Il rilancio del Paese non può che partire dal rilancio della pubblica amministrazione, e il rilancio della pubblica amministrazione non può che partire dal dato umano: il personale pubblico. La qualità dell’amministrazione pubblica, infatti, dipende, ancor prima che dall’efficienza dei meccanismi procedimentali, dalla capacità e dalla qualità dei pubblici dipendenti cui è affidato lo svolgimento delle funzioni amministrative.

L’IRPA – Istituto di Ricerche sulla pubblica amministrazione, fondato e presieduto da Sabino Cassese, ha affrontato il tema sotto più punti di vista, nell’ambito dell’ambiziosa ricerca “Il rilancio della pubblica amministrazione tra velleità e pragmatismo”.

Da una parte è necessario che la pubblica amministrazione utilizzi buone pratiche al fine di reclutare le migliori competenze, dall’altra parte occorre che venga messa in atto un’efficiente gestione del personale, attraverso gli strumenti più idonei: leve di natura economica (come, per esempio, la retribuzione di risultato) e leve di diversa natura (come le progressioni di carriera).

Il tema della gestione del personale è stato oggetto specifico di studio e analisi da parte del gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Bernardo Giorgio Mattarella e da Alessandro Tonetti, che si è occupato di individuare i profili problematici relativi alle dinamiche di gestione del personale di proporre correttivi.

Si dà indicazione delle principali proposte elaborate dal gruppo di ricerca, mentre, per un maggiore approfondimento, si rimanda al paper “La pubblica amministrazione dispone di effettive leve di gestione del personale? Incentivi vs disincentivi” pubblicato sul sito dell’IRPA.

La contrattazione collettiva

Innanzitutto, la ricerca ha evidenziato l’opportunità di avviare una discussione con le organizzazioni sindacali sia al fine di riservare un maggiore spazio regolatorio alla contrattazione individuale, e permettere così al datore di lavoro pubblico di valorizzare anche gli elementi di differenziazione fra pubblici dipendenti, sia al fine di incentivare la contrattazione integrativa e ridurre le disparità di trattamento fra i dipendenti di amministrazioni omogenee qualora non siano giustificate dalle mansioni svolte.

L’attrattività del settore pubblico

Sarebbe necessario, inoltre, definire una strategia volta ad aumentare l’attrattività del settore pubblico in termini di motivazione, spirito di appartenenza, mantenimento delle competenze, superando l’idea del cd. “posto fisso”: ciò sarebbe possibile soltanto tracciando percorsi di carriera credibili, che seguano logiche meritocratiche, ispirati al modello britannico del Career Development Plan o a quello statunitense dell’Individual Development Plan.

La gestione del personale

Occorre, poi, investire sulla qualità dei dirigenti responsabili, conferendo loro un maggiore potere decisionale in modo che – come già avviene nel settore privato – esso rappresenti una figura centrale cui rimettere la realizzazione concreta della strategia dell’amministrazione nella gestione delle risorse umane. Ovviamente, il dirigente responsabile dovrebbe essere a sua volta valutato per le sue competenze manageriali.

La misurazione e valutazione delle performance

La normativa relativa alla misurazione e valutazione della performance individuale e organizzativa dovrebbe essere semplificata e razionalizzata; inoltre, occorrerebbe coinvolgere maggiormente l’organo di indirizzo politico, nonché migliorare la qualità dei controllori e chiarire la natura dell’OIV – Organismo indipendente di valutazione – e rafforzarne la posizione. Bisognerebbe recuperare, poi, una gestione unitaria degli indirizzi, istituendo un’apposita struttura indipendente di indirizzo e audit generale che possa coordinarsi con gli OIV nelle amministrazioni.

