Le cronache ci raccontano della degenerazione dell’associazionismo giudiziario, trasformato da momento di confronto tra sensibilità culturali e giuridiche differenti, ad occasione e strumento per la gestione ed il mantenimento di posizioni di potere, fondate, anche, sul clientelismo elettorale. Queste posizioni di potere hanno avuto un formidabile impulso dall’attuale sistema elettorale.

Ne discende l’indefettibile urgenza di una riforma che, prima della scadenza elettorale di luglio 2022, proponga un metodo di selezione che faccia tesoro della negativa esperienza passata, impedendo il ripetersi delle condizioni che hanno provocato quell’insana degenerazione che tanto discredito ha portato all’autorevolezza della magistratura.

Una vergogna da non ripetere, ma che non può essere dimenticata.

I condizionamenti

L’esperienza ci insegna che l’azione dei gruppi associati è stata condizionata da nuclei di potere a carattere regionale, ovvero da leadership personali a cui larga parte della magistratura ha chiesto garanzie di protezione e rassicurazioni in ordine alle prospettive di carriera. L’attuale sistema elettorale ha consentito a oligarchie correntizie la gestione di candidature bloccate, che hanno svilito il confronto tra i gruppi associati e persino all’interno di ogni gruppo, ostacolando la rappresentanza delle sensibilità che percorrono la magistratura.

La paura di incorrere in disavventure disciplinari o, comunque, di non vedere turbato il proprio percorso professionale e l’ambizione rivolta verso scintillanti carriere direttive, hanno costituito la cifra autentica di molte scelte elettorali, consentite dall’attuale sistema.

Una riforma elettorale del CSM che ambisca ad agevolare il percorso di rigenerazione etica e culturale della magistratura, sollecitata anche dal Presidente Mattarella, deve tenere ben presente le cause e le ragioni di quella degenerazione da cui tutti vogliamo emendarci.

La disaffezione e la sana frustrazione, generatesi in seguito all’annichilimento del dibattito associativo e allo svilimento della sua funzione, hanno indotto taluni a proporre il sorteggio, come rimedio alla ritenuta incapacità dei gruppi associati di rigenerarsi. Ma il rimedio, oltre a porsi in frizione con il dettato costituzionale, rappresenta una dichiarazione di resa di una parte della magistratura, che giudica l’intero corpo giudiziario incapace di selezionare, quindi gestire, il governo autonomo, preferendo affidarsi alla sorte.

Gli effetti negativi del maggioritario

Altri gruppi hanno proposto sistemi elettorali di impronta maggioritaria, metodo che rischia di svilire la possibilità che il Consiglio rappresenti le plurali sensibilità della magistratura, negandone la loro più ampia rappresentanza, in funzione di una migliore “governabilità” delle scelte. Quest’ultima, tuttavia, è estranea alla funzione consiliare che non si regge su un programma di governo, piuttosto su scelte contingenti, fondate su maggioranze variabili: il Consiglio, a differenza del Parlamento, non ha bisogno di esprimere una maggioranza stabile; per contro, la ricerca di governabilità può stimolare e generare stabili accordi, sia in fase elettorale, sia nella successiva gestione del governo autonomo, che rischiano di riproporre proprio quelle dinamiche di potere che stanno alla base delle più recenti degenerazioni. Il sistema elettorale maggioritario non costituisce un antidoto a quelle disfunzioni, ma può costituirne il prodromo.

Questi effetti negativi sarebbero esaltati da un sistema elettorale maggioritario, fondato su piccole circoscrizioni elettorali che valorizzerebbero la prospettiva di protezione dei singoli e di tutela delle loro ambizioni di carriera, piuttosto che le diverse proposte di politica giudiziaria. E questo senza tenere conto che l’esistenza di potentati regionali, volti alla tutela di interessi micro-corporativi, sia stata uno dei principali fattori di degenerazione che andrebbero inibiti e non agevolati.

Si tratta di sistemi elettorali che non stimolano un consenso fondato su un rendicontabile rapporto di rappresentanza delle varie sensibilità presenti nella magistratura, ma possono contribuire a generare un consiglio di nominati, che garantisce ed implementa la formazione di gruppi che alimentano ancora il clientelismo elettorale. Infine, i sistemi maggioritari non tutelano, né promuovono la pari opportunità tra donne e uomini, violando la necessaria rappresentatività di genere.

Meglio il proporzionale

Pur nella consapevolezza che non esistono modelli elettorali “perfetti”, queste valutazioni fanno preferire i sistemi proporzionali, o almeno quelli con potenziali effetti proporzionali. Si tratta di sistemi che garantiscono la plurale rappresentatività delle diverse sensibilità presenti in magistratura, e sono in grado di dare autentiche chance di successo anche a nuove aggregazioni che si propongano come alternative ai gruppi associati “storici”.

Inoltre, quei sistemi ostacolano il consolidarsi di maggioranze precostituite nella gestione effettiva dell’autogoverno e stimolano un costante e progressivo confronto tra sensibilità plurali, generante esiti non preventivabili, raffinando verso l’alto – e proprio grazie al confronto – la qualità delle scelte di politica giudiziaria, obbligando eletti e gruppi che li hanno sostenuti, a renderne conto.

