Testo rielaborato dell’intervento svolto al convegno La nuova stagione del diritto di famiglia che ha avuto luogo il 20 ottobre 2023 presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università Sapienza di Roma.

Una delle tematiche più delicate che investono il rapporto di filiazione nella nuova stagione del diritto di famiglia è certamente quella della tutela dei figli nati da pratiche di procreazione medicalmente assistita non consentite in Italia, pratiche che hanno aperto scenari del tutto nuovi rispetto agli antichi paradigmi della genitorialità: il riferimento è in particolare ai figli nati da maternità surrogata praticata nei Paesi che la ammettono e ai figli nati da fecondazione assistita realizzata all’ estero in casi eccedenti i limiti di accesso previsti dalla legge n. 40 del 2004.

A fronte dell’infinito dibattito alimentato da quotidiane note di dottrina, documenti sottoscritti da eminenti giuristi, sentenze di merito sempre più numerose, ma sempre meno omogenee, è forte l’esigenza di dare razionalità al sistema attraverso un recupero ed una ricostruzione logica delle pronunce delle Sezioni Unite, della Corte Costituzionale, della Corte EDU, così da enucleare un complesso di principi e di precetti che consentano  soluzioni interpretative stabili e risposte certe per i cittadini. 

Ciò comporta la necessità di considerare con pazienza e senza pregiudizi ideologici le ragioni che hanno spinto dette Corti ad emettere quelle pronunce, piuttosto che ricercare soluzioni alternative che prescindendo totalmente dalle indicazioni dalle stesse fornite e piegando le norme a giudizi di valore finiscono con il favorire oscillazioni giurisprudenziali in contrasto con l’esigenza di delineare un sistema chiaro, armonico e coerente.

E’ pertanto opportuno richiamare alcuni arresti fondamentali, definitivamente acquisiti nel nostro ordinamento, che costituiscono diritto vivente.  

Va innanzi tutto ribadito in via generale che la legittima aspirazione alla genitorialità non si sostanzia in un diritto, ma integra un’opportunità che deve dispiegarsi nel rispetto delle norme vigenti e confrontarsi con l’interesse superiore del minore.     
Per quanto specificamente attiene alla gestazione per altri, è da ricordare che essa è un illecito penale sanzionato dall’ art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004: il Parlamento ha inteso rafforzare lo stigma dell’illiceità approvando alla Camera lo scorso luglio - con una iniziativa per più versi discutibile - una modifica/integrazione di detta norma diretta a punire anche la condotta posta in essere interamente all’ estero da cittadini italiani (cd. reato universale).

Che la surrogazione di maternità, in quanto lesiva della dignità della gestante ed anche di quella del bambino, inteso il concetto di dignità in senso oggettivo, sia incompatibile con i principi fondamentali del nostro ordinamento, sia che si concretizzi nella surrogazione commerciale che in quella solidale, e che quindi il suo divieto integri un principio di ordine pubblico,  deve considerarsi ormai un dato certo: lo ha affermato a chiare lettere la Corte Costituzionale con le note sentenze n. 272 del 2017, n. 33 del 2021 e n. 79 del 2022, lo ha ribadito la Corte di Cassazione con le altrettanto note pronunce a Sezioni del Unite n. 12193 del 2019 e n. 38162 del 2022. Ciò comporta che non può essere trascritto in Italia il certificato di nascita rilasciato all’ estero di bambini nati da tale pratica per il suo insanabile contrasto con l’ordine pubblico internazionale, ai sensi dell’art. 18 del d.p.r. 2000 n. 396.

La realtà della vita

Ma poi c’è la realtà della vita vera che reclama un principio ordinativo, la realtà di quei bambini comunque venuti al mondo, che non sono responsabili della condotta di chi li ha fatti nascere e che reclamano con la forza della loro presenza e della loro innocenza di essere riconosciuti uguali agli altri e di godere di quello status del quale l’art. 315 c.c. ha sancito l’unicità. Giustamente Mirzia Bianca ha parlato di travaglio della genitorialità derivante da maternità surrogata.

