata è arrivata la replica dell’Anm, con il segretario Rocco Maruotti, che ha detto che «non è né irragionevole né irrazionale il fatto che una sentenza di assoluzione venga riformata». Così come non convince sostenere che «la regola di giudizio “dell'oltre ogni ragionevole dubbio”, che deve essere soddisfatta per giungere ad una sentenza di condanna, si trasformi in un ostacolo insormontabile per il solo fatto che vi sia stata una sentenza di assoluzione».
Carcere
Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia Carlo Nordio, ha deliberato il conferimento dell'incarico di Capo Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria a Stefano Carmine De Michele. L'incarico di Capo Dipartimento per gli affari di giustizia, invece, è stato assegnato ad Antonia Giammaria, e quello di Capo Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi a Lina Di Domenico.
Con la nomina si risolve un problema che ha imbarazzato il ministero della Giustizia per mesi. Tuttavia la questione del sovraffollamento carcerario rimane ancora inaffrontata. Il ministro Nordio, in un evento organizzato da Fratelli d’Italia, ha detto che «negli ultimi mesi qualcuno ha inteso risolvere la situazione della sovrappopolazione carceraria con una sorta di amnistia lineare, di riduzione della pena, di scarcerazione incondizionata. E' un buonismo assurdo» e ancora «è vero che di tanto in tanto bisogna essere indulgenti e perdonare ma questo si può fare solo dopo l'espiazione e il pentimento. E non puoi farlo perché le carceri sono sovraffollate».
Il viceministro Francesco Paolo Sisto, invece, ha aperto alla norma Giachetti, una sorta di "mini-indulto": «Il governo non ha la passione per gli 'svuota-carceri' perché riteniamo che non siano provvedimenti rieducativi», tuttavia, «potrebbe valutare una proposta orientata verso percorsi rieducativi».
La castrazione chimica
Il governo ha dato l'ok all'ordine del giorno della Lega per istituire un tavolo tecnico sulla castrazione chimica. La questione non è nuova per i parlamentari leghisti, che ciclicamente parlano di questa ipotesi.
ha replicato il Pd: «Rappresenta un grave scivolamento verso pratiche che richiamano pene corporali, in palese contrasto con la Costituzione e i principi dello Stato di diritto» e «è particolarmente allarmante che anche forze storicamente garantiste della maggioranza, come Forza Italia, sostengano oggi senza alcun imbarazzo questa deriva giustizialista, del tutto scollegata da un'efficace strategia di prevenzione della violenza. Il nostro ordinamento non può cedere a scorciatoie punitive di stampo medievale».
Il sequestro dei dispositivi
L’Unione camere penali italiane ha partecipato in audizione al dibattito sul pdl Sequestro dispositivi e ha espresso apprezzamento per la volontà condivisa «di estendere le garanzie difensive all'acquisizione, tramite sequestro probatorio, di dati utili per le indagini, contenuti nei dispositivi, nelle cui memorie sono conservate tracce di comunicazioni tra privati».
L'Unione, rappresentata dall'avvocato Luigi Miceli, ha proposto un regime autorizzativo analogo a quello previsto per le intercettazioni, nonché l'applicazione delle regole previste dall'articolo 360 c.p.p. (accertamenti tecnici non ripetibili) nella fase di duplicazione ed estrazione dei dati, al fine di garantire il contraddittorio.
Contrarietà, invece, è stata espressa «all'applicazione delle regole del cosiddetto 'doppio binario'' (sufficienti in luogo di gravi indizi di reato, quale presupposto per il sequestro dei dati inerenti a comunicazioni, conversazioni o corrispondenza informatica), trattandosi, peraltro, nel caso di specie, di un generalizzato accesso ex post alla vita privata del cittadino presunto non colpevole».
La riforma della Giustizia
La maggioranza ha infatti proposto che la Giunta del regolamento dia il via libera al cosiddetto 'canguro' in commissione Affari costituzionali sulla riforma costituzionale della giustizia, in modo da poter fare una votazione sola per tutti quegli emendamenti simili tra loro, facendone in questo modo decadere molti.
Così è successo e con una sola votazione sono state precluse sette proposte di modifica al testo. Le opposizioni si sono dichiarate contrarie: «Si tratta di una forzatura inaccettabile- tuonano i dem Dario Parrini e Andrea Giorgis e l'M5s Stefano Patuanelli- che non ha precedenti. Stiamo parlando di una riforma costituzionale per la quale si applica il canguro in commissione, cosa mai avvenuta prima».
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