Sin dall’inizio della pandemia il legislatore è intervenuto nel tentativo di assicurare la funzionalità del sistema giustizia, riducendo al contempo il rischio di contagio.

Durante la “fase uno”, dal 9 marzo all’11 maggio, è stata prevista la sospensione di tutti i processi, con la trattazione scritta o da remoto dei processi urgenti, autorizzando un ampio ricorso allo smart working. Gli uffici giudiziari sono stati sostanzialmente chiusi al pubblico con trattazione delle poche udienze previste a porte chiuse.

Queste misure drastiche sono state seguite nella “fase due”, dal 12 maggio al 30 giugno 2020, da altre sospensioni processuali e limitazioni di accesso agli uffici “caso per caso”, per consentire la graduale ripresa dell’attività in condizioni di sicurezza sanitaria a seconda delle specifiche situazioni locali.

Per evitare il rischio di prescrizioni o scarcerazioni dovute ai rinvii, nelle fasi uno e due, il legislatore ha previsto la sospensione del decorso dei termini salva un’espressa richiesta di trattare i processi con detenuti.

Da luglio ad oggi

Dal 1º luglio è iniziata la “fase tre” nella quale sono cessate la maggior parte delle limitazioni e si è ripresa l’attività giudiziaria in modo “quasi” ordinario, nella speranza che i rischi sarebbero stati ridotti da un uso responsabile del lavoro da remoto, della trattazione scritta, dalla auspicata riduzione degli assembramenti, dall’uso delle mascherine e dei (pochi) schermi protettivi.

Come è noto questa situazione, che a livello nazionale è stata replicata dalla ripresa delle attività lavorative e ricreative in modo ordinario, è stata bruscamente interrotta dalla “fase quattro” che è iniziata il 28 ottobre. L’emergenza epidemiologica è ripresa in pieno per il prevedibile e rapido innalzamento dei contagi, costringendo il legislatore ad intervenire nuovamente con i cosiddetti decreti legge “ristori” e “ristori bis”.

Questi provvedimenti contengono ulteriori e specifiche disposizioni per la trattazione scritta o da remoto delle udienze, con ulteriori limiti alla pubblicità delle udienze e con nuove restrizioni di accesso agli uffici, per motivi di sicurezza sanitaria.

Mentre, però, nelle precedenti fasi uno e due le misure adottate avevano consentito una effettiva riduzione dei rischi, con notevole ma necessaria compressione dei diritti delle parti, la blanda ripresa delle limitazioni nella fase quattro risulta modestamente efficace per contenere i rischi sanitari solo nel settore civile, mentre per il settore penale l’attività prosegue di fatto nelle forme ordinarie poiché è stata consentita la possibilità di procedere da remoto solo con il consenso delle parti private che, però, stanno chiedendo nella maggioranza assoluta dei casi di assistere in presenza.

Il nodo del penale

Questa situazione, aggravata dalla strutturale difficoltà di celebrare i processi con numerosi imputati detenuti da remoto, sta provocando nel concreto la trattazione in presenza della maggioranza assoluta dei processi penali, con evidenti problemi di affollamento dei palazzi di giustizia, che rischiano di divenire i nuovi focolai di diffusione della pandemia, come dimostra l’aumento esponenziale dei casi che, nelle fasi uno e due, erano ridottissimi.

Si assiste così alla “chiusura” di intere sezioni o al rinvio in blocco delle udienze per la presenza di magistrati o di personale che hanno contratto in modo fortemente sintomatico il virus o che sono in isolamento precauzionale o in quarantena.

La gravità della situazione è stata segnalata immediatamente dall’Associazione nazionale magistrati al ministro della Giustizia, con la richiesta di approvare un insieme di regole organiche alle quali ricorrere in tutte le ipotesi di proroga dello stato di emergenza da Covid– 19, senza che sia necessario volta per volta adottare provvedimenti urgenti, spesso in contraddizione tra loro o che creano confusione tra gli interpreti, scaricando la responsabilità delle scelte nemmeno sui capi degli uffici giudiziari ma sui singoli magistrati e, addirittura, sulle parti private costrette a scegliere se rinviare la definizione dei processi, soprattutto con riferimento ai dibattimenti penali, o se esporsi al rischio chiedendone la trattazione in presenza.

I rischi della trattazione in presenza

La trattazione in presenza è ritenuta necessaria per garantire il principio di oralità, nel senso che i processi penali vanno discussi “a voce” e non per iscritto, ma è difficile comprendere perché la trattazione in presenza sia “più orale” della trattazione da remoto, visto che entrambe sono “a voce” e non per iscritto.

Il rispetto solo formale del principio di oralità, quindi, aggrava i rischi derivanti dalla contestuale presenza quotidiana di migliaia di persone negli uffici giudiziari, con rischi elevati soprattutto per la salute dei numerosissimi testimoni, costretti ad andare in udienza senza essere direttamente interessati al giudizio e senza potere interloquire sulle scelte delle parti.

Se, quindi, il problema è legato a fattori più tecnici che giuridici, forse anche un maggior sacrificio delle regole di organizzazione non inciderebbe sul rispetto di principi costituzionali, perché è evidente che ai medesimi rischi devono corrispondere le stesse regole.

Se era pericoloso trattare i processi in presenza nelle fasi uno e due dell’emergenza epidemiologica, lo è anche nell’attuale fase quattro.

Il legislatore dovrebbe, perciò, intervenire in modo deciso durante il percorso parlamentare di conversione dei decreti legge “ristori” e “ristori bis” per assicurare il funzionamento della giustizia in condizioni di sicurezza per tutti gli operatori e gli utenti del servizio, consentendo la celebrazione da remoto anche delle udienze penali e lasciando al difensore la possibilità di avanzare richiesta motivata di trattazione in presenza ed al giudice il compito di valutare la possibilità di procedere in presenza solo se ci sono condizioni di sicurezza sanitaria. 

Perché non può esserci giustizia se non si tutela la salute.

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