Il processo di cassazione per la strage di Viareggio del 2009 potrebbe cambiare tutto. Se verrà accolta la richiesta del procuratore generale di rinviare ad un appello bis l’ex amministratore delegato di Ferrovie dello stato e Rete ferroviaria italiana, Mauro Moretti, la condanna a 7 anni per l’imputato chiave potrebbe tornare in discussione. Se invece verrà confermata la sentenza d’appello, si potrebbe aprire un precedente inedito sul tema della responsabilità oggettiva in ambito penale per un amministratore delegato di una holding.

Per ora, le udienze fanno propendere per la prima ipotesi. La richiesta del pg di Cassazione ha spiazzato le parti civili: il pg Pasquale Fimiani ha ritenuto che la responsabilità di Moretti vada «necessariamente rivalutata, per un nuovo esame delle condotte tenute nel lungo periodo di tempo trascorso tra il momento della cessazione dell’imputato dalle cariche sociali in Rete ferroviaria italiana (avvenuta nel 2006, ndr), con il subentro di altri responsabili, e il momento nel quale il disastro si è verificato».

Il processo di appello del giugno 2019 aveva confermato la condanna di primo grado a 7 anni di carcere per i reati di disastro, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose e incendio. A differenza del primo grado, però, i giudici dell’appello avevano riconosciuto Moretti responsabile dei reati non solo come ex ad di Rete ferroviaria italiana, ma anche in quanto ex ad di Ferrovie dello stato, cioè della holding.

Moretti ha contestato su tutta la linea le ricostruzioni sia di primo grado che d’appello e ha chiesto alla Cassazione l’assoluzione con formula piena. Tuttavia intorno alla sua responsabilità come ad della holding ruota una questione giuridica più complicata che esula dal caso di Viareggio e che, se venisse confermata dalla Cassazione, aprirebbe un precedente giurisprudenziale.

Il ruolo della holding

I giudici di primo grado hanno riconosciuto che l’incidente è stato provocato in via diretta dalle società proprietarie del vagone merci e dalle società responsabili dei servizi di manutenzione, mentre in via indiretta dalle società controllate, ovvero Rete ferroviaria italiana e Trenitalia, per difetto di vigilanza sul rispetto delle regole di sicurezza. Per questo Moretti è stato condannato in quanto ex ad di Rfi (dal 2001 al 2006) insieme Michele Mario Elia, ad dal 2006 al 2014.

La sentenza d’appello del 2019 ha aggiunto in capo a Moretti la responsabilità penale anche in quanto amministratore delegato (dal 2006 al 2014) di una società capogruppo, ovvero Ferrovie dello stato, per non aver adottato le misure di sicurezza necessarie a evitare il disastro ferroviario.

Secondo i magistrati di Firenze, infatti, «l’esercizio di una forte interferenza nella gestione delle società controllate da parte della holding, attraverso una serie di atti di indirizzo e controllo, determina l’assunzione in capo a quest’ultima e ai suoi vertici di una posizione di garanzia rilevante», inoltre la Corte lo ha riconosciuto come «amministratore di fatto delle società controllate, e per questa via responsabile per tutte le condotte omissive imputate alle società controllate».

Se questa ricostruzione fosse confermata aprirebbe un precedente significativo in materia di responsabilità oggettiva. In sostanza, renderebbe tutti gli amministratori delegati di grandi gruppi di società potenzialmente responsabili sul piano penale delle eventuali condotte delle partecipate dei loro gruppi.

Contro questa ipotesi si è schierata Assonime, l’associazione delle società per azioni, che il mese scorso ha pubblicato un report in cui ha analizzato la sentenza d’appello, contestando che l’ad di una holding possa giuridicamente essere considerato «amministratore di fatto» delle controllate e «l’affermazione di forme di responsabilità oggettiva per il solo fatto di ricoprire un ruolo apicale all’interno del gruppo».

Il report è stato molto contestato dalle parti civili nel processo, perché è stato considerato un modo per interferire con il processo in Cassazione.Secondo la ricostruzione dei parenti delle vittime e dei magistrati fiorentini, invece, il ruolo in concreto esercitato da Moretti era quello di intervenire nelle attività delle partecipate e per questo gli sono state imputate direttamente le omissioni di interventi specifici «idonei a evitare il deragliamento o quantomeno a evitare o ridurre le sue conseguenze catastrofiche», si legge nella sentenza.

La corsa contro il tempo

Il processo rischia di finire sotto la ghigliottina della prescrizione una seconda volta. Già nel 2018 i reati di incendio e di lesioni plurime colpose erano cadute in prescrizione (Moretti, tra gli imputati a cui questi reati erano contestati, ha scelto di rinunciare alla prescrizione).

Oggi, invece, ad andare incontro alla prescrizione potrebbe essere l’imputazione di omicidio colposo plurimo. Il reato, infatti, non è ancora prescritto perché i giudici di appello hanno riconosciuto l’aggravante dell’incidente sul lavoro, che aumenta la pena e allunga i termini di prescrizione fino al 2026.

Se però la Cassazione non confermasse l’esistenza dell’aggravante, il risultato sarebbe che anche la condanna per omicidio colposo plurimo sarebbe prescritta. Proprio in questa direzione si è mossa la strategia processuale dei manager di Fs, che hanno chiesto proprio l’esclusione dell’aggravante dell’attentato alla sicurezza sul lavoro. Infine, se venisse accolta la richiesta dell’appello bis per Moretti, rischierebbe la prescrizione del reato di disastro ferroviario, che rimane in piedi fino al 2021.

All’interrogativo su quale giustizia verrà data alle vittime, si aggiunge anche quello sulla giusta durata del processo per gli imputati che, se le condanne verranno confermate, inizieranno a scontare la pena più di 11 anni dopo la commissione del reato.

© Riproduzione riservata