Queste valutazioni ci spingono ad esprimere apprezzamento verso la proposta della Commissione Luciani che – oltre a un aumento del numero dei componenti del Consiglio, per migliorare la sua funzionalità – prevede, quanto al modello elettorale, il sistema del cosiddetto voto singolo trasferibile.

Si tratta di un modello elettorale che:

(a) garantisce una possibilità di partecipazione al confronto elettorale anche a singoli magistrati o a gruppi associativi appena affacciatisi nel panorama associativo, favorendo così il pluralismo anche per l’elettorato passivo;

(b) pur conservando il modello del collegio unico nazionale per le categorie dei candidati di legittimità e requirenti, prevede – per i candidati giudicanti di merito – la suddivisione del territorio nazionale in tre collegi di medie dimensioni. In questo modo su “avvicinano i candidati ai territori, ma allo stesso tempo si tengono sufficientemente distanti da essi, indebolendo la possibile influenza dei potentati locali, alla base di molte degenerazioni;

(c) con la previsione che ciascuno dei tre collegi per la categoria giudicanti di merito esprima un numero di eletti di almeno 4-5 consiglieri, assicura un risultato necessariamente rappresentativo della pluralità di ispirazioni culturali che sono presenti nel corpo della magistratura (e, quindi, tendenzialmente proporzionale);

(d) con la previsione che ciascun elettore debba esprimere «in ordine decrescente un minimo di tre preferenze e un massimo pari al numero dei seggi assegnati al collegio» – preferenze che poi potranno essere valorizzate al momento dell’assegnazione dei seggi – il sistema favorisce anche l’espressione di voti verso candidati non necessariamente “organici” ad un solo gruppo associativo (favorendo così la possibilità per l’elettore di “riconoscersi” trasversalmente in più candidati);

(e) con la previsione di meccanismi che favoriscano l’elettorato passivo di candidature provenienti da ambedue i generi e con la previsione di «almeno una preferenza per un candidato di genere diverso da quello degli altri», il modello immaginato dalla Commissione Luciani vuole favorire una più equilibrata rappresentanza di genere nell’istituzione consiliare.

Integrazioni alla proposta Luciani

Tuttavia, affinché il sistema produca i suoi effetti benefici, è necessario prevedere integrazioni alla proposta della Commissione Luciani che garantiscano un numero di candidati significativo, nonché quote minime di risultato, in funzione della rappresentanza di genere.

Sul punto, non possiamo ignorare che il dibattito sulla rappresentanza di genere nella composizione del Consiglio - giustamente percepito dall’opinione accademica più attenta al tema come “volto attuale della questione di genere nella magistratura” – era giunto a proposte più radicali, quali la doppia preferenza di genere nella elezione della componente togata e la riserva di una quota minima di genere di un terzo sia per la componente togata che per quella laica.

La proposta Luciani si muove su un terreno di misure più blande ma importanti: pensiamo al principio delle pari opportunità di genere anche per l’elezione della componente non togata, e all’inedita possibilità di votare nello stesso collegio contestualmente due candidature, se di genere diverso. Resta il nostro impegno a promuovere la massima rappresentanza femminile nella dimensione associativa e dell’autogoverno, nell’aspirazione a un’uguaglianza costituzionale sempre più gender sensitive.

Della proposta della Commissione Luciani riteniamo molto positiva la possibilità di comporre sulla scheda un Consiglio ideale – se non integralmente almeno in una sua rilevante porzione – in quanto gli consente di apprezzare la personalità di candidati provenienti da sensibilità e culture professionali diverse. In questo modo ci si avvicina all’idea costituzionale del consigliere che esercita il suo ruolo senza vincolo di mandato e in rappresentanza di tutti i magistrati.

Manca dibattito

Tuttavia, siamo preoccupati dall’assenza di dibattito su questi temi. La memoria del travolgimento del progetto di riforma del processo penale, proposto dalla Commissione Lattanzi e sacrificato sull’altare di un compromesso al ribasso, tra le antagoniste forze politiche che compongono la maggioranza di Governo, ci rende perplessi. Siamo tuttavia fiduciosi che la Guardasigilli saprà vigilare sulla tenuta della proposta della Commissione Luciani, nella prossima riforma in gestazione.

La recente approvazione di un disegno sulle modalità del concorso per l’accesso in magistratura (con una riduzione del vaglio critico sulle qualità degli aspiranti), senza nessun dialogo non solo con l’ANM, ma neppure quello istituzionale con il CSM, accentua la percezione di una scarsa attenzione del Legislatore verso le ragioni e gli argomenti che la magistratura può portare al dibattito; in tal modo si rischia di far mancare al confronto parlamentare esperienza e conoscenza, che la magistratura offrire non solo in ordine agli effetti giuridici delle norme che la governano, ma soprattutto sulle dinamiche etiche e culturali che dalle innovazioni regolamentari possono determinarsi.

Ci auguriamo, perciò, che nelle valutazioni del Governo prevalgano le ragioni funzionali ad agevolare la rigenerazione della magistratura, auspicata dal Capo dello Stato, piuttosto che valutazioni mosse da contrapposti pregiudizi e preconcetti ideologici, rispetto ai quali trovare l’ennesimo compromesso al ribasso.

© Riproduzione riservata