La giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati non è nata sotto i migliori auspici. Non lo dico per i fatti che hanno preceduto queste elezioni (quelli avvenuti all’hotel Champagne e le chat documentate nel telefono cellulare dell’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara), già in sé sconvolgenti e devastanti per la credibilità dell’istituzione, ma per le ragioni che hanno causato uno stallo mai visto nella storia dell’associazionismo giudiziario.

Ci si sarebbe aspettati, per la prima volta, un gesto di umiltà e di distacco dalle malpractices che hanno avviluppato le correnti della magistratura fino ad oggi, anche all’interno dell’Anm.

Le logiche politico-partitiche, invece, hanno prevalso.

E’ iniziata la conta dei voti e dei seggi e, di conseguenza, delle poltrone che spettavano ad un gruppo piuttosto che ad un altro, consumandosi anche una serie di vendette trasversali per i torti subiti in passato, realizzate persino con veti incrociati su nomi sgraditi.

Tutte le buone intenzioni di autoriforma, di cambiamento di stile e di metodi nel governo associativo, quelle di unitarietà dell’azione, il “senso di responsabilità”,  si sono infranti davanti al muro che le segreterie e le presidenze dei gruppi associativi hanno frapposto per ribadire la loro centralità davanti a qualsiasi interesse della categoria intesa nel senso di collettività dei magistrati.

E’ stata persino adottata a larghissima maggioranza una delibera che ha consentito una inconsueta “partecipazione attiva” dei rappresentanti correntizi alle sedute del Comitato direttivo centrale, in assenza di qualsiasi previsione statutaria in merito e, soprattutto, in spregio a quella norma di buon senso che avrebbe dovuto indurre gli esponenti delle tradizionali correnti, taluni dei quali direttamente o indirettamente coinvolti nelle chat con Luca Palamara, dall’astenersi persino dal  farsi vedere dall’occhiolino della serratura della grande sala di albergo nella quale si sono tenute le prime riunioni.

Hanno deciso loro, di fatto, la Presidenza e la composizione della Giunta centrale in consessi diversi dal Comitato direttivo, unico e naturale luogo deputato alla elezione dei rappresentanti dell’esecutivo dell’Anm.

Il manuale Cencelli delle correnti

Hanno imposto loro i nomi, le cariche, i ruoli e le appartenenze ai gruppi per ciascuno di essi, con un metodo spartitorio degno della Prima repubblica, secondo il noto protocollo cencelliano, ovvero, con una metafora calcistica, secondo un rigido schema del 3-3-2-2  (tre ai due gruppi con maggiori rappresentanti, due a quelli minori).

Così, invece che rispettare il responso elettorale anche in termini di consenso personale (circostanza che avrebbe  dovuto “premiare” la figura del presidente uscente Luca Poniz), è stato scelto come Presidente dell’Anm un magistrato di legittimità che ha, negli ultimi anni, rivestito un importante incarico fiduciario fuori ruolo presso il Ministero della Giustizia. Insomma l’antitesi della “mission” sindacale della nostra associazione.

Non paghi di ciò, al fine di simulare una finta unitarietà di intenti, ogni gruppo ha dovuto diluire le priorità caratterizzanti i rispettivi manifesti elettorali in un “elenco di punti” da porre al centro dell’azione, dal contenuto talmente generico e vacuo, da essere additato come un vero e proprio “programma-fuffa”, per non parlare di una vera e propria “frode delle etichette”. 

La Giunta non ha indicato nessuna concreta iniziativa o proposta efficace per  modificare l’attuale stato di cose.

Quanto agli obiettivi primari da perseguire, l’Anm non sembra voler davvero mettere al centro del dibattito la doverosa autocritica nei confronti di un Consiglio superiore della magistratura del tutto delegittimato e screditato da “Magistratopoli”, non solo fin dal momento della sua elezione (per avere forgiato un organismo nel quale gli unici candidati erano stati scelti dai gruppi che animano l’associazionismo) ma, ancor peggio, dopo la discovery dei fatti perugini e delle migliaia di conversazioni che un anfitrione del “sistema delle correnti” custodiva nel suo telefono cellulare.

L’Anm non sembra per nulla intenzionata a fare la necessaria pulizia nei confronti di quel sistema illegale, per non dire criminogeno, che ammorba l’aria consiliare e la vita quotidiana della istituzione magistratuale, avendo modificato un organo di garanzia di rilevanza costituzionale -che ha lo scopo di tutelare le prerogative e lo status di ogni singolo magistrato – in un collegio formato (quasi) esclusivamente da rappresentanti di associazioni private non riconosciute, incapace di difendere e tutelare le ragioni di chi è estraneo al “sistema”, se non addirittura vittima. 

Il disaccordo di Articolo Centouno

Le prime avvisaglie dell’azione associativa, piuttosto, lasciano presagire che l’Anm continui a rimanere un vivaio per sfolgoranti carriere parallele, un vuoto “documentificio” buono solo a far sì che i sani propositi  restino lettera morta.

L’unico elemento di novità di queste elezioni, ossia la rappresentanza della lista Articolo Centouno, non poteva che rimanere all’opposizione di una Giunta che non ha recepito nessuna delle proposte –certamente esiziali per il correntismo- che i suoi rappresentanti avevano inserito nelle linee programmatiche per una Anm davvero “pentita”. 

Sorteggio dei candidati da eleggere come metodo di scelta della componente togata per il Csm e rotazione negli incarichi direttivi e semidirettivi sono gli unici strumenti, allo stato,  capaci di sconfiggere  i clientelismi e  le logiche di rappresentanza “politico-partitica” che si sono impossessati dell’istituzione consiliare e di attuare in concreto il principio costituzionale secondo il quale i magistrati si differiscono tra loro soltanto per le funzioni esercitate.

I magistrati eletti nella lista Articolo Centouno si impegneranno affinchè questi obiettivi, insieme ad una efficace  operazione “verità” in ordine alle condotte affaristiche emerse dal caso Palamara, vengano posti al centro del dibattito associativo.

Confidiamo nell’aiuto della parte sana e disinteressata della politica, degli organi di stampa, dell’avvocatura, dell’accademia, della cosiddetta società civile.

E’ l’ultima occasione che abbiamo per tentare di scardinare un sistema che è la negazione di quella immagine di imparzialità e di legalità che dovrebbe connotare la giurisdizione.

  

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