Il ministero della Giustizia conta 180 tra dirigenti e responsabili degli uffici dell’amministrazione centrale e decentrata. Di questi, esattamente la metà sono magistrati fuori ruolo, secondo le delibere del Consiglio superiore della magistratura.

Magistrati sono i vertici degli uffici principali e in particolare dell’ufficio legislativo del ministero, ma anche del gabinetto ministeriale, dell’ispettorato generale, e soprattutto di tutti e quattro i dipartimenti: l’amministrazione penitenziaria, gli affari di giustizia, l’organizzazione giudiziaria e la giustizia minorile e di comunità, per citare solo i principali e non anche i sotto-uffici.

Vista da fuori, appare come una sorta di silenziosa occupazione da parte del potere giudiziario della sede più contigua all’interno del potere esecutivo. Vista da dentro, invece, viene letta come un riconoscimento dell’altissima competenza di singoli magistrati non solo nel garantire giustizia quotidiana, ma anche nella gestione della macchina giurisdizionale.

Le scelte di Cartabia

Nelle nomine interne che le sono spettate, la neo-ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha scelto la strada del bilanciamento tra passato e presente. Da un lato ha portato al ministero qualche volto nuovo (anche tra non togati), dall’altro ha mantenuto, in una logica di continuità, alcuni nomi scelti dai suoi predecessori.

Cominciando dall’ufficio legislativo, che è uno dei posti chiave al ministero nella predisposizione dei progetti di riforma perché si occupa di redigere gli schemi dei disegni di legge e degli emendamenti del governo, di dare pareri sui testi, analizza le leggi e fornisce consigli al ministero sulla loro interpretazione: al vertice lascia il magistrato Mauro Vitiello, ma per per fare posto sempre a una collega togata, Franca Mangano, che lascia la presidenza della sezione famiglia della Corte d’Appello di Roma e appartiene alla corrente di Magistratura democratica.

Rimane al suo posto, invece, la vice capo e magistrata milanese Concetta Locurto, nominata dall’ex ministro Alfonso Bonafede. A lei però Cartabia ha affiancato un altro vice capo, proveniente dall’accademia e in particolare dallo stesso ateneo dove la ministra ha insegnato: Filippo Danovi, avvocato e professore di diritto processuale civile all'università Bicocca di Milano.

Capo di gabinetto invece resta Raffaele Piccirillo, magistrato che è al ministero della Giustizia dal 2014, nominato da Andrea Orlando prima alla giustizia penale e poi al vertice del dipartimento per gli affari di giustizia.

Dovrebbero rimanere al loro posto anche i due vice, i magistrati Leonardo Pucci e Gianluca Massaro. Nell’ufficio di gabinetto, però, la ministra ha inserito anche Nicola Selvaggi, docente di diritto penale.

In mano a magistrati rimane anche il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i cui vertici sono stati recentemente rinominati da Bonafede in seguito al cosiddetto scandalo scarcerazioni: il direttore Dino Petralia e il vice Roberto Tartaglia.

All’ispettorato generale invece il vertice non è ancora stato rinominato, mentre dovrebbe rimanere al suo posto il vice capo, il magistrato Liborio Fazzi.

Per ora, dunque, le tre nomine fatte dalla ministra si ripartiscono equamente: un professore, una magistrata e un avvocato. Tuttavia, l’unica nomina di vertice è quella della togata.

I fuori ruolo

Chi sono, però – e quanti – i magistrati che svolgono funzioni alternative a quelle nei tribunali e nelle corti? In Italia, vengono considerati “fuori ruolo” i magistrati che chiedono e ottengono dal Csm l’autorizzazione a svolgere un incarico non giudiziario.

Secondo una legge del 2008, il numero massimo è di 200 magistrati e attualmente, secondo un elenco aggiornato a febbraio 2021, sono 162. Uno dei vincoli al via libera dell’incarico fuori ruolo è che l’ufficio che si lascia non abbia una scopertura di organico superiore al 20 per cento. 

Proprio questa clausola, tuttavia, si è dimostrata “interpretabile” in molte situazioni, (anche per Piccirillo, attualmente al gabinetto della Giustizia). L’ultima, che ha fatto sorgere un caso al Csm, ha riguardato l’assegnazione fuori ruolo della magistrata Elisabetta Cesqui, stimata sostituto procuratore presso la procura generale di Cassazione ed esponente di Magistratura democratica.

Cesqui era stata capo di gabinetto al ministero della Giustizia con Andrea Orlando, che la scorsa settimana l’ha scelta per lo stesso ruolo fiduciario al ministero del Lavoro. La sua assegnazione fuori ruolo, pur approvata dal Consiglio - con 12 voti a favore, 7 contro e 3 astenuti - è stata però al centro di un acceso dibattito (tra i più contrari c’era il consigliere togato Nino Di Matteo), perché nell’ufficio da cui proviene l’organico è scoperto è scoperto oltre il 20 per cento.

Ai fuori ruolo secondo la legge del 2008, tuttavia, si aggiungono i 42 magistrati di fatto fuori dalla giurisdizione perché svolgono incarichi presso gli organi di rilevanza costituzionale: Csm, presidenza della Repubblica e Corte costituzionale e i 19 eletti al Csm.

In tutto, dunque, non esercitano funzioni giudiziarie 223 magistrati: numeri non altissimi, ma pur sempre significativi se si considera la carenza di organico della magistratura ordinaria, che sta lentamente iniziando a venire colmata con le nuove assunzioni promosse dal precedente governo: il dato più aggiornato è di dicembre 2018 e, rispetto ad un organico che prevede 10.413 magistrati, risultano vacanti 1.383 posti, pari al 13 per cento.

 

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