E’ allora importante tenere ben distinta la questione della illiceità delle tecniche usate per realizzare la genitorialità da quella relativa alla condizione del figlio che attraverso dette pratiche è venuto al mondo, avendo presente che la giusta esigenza di tutelare il bambino non può valere a superare l’illiceità della condotta posta in essere e per converso che il diritto allo status ed alla relazione con i genitori non può essere condizionato dall’ esigenza di sanzionare o prevenire condotte devianti  degli stessi genitori.

Come è noto, nel silenzio assordante del legislatore, che non riesce a fare scelte delicate e difficili in un quadro politico, culturale e sociale lacerato, e nell’ apprezzabile sforzo di realizzare un equo temperamento tra l’interesse pubblico al rispetto del divieto e quello del minore alla conservazione delle sue relazioni affettive la giurisprudenza ha reperito nel sistema vigente come unico possibile mezzo di tutela del minore nato da surrogazione lo strumento dell’adozione in casi particolari da parte del genitore di  intenzione.

Si è trattato di un passaggio coraggioso e importante, avallato dalle Sezioni Unite già con la richiamata sentenza n. 12193 del 2019, con il quale sono stati superati gli argomenti contrari opposti da ampia dottrina e giurisprudenza: si è così trasformato l’istituto dell’adozione ex art. 44 e ss. della legge n. 184 del 1983 da misura residuale a strumento generale ai fini del riconoscimento di un rapporto di filiazione facente capo anche al genitore di intenzione.

E’ altrettanto noto che con la sentenza n. 33 del 2021 la Corte Costituzionale, ponendosi in una prospettiva centrata sulla persona del minore e sui suoi diritti fondamentali, piuttosto che sui diritti della coppia monoaffettiva, ha affermato che la tutela del nato da surrogata esige che al bambino accudito sin dalla nascita da due persone che hanno condiviso la decisione di farlo venire al mondo e la responsabilità di crescerlo sia accordato il riconoscimento non solo sociale, ma anche giuridico dei legami che già lo uniscono ad entrambi i componenti la coppia e che nel bilanciamento del suo interesse con lo scopo legittimo dell’ ordinamento di disincentivare la gestazione per altri l’istituto della adozione particolare deve considerarsi una forma di tutela degli interessi del minore significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali in ragione dei suoi limiti, segnatamente perché non ingenera un rapporto di parentela tra l’ adottato e la famiglia dell’ adottante, perché postula l’ iniziativa dell’ aspirante adottante e perché richiede l’ assenso del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo, ed ha anche ritenuto che l’ interesse del minore debba essere tutelato senza automatismi, attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e  adottato, allorchè ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino… , sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice, formulando un forte invito al legislatore ad assolvere al compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini. 

La corte Edu

La Corte EDU ha anche di recente ricordato (v. Bonzano e altri c/ Italia del 22 giugno 2023) che il rifiuto di trascrizione automatica come genitore del partner di una persona che ha avuto un figlio con la surrogata non viola i diritti fondamentali, essendo possibile ricorrere all’ adozione, e che quindi l’Italia non ha superato l’ampio margine di valutazione di cui dispone nel reperimento dei mezzi che permettono di stabilire o riconoscere la filiazione.

Ne consegue che allo stato, in attesa che il legislatore individui altre misure più adeguate, l’unico strumento per dare riconoscimento giuridico al rapporto del genitore di intenzione con il bambino nato da gestazione per altri è quello dell’adozione in casi particolari.

Non è forse inutile rilevare che tale posizione non sottende alcun pregiudizio nei confronti delle coppie omosessuali, riguardando essa sia quelle eterosessuali (che anzi statisticamente appaiono come le più numerose) che quelle dello stesso sesso: appare  pertanto del tutto improprio il richiamo al principio di eguaglianza sostanziale e al divieto di discriminazioni in base all’ orientamento sessuale, così come improprio è il rilievo che le coppie omoaffettive costituiscono formazioni sociali costituzionalmente riconosciute ai sensi dell’ art. 2 Cost. 

