La cosiddetta riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario, approvata definitivamente col voto del Senato del 16 giugno scorso, è caratterizzata da palesi profili di incostituzionalità (con riferimento ad esempio agli artt. 51, 101, 104 e 107 Cost.  solo per citarne alcuni)  e tradisce i ripetuti moniti del Presidente della Repubblica alle forze politiche.

Essa appare  del tutto inidonea a contrastare le degenerazioni del correntismo e ha come effetto quello di ulteriormente consolidare e rafforzare il potere delle correnti nel sistema di governo dei magistrati.

Si va esattamente nella direzione opposta rispetto alle finalità dichiarate dagli stessi "riformatori" e invocate dal Capo dello Stato.

sempre più gerarchia

La strada scelta è quella di magistrati e di uffici giudiziari, anche giudicanti, organizzati secondo criteri sempre più gerarchicamente orientati, di un  governo della magistratura fondato su un merito finto e arbitrario e invero monopolizzato da lobbies e partiti, esterni e interni all'ordine giudiziario.

Il controllo diretto dei dirigenti degli uffici sull’operato dei singoli magistrati, in assenza di criteri obiettivi definitori dei carichi di lavoro esigibili predeterminati su tutto il territorio nazionale, costituirà una ulteriore mortificazione del difficile lavoro del giudice.

Il pacchetto di riforma ministeriale, licenziato dal Parlamento, lede palesemente i fondamentali principi costituzionali di legalità,  indipendenza e imparzialità della giurisdizione, presidi primi ed essenziali dei diritti delle persone.

Offende macroscopicamente le tanto declamate richieste dell'Europa, che pretende, a garanzia di tali diritti, un giudice in grado di «agire senza alcuna restrizione, impropria influenza, istigazione, pressione, minaccia o interferenza, diretta o indiretta, di qualunque provenienza o per qualunque ragione» (vd. Rec(94)12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sull’indipendenza, l’efficienza e il ruolo dei giudici, che richiama, anche dal punto di vista letterale, l’art. 2 dei «Basic Principles» fissati dalle Nazioni Unite; vd. anche art. 3 statuto universale del giudice, approvato dall’Unione Internazionale dei magistrati, nel novembre del 2017 a Santiago del Cile).

Qualcuno aveva sperato, vanamente,  che il Presidente della Repubblica potesse rinviare alle Camere un intervento normativo contrassegnato da cotante criticità, come ebbe a fare un indimenticato predecessore di Sergio Mattarella nel 2014 in relazione ad altra riforma, di intensità assai minore della presente.

Al contrario il testo è già stato promulgato in data 17 giugno 2022 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 giugno.

I collegi territoriali

Tra le cose più sorprendenti vi è che già il giorno dopo l’entrata in vigore della legge il Ministero della Giustizia, con la collaborazione dei magistrati ivi distaccati, verosimilmente scelti con il manuale Cencelli tra le correnti, aveva già formato i bacini dei collegi territoriali in relazione alla nuova legge elettorale, approvati senza colpo ferire dalla stragrande maggioranza del CSM- delle correnti- la mattina del 23 giugno, a fronte di una richiesta di parere pervenuta il 22.

In tempi record, dopo una inerzia protratta per tre anni dallo scoppio della scandalo che ha travolto la magistratura italiana, nella imminenza delle elezioni - in evidente violazione dei codici etici in materia elettorale elaborati dalla Commissione di Venezia- il Governo ha modificato la legge che avrebbe dovuto debellare il correntismo e lo ha fatto con la benedizione dei partiti che occupano il CSM e con quella del Capo dello Stato.

Non resta che ribadire, allora, che questa pseudo-riforma della Giustizia, dannosa e incostituzionale, aggraverà i mali dell’autogoverno per la cui  soluzione era stata ideata e invocata, comprometterà ulteriormente  l’indipendenza dei singoli  magistrati e accentuerà pesantemente i pericoli di condizionamento indebito della funzione giurisdizionale, atteso che essa mira alla gerarchizzazione dei Tribunali con “pagelline”, verifiche della tenuta dei provvedimenti e sanzioni disciplinari per i  direttivi che non segnalino criticità dei propri “subalterni”, in chiaro spregio dell’art. 107 della nostra Costituzione, che vorrebbe che i Magistrati si differenziassero soltanto per le funzioni svolte.

La questione morale

Nel frattempo rimane del tutto irrisolta la questione morale scoperchiata dalle chat rinvenute sul telefono cellulare di un ex consigliere del CSM  e dall’incontro nell’hotel Champagne di Roma di consiglieri in carica del CSM, politici ed ex componenti dell’organo di autogoverno.

Mentre Luca Palamara e l’uscente Procuratore generale presso la Corte di Cassazione si promettono reciproche querele per le accuse incrociate nate a seguito della pubblicazione di un noto best-seller, resta il fatto che una direttiva del detentore monocratico del potere disciplinare nei confronti dei magistrati del 2020 ha di fatto amnistiato tutte le condotte di autopromozione e di etero-promozione dei magistrati presso il CSM, creando odiosi doppiopesismi in relazione a vicende passate e a quella che ha portato alla destituzione dall’Ordine giudiziario di Luca Palamara, di fatto premiando tutti quei direttivi e semidirettivi che hanno ottenuto il loro posto brigando con i singoli consiglieri e con i sodali di corrente.

II caso Salvi

La cosa strana è che per analoghe condotte commesse da altre categorie professionali (medici, professori universitari, amministratori di aziende sanitarie) anche in tempi recentissimi le persone coinvolte sono state raggiunte da provvedimenti cautelari personali o da sanzioni disciplinari esemplari.

Per i magistrati, invece, la grave scorrettezza può essere di scarsa rilevanza e viene archiviata senza alcun vaglio giurisdizionale o di un organo terzo rispetto a quello dell’unico titolare dell’azione.

E senza alcuna possibilità di consultare il provvedimento della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, in virtù di un incomprensibile segretezza opposta da quell’Ufficio a chiunque possa averne interesse per comprendere le ragioni della benevola definizione del procedimento.

Non è finita qui. Con una interpretazione particolarmente attenta a garantire la pretesa privacy dei suoi iscritti e tutelando oltre ogni misura l’asserito diritto di recedere liberamente dall’associazione, anche l’Anm ha consentito a decine e decine di colleghi coinvolti in condotte di interferenza nel funzionamento del Csm-  che sicuramente integrano illeciti deontologici secondo il codice etico dell’Anm - di fuggire a gambe levate e “insalutato ospite” dal sindacato di magistrati, immediatamente dopo essere stati raggiunti dai provvedimenti di incolpazione e dalla loro  convocazione davanti al collegio dei probiviri.

Non c’è che dire: l’Anm e il Csm, e, soprattutto, le correnti che le governano in modo oligarchico, predicano bene e razzolano male. E’ facile comprendere  la ragione per cui la fiducia nella credibilità e autorevolezza della magistratura sia crollata dal 70% al 30% in pochi anni.

Se il trend proseguirà in questo modo, tra due anni saremo ai numeri relativi.

L’unica speranza, a  questo punto, è la strada dell’autoriforma, come quella che sta percorrendo, ad esempio, il Comitato Altra Proposta, promuovendo candidati sorteggiati per le elezioni del Consiglio Superiore della Magistratura. O come  quella che auspichiamo intraprendano il Csm che verrà o  l’attuale Anm con l’introduzione del criterio della rotazione negli incarichi direttivi e semidirettivi o con la individuazione dei carichi esigibili di lavoro.

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