Le premialità economiche e non economiche

È di fondamentale importanza, inoltre, individuare meccanismi capaci di differenziare le retribuzioni in base al merito, per esempio attraverso il ricorso allo strumento del bonus, misura che può avere un minore rischio di automatismo rispetto all’aumento di stipendio. In generale, la contrattazione dovrebbe rappresentare uno strumento di incentivazione della produttività dei dipendenti, non uno strumento di crescita retributiva generalizzata. Al fine della maggiore differenziazione tra retribuzioni dovrebbe essere data una maggiore discrezionalità decisionale al dirigente, alla quale dovrebbe chiaramente corrispondere la valutazione della sua performance, cosa che certamente lo incentiverebbe a differenziare gli strumenti premiali servendosene per raggiungere risultati migliori.

Accanto agli incentivi economici, dovrebbero poi essere sviluppati incentivi di natura non economica, sia valorizzando le prospettive di carriera interne ed esterne all’amministrazione di appartenenza, sia valorizzando la formazione e altre iniziative senza impatto finanziario (come, per esempio, l’inserimento del dipendente meritevole in un team di talenti o di soggetti che hanno accesso diretto al vertice).

La struttura delle carriere e delle retribuzioni

La ricerca sottolinea l’utilità che avrebbe istituire un’area “quadri” nella pubblica amministrazione – cosa che è, peraltro, nelle intenzioni del Governo, come emerge dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale del marzo 2021 - e che ai quadri sia riconosciuto un trattamento economico adeguato alle loro mansioni, significativamente superiore a quello dei funzionari.

La normativa delle progressioni di carriera dovrebbe essere modificata al fine di permettere ai migliori funzionari l’avanzamento a quadro e anche a dirigente, senza che debbano partecipare a nuovi concorsi.

Con riferimento alle retribuzioni, poi, l’attuale disciplina delle progressioni economiche basate su titoli e anzianità dovrebbe essere modificata al fine da evitare meri automatismi stipendiali.

Il welfare integrativo

Si evidenzia, poi, la necessità di operare un potenziamento del welfare integrativo al fine di migliorare l’offerta e utilizzarlo quale importante leva gestionale; anche, per esempio, collegando la fruizione di una parte del welfare integrativo al ciclo di valutazione della performance.

La mobilità

La mobilità dovrebbe essere utilizzata anche nel settore pubblico come uno strumento di crescita professionale. A tal fine, si potrebbe innanzitutto agire sul piano della formazione, prevedendo adeguati periodi di formazione obbligatoria, almeno per i dirigenti.

Un ulteriore piano su cui agire sarebbe quello della rotazione tra funzioni, laddove occorrerebbe eliminare i tetti quantitativi agli incarichi di un’amministrazione che possano essere affidati a dirigenti di altre amministrazioni.

Inoltre, sarebbe opportuno agire sul piano degli incentivi, concependo la mobilità come un premio per i dirigenti migliori e offrendo vantaggi di carriera ai dirigenti disponibili ad accettare maggiore mobilità funzionale.

Infine, si potrebbe anche sviluppare la mobilità tra settore pubblico e settore privato, rimuovendo alcuni limiti previsti nel Testo unico sul pubblico impiego.

La formazione

Sarebbe necessario investire molto di più nella formazione rispetto a quanto già non si faccia. La formazione dovrebbe essere fruita da tutti i dipendenti, in relazione ai propri bisogni formativi e privilegiando le competenze strategiche, come quelle digitali. Non solo rileva la formazione iniziale (si pensi ai corsi-concorsi), ma anche quella permanente, che andrebbe programmata attentamente, mentre di pari passo andrebbero potenziate le strutture di formazione attraverso sinergie con il sistema universitario e con le imprese.

La responsabilità disciplinare e i licenziamenti

Com’è noto, il datore di lavoro pubblico tende a non utilizzare la leva disciplinare qualora non sia costretto; lo stesso non può dirsi, invece, per il datore di lavoro privato. Sarebbe necessario innanzitutto prevedere l’attuazione delle norme già esistenti. Inoltre, bisognerebbe agire per il rafforzamento della responsabilità e degli obblighi informativi delle scelte del dirigente nell’utilizzo o meno della leva disciplinare.

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