Né può sostenersi che tale posizione sia segno di bigottismo reazionario e retrivo: ritengo invece che l’approccio aperturista, che tende ad abbattere un proibizionismo considerato non più al passo con i tempi riducendo il problema all’ autodeterminazione della gestante, abbia il vizio di origine di ridurre la gravidanza ed il parto a mero servizio gestazionale, anche in contrasto con le più moderne acquisizioni della medicina in ambito genetico ed endocrinologico. 

Fecondazione assistita all’estero

Più delicato è il problema dello status dei bambini nati in Italia dei quali si reclama la doppia maternità a seguito di fecondazione assistita praticata all’ estero. E’ notevole su tale fronte la pressione a consentire l’indicazione delle due madri, facendo leva sulle peculiarità di tale fattispecie, certamente diversa da quella della surrogazione, così come sono note le maggiori aperture della giurisprudenza di merito al riguardo, sia nel caso che il feto sia biologicamente legato ad entrambe le donne  sia in quello in cui una di loro non abbia alcun legame biologico con il bambino.

Si invoca da più parti, anche con documenti sottoscritti da numerosi e autorevoli giuristi (come nel documento dei 276 di recente diffuso), una svolta nell’ applicazione delle norme vigenti a tutela dei bambini e delle bambine con due mamme.

Se è vero che l’elusione del limite stabilito dall’ art. 5 della legge n. 40 per l’ accesso alle pratiche di inseminazione non evoca scenari di contrasto con principi e valori costituzionali, se è altrettanto vero che l’ art. 12, comma 2, della stessa legge sanziona la violazione dell’ art. 5 in modo assai meno severo rispetto alla surrogazione, è tuttavia lecito nutrire serie perplessità per questa chiamata alle armi dei giudici a favore di una innovativa lettura delle norme vigenti.

In un tentativo di sintesi estrema mi limito a rilevare che in relazione ai minori nati in Italia e cittadini italiani, per i quali si applica soltanto la disciplina dell’ordinamento italiano, la proposta ermeneutica invocata prescinde totalmente dal quadro normativo di riferimento, dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e soprattutto della Corte Costituzionale.

In primo luogo va rilevato che l’art. 4 della legge n. 40 ha configurato come condizione per ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita l’infertilità assoluta e irreversibile in senso patologico, cui non è assimilabile la condizione fisiologica di infertilità delle coppie omosessuali. 

Ricordo poi che la sentenza n. 32 del 2021 della Corte costituzionale - emessa nell’ ambito di un giudizio relativo al rifiuto di registrazione di due gemelle nate in Italia a seguito di fecondazione operata in Spagna - nel dichiarare inammissibili le questioni di costituzionalità degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 e 250 c.c.  in quanto non consentono il  riconoscimento dei legami affettivi del minore nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso nei confronti anche della madre intenzionale, ha implicitamente escluso  che la normativa di riferimento consentisse una lettura diversa, rilevando che nel sistema vigente i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne  versano in una condizione deteriore solo in ragione dell’ orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo ed ha evidenziato l’ impellenza di un intervento del legislatore  che in un quadro sistematico ed organico individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore anche nei confronti della madre intenzionale. In via esemplificativa - ha aggiunto la Corte  - potrebbe trattarsi di una riscrittura delle previsioni in materia di riconoscimento ovvero dell’ introduzione di una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla filiazione.

Prima ancora, con la sentenza n. 230 del 2020 la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile  la questione di costituzionalità dell’ art. 1, comma 20, della legge Cirinnà e dell’ art. 29, comma 2, del d.p.r. n. 396 del 2000 lì dove non consentono anche alla madre di intenzione di essere indicata nell’atto di nascita come genitrice del bambino, affermando di non rinvenire nell’ ordinamento né nelle fonti sovranazionali un principio in forza del quale due donne unite civilmente debbano essere riconosciute entrambe genitrici del bambino nato da fecondazione eterologa praticata dall’ una con il consenso dell’ altra e ribadendo che l’ obiettivo del  riconoscimento  della doppia maternità non è raggiungibile neppure attraverso il  sindacato di costituzionalità delle norme coinvolte, ma solo per via normativa, a seguito di una scelta con la quale il legislatore effettui il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto.

