Erano annunciate, erano attese e con due comunicati stampa della Corte costituzionale si è data informazione dell’esito di due questioni di legittimità costituzionale che hanno visto fortemente contrapposti parte della dottrina, ma anche settori della magistratura.

Si tratta della questione dell’esclusione dell’accesso al rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo e della sospensione del decorso della prescrizione per effetto dell’emergenza del Covid-19 nello svolgimento dell’attività giudiziaria.

Entrambe le questioni non hanno superato il vaglio di legittimità costituzionale.

Nel caso della questione relativa al rito abbreviato, legge d’iniziativa della Lega, si è ritenuto che la materia sia oggetto di riserva di legge. Più complessa la questione della prescrizione, seppur in una dimensione più ridotta rispetto alla modifica introdotta dalla c.d. legge spazzacorrotti – attribuibile all’azione politica del Movimento 5 Stelle, di cui si è intestato la titolarità il Ministro della Giustizia in persona - che è già operativa per i reati commessi successivamente all’entrata in vigore della l. n. 3 del 2019, e in relazione alla quale è parcheggiato in Commissione giustizia, nel più ampio contesto della riforma del processo penale, il c.d. lodo Conte, che ne ridurrebbe la portata.

La prescrizione

Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici della Consulta, la questione d’incostituzionalità riguardava la disciplina di cui al comma 4 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, conv. in l. n. 27 del 2020, modificato dall’art. 36 d.l. n. 23 del 2020 e dall’art. 23, comma 9, del citato d.l., che ha disposto la sospensione della prescrizione in relazione alla mancata celebrazione delle udienze, a fronte della sospensione dei termini e del rinvio delle udienze a causa dell’epidemia Covid-19.

Il profilo interessato era anche dall’art. 25, comma 2 e 117 Cost., in relazione all’applicazione della sospensione di reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge.

Conseguentemente, il tema nelle contrapposte prospettazioni si collocava nel dibattito sulla natura sostanziale ovvero processuale della prescrizione: la prima governata dal principio di irretroattività, la seconda dalla regola del tempo del processo.

Invero, le questioni che le citate previsioni prospettano non sono riconducibili completamente a questo schema, per la peculiarità delle situazioni oggetto dell’intervento normativo.

Lungi dal trattarsi della generalizzata sospensione di ogni attività processuale, “è sospeso il decorso dei termini per il compimento di attività processuali”, non senza specifiche esclusioni. Possono infatti essere svolte le attività non sospese e, per i processi per i quali è possibile, l’attività giudiziaria non è interrotta. Con la conseguenza, tuttavia, che anche per questi processi che proseguono regolarmente il decorso dei tempi della prescrizione si allunghi.

Va sottolineato altresì che, nella situazione data, la stasi processuale non è determinata da iniziative delle parti o da inerzia dell’autorità giudiziaria, ma da una iniziativa di legge, incidente sui processi in corso, determinata dalla gestione dell’emergenza sanitaria.

Si consideri, inoltre, che alla difesa è consentito richiedere la celebrazione del processo, riconoscendo quindi la riconducibilità e l’attribuibilità della sospensione all’azione delle parti. Diritto, peraltro, riconosciuto al solo detenuto.

Va sottolineato che la sospensione de qua resta condizionata da molte variabili legate alle evoluzioni emergenziali con conseguenti interruzioni e riprese legate a situazioni fuori controllo delle parti che invece dovrebbero essere destinatarie di certezza, alle quali ancorare diritti e aspettative legittime.

I dubbi

In altri termini, con queste previsioni il legislatore governa lo sviluppo dei processi, al di fuori di qualsiasi garanzia di controllo e di razionabilità, e può, con le sue scelte discrezionali e variabili, determinare l’esito del processo.

In questo modo l’istituto sfugge alla sua finalità di cadenzare con linearità il decorso del tempo che porta all’estinzione del reato per il maturare del tempo dalla commissione del fatto. Questo dato in qualche modo trascende la natura sostanziale o processuale della disciplina, secondo lo schema tradizionale delle questioni che lo riguardano, ma nella misura in cui incide negativamente sull’esito del processo, in relazione al giudizio di responsabilità confligge con le garanzie costituzionali dell’irretroattività scolpita nella Corte costituzionale e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Da quanto è dato sapere, la decisione in materia è stata controversa, in misura ancora indefinita, ma abbastanza da indurre il relatore a non stendere la motivazione.

Considerate anche altre pronunce della legislazione emergenziale, la Corte costituzionale pare assecondare le scelte governative con buona pace delle garanzie, forse non pienamente consapevole che nel contesto di questa emergenza si gioca la partita del modello processuale del post-Covid.

Il problema della pec

Se l’attenzione degli operatori è stata concentrata inizialmente su queste decisioni, la diffusione della motivazione della sentenza della Cassazione in tema di motivi nuovi e di impossibilità di presentarli via pec se per un verso ha sciolto un nodo controverso, per un altro ha evidenziato l’imperizia del legislatore in materia, incapace di riempire di contenuti il comma 2 dell’art. 24 del d.l. n. 137, rimandandoli ad un provvedimento successivo su una materia delicata come quella dell’attività di impugnazione gravida di conseguenze in tema di inammissibilità.

Per capirci: siamo vicini al famoso comma 22 dell’esercito degli Stati Uniti. Il comma 4 dell’art. 24 si applica fuori dei casi del comma 2, che saranno chiariti in seguito!

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