Il dibattito sorto intorno alla sentenza del Tar che obbliga Report a consegnare alcuni “documenti” utilizzati per produrre un servizio ha sollevato due questioni: il diritto alla tutela delle fonti giornalistiche e la natura della Rai. 

Per capirne i contorni vanno ricostruiti i fatti. Il 26 ottobre scorso Report ha mandato in onda un servizio dal titolo “Vassalli, valvassori e valvassini”, che approfondiva il ruolo dell’avvocato amministrativista Andrea Mascetti, iscritto alla Lega e molto vicino al presidente della Lombardia Attilio Fontana, il quale negli anni ha ricevuto numerose consulenze da parte di enti locali controllati dal partito.

Dopo il servizio, Mascetti ha presentato ricorso al Tar per chiedere ai giudici amministrativi di ordinare alla Rai la consegna di «tutte le richieste rivolte dai giornalisti o dalla redazione di “Report”, tramite e-mail o con qualsiasi mezzo scritto o orale, a persone fisiche ed enti pubblici (Comuni, Province, ecc.) o privati (fondazioni, società, ecc.), per ottenere informazioni o documenti» riguardanti Andrea Mascetti e la sua attività professionale e culturale e «in particolare la corrispondenza personale intercorsa tra lo scrivente e soggetti terzi illustrata nella parte finale del servizio», insieme a «ogni altra corrispondenza che sia intervenuta tra i giornalisti o la redazione di “Report” con riferimento all’avvocato Andrea Mascetti o allo Studio Legale Mascetti».

A giustificazione della sua richiesta di ottenere tutte le carte su cui si è basato il servizio, Mascetti sostiene che questi elementi gli siano necessari «per poter promuovere iniziative a tutela del suo buon nome dinanzi alle competenti autorità giudiziarie e amministrative». Vale a dire, per sostenere una denuncia per diffamazione a mezzo stampa e per chiedere i danni in sede civile alla stessa Report.

La decisione del Tar

Per ottenere ciò che vuole, Mascetti fa leva sulla natura “ibrida” della Rai, dove