E prima ancora la sentenza della Consulta n. 221 del 2019 aveva dichiarato la legittimità del divieto di accesso alle tecniche di fecondazione alle coppie dello stesso sesso, rientrando nella piena discrezionalità del legislatore la scelta del modello relazionale abilitato a ricorrere alla p.m.a. e non essendo irragionevole che il legislatore si preoccupi di garantire al figlio non ancora venuto al mondo quelle che in astratto appaiono le migliori condizioni di partenza.

Ricordo altresì che la Corte Costituzionale ha più volte affermato che nel riconoscimento della filiazione del genitore di intenzione occorre escludere qualsiasi automatismo, atteso che l’interesse del minore va accertato in concreto, prendendo in esame gli elementi fattuali dai quali va desunta la practical reality del caso,  non potendo detto interesse identificarsi nella conservazione dello stato acquisito all’ estero e non essendo l’ autodeterminazione procreativa sufficiente a costituire lo status.

Proporre  una lettura della legge n. 40 che scinde l’art. 8 sullo stato giuridico del nato da procreazione medicalmente assistita dagli artt. 4 e 5, nonché l’ art. 12 dalle disposizioni precedenti, che non coglie le connessioni logiche, sostanziali e funzionali  tra le varie previsioni dell’ articolato ed altera le sue coordinate di fondo,  vuol dire non già offrire una interpretazione costituzionalmente orientata, ma proporre un’ interpretazione alternativa e creativa del diritto, in nome dell’ideologia dell’ autodeterminazione e della esaltazione del consenso prestato e in ossequio ad un non dimostrato   interesse del minore a conservare un legame corrispondente al progetto genitoriale.

Ma in una materia così delicata e suscettibile di essere condizionata da scelte valoriali e da presupposti ideologici il lasciare all’ interprete soluzioni non suffragate dal tenore delle norme è un’opzione densa di rischi e di incognite, in quanto aperta alla possibilità di risposte di giustizia che tradiscano quella esigenza di certezza, e dunque di eguaglianza, che integra uno dei metavalori della Costituzione.  

Vengono qui in gioco le prerogative del Parlamento, che anche in caso di sua colpevole inerzia non possono essere ignorate e superate, ma soltanto richiamate con forza attraverso la sollecitazione degli studiosi, degli operatori e della società civile.

Adeguare il diritto vigente

Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini non può che spettare al legislatore, che nel rispetto della dignità umana dovrà individuare soluzioni di carattere generale capaci di comporre tutti gli interessi in gioco. E se la Corte Costituzionale ha ritenuto di doversi arrestare dinanzi a quella colpevole inerzia, altrettanto dovrà fare il giudice ordinario di fronte al quadro normativo vigente, pur nella sua lettura più aperta. 

Per contro, il ricorso all’ adozione in casi particolari anche in relazione all’ ipotesi  delle due mamme  ha il merito di equiparare la fattispecie della pretesa doppia genitorialità femminile a quella maschile, eliminando quella difformità di disciplina in ragione del genere della coppia monoaffettiva che potrebbe dar luogo ad eccezioni di incostituzionalità, nonché di rispettare la volontà espressa dal legislatore del 2012 di parificare  la condizione dei figli  attribuendo loro un unico status.

 Su questa linea sembra orientata la più recente giurisprudenza della Cassazione (v. da ultimo Cass. 2023 n. 23527), la quale, ribadendo[4] che non può essere accolta la domanda di formazione di un atto di nascita recante il genitore di intenzione quale  genitore del bambino nato in Italia e concepito all’ estero con  l’ impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo voluto da una coppia omoaffettiva femminile, ha precisato che anche in tale fattispecie l’ adozione in casi particolari si presta a realizzare pienamente il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con il genitore adottivo.    

E questa stessa linea sembra fatta propria dal recentissimo disegno di legge  n. 871 Senato, primo firmatario Bazoli, che prospetta come unica misura per realizzare il rapporto con il genitore di intenzione, senza distinguere se la nascita  sia avvenuta in Italia o all’ estero, sia nel caso di gestazione per altri che in quello di violazione delle altre prescrizioni contenute nella legge n. 40,  un nuovo modello di adozione - così  eliminando le criticità che  denotano l’ inadeguatezza di quella “in casi particolari”-, un modello simile negli effetti a quello  dell’ adozione legittimante, ma configurato sotto alcuni profili come  “speciale”, in quanto diretto a regolare situazioni del tutto diverse da quelle postulate dall’ adozione ordinaria.  

La procedura tracciata dall’ articolato è estremamente semplificata, improntata ad una tempistica rapida, diretta a garantire quanto prima al nato lo stato di figlio della coppia: osservo al riguardo che la celerità della procedura è essenziale per scongiurare vuoti di tutela ed evitare gli effetti negativi che potrebbero prodursi a seguito di variazioni degli assetti familiari.

Il disegno di legge prevede inoltre la possibilità di emettere provvedimenti provvisori nel corso del procedimento e richiede anche la previa valutazione da parte del giudice della rispondenza della misura al superiore interesse del minore, escludendo quindi ogni automatismo.

Cosa farà il parlamento

Ove il Parlamento accolga questa impostazione, ogni valutazione circa la non adeguatezza dell’adozione in casi particolari diventa ovviamente irrilevante.

Nelle more non resta che dare applicazione allo strumento dell’ adozione in casi particolari, che si profila un po' meno inadeguata a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 79 del 2022 che ha dichiarato l’ incostituzionalità dell’ art. 55 della legge n. 184 del 1983, in relazione all’ art. 300, comma 2, c.c., nella parte in cui  escludeva l’ instaurarsi di rapporti parentali  tra l’ adottato e la famiglia dell’ adottante, così consentendo all’ adottato di entrare nella rete familiare di quest’ ultimo.

E’ importante al riguardo ricordare che la sentenza n. 79 ha preso in considerazione l’ adozione in casi particolari nell’ambito di un giudizio relativo ad una maternità surrogata effettuata all’ estero ed ha sottolineato che la declaratoria di  illegittimità costituzionale rimuove, dunque, un ostacolo all’ effettività della tutela offerta dall’ adozione in casi particolari e consente a tale istituto… di garantire una piena protezione dell’ interesse del minore, così dando continuità alla sentenza n. 33 del 2021 che aveva auspicato una modifica del regime dell’ adozione ex artt. 44 e ss.

E’ peraltro da rilevare che, venuto meno il più significativo elemento di inadeguatezza costituito dalla insussistenza di rapporti di parentela tra adottato e famiglia dell’ adottante, i nodi  del dibattito sono solo in parte sciolti, perché restano altre criticità, tra le quali la necessità dell’  assenso da parte del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo in caso di crisi della coppia,  e l’ essere rimessa l’ adozione in casi particolari alla volontà del genitore di intenzione. Non sembra tuttavia che questi siano limiti insormontabili.

Per quanto attiene al primo elemento, va ricordato che se è vero, come si sostiene in dottrina, che il rifiuto è giustificabile solo se espresso nell’ interesse del minore, la valutazione giudiziale dell’interesse del bambino all’ adozione potrebbe riguardare anche la giustificabilità - e quindi l’eventuale superabilità - di detto rifiuto.

Poiché una corretta lettura della norma impone di ritenere, come hanno ritenuto le Sezioni Unite con la sentenza del 2022 n. 38162, che l’assenso richiesto non si fondi sull’ arbitrio, ma vada collocato in una dimensione funzionale e trovi ragione nella negazione di un serio progetto genitoriale o di un’effettiva attività di cura e di assistenza, l’effetto ostativo del dissenso andrebbe valutato solo sotto il profilo della conformità al miglior interesse del minore. 

In ordine all’ altro requisito potrebbe osservarsi che la serietà del proposito adottivo non può non esprimersi anche e soprattutto nella richiesta di adottare, implicando  detta richiesta la precisa vocazione a tutelare l’ interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto anche con il genitore di intenzione e dimostrando l’ attualità del proposito di cura.

Restano altre criticità, come la possibilità di una rinuncia successiva alla domanda di adozione, la necessità di configurare un procedimento che si distingua per semplicità e celerità, l’ammissibilità di provvedimenti provvisori da adottare nel corso di esso. Ancora una volta appare essenziale la parola del conditor iuris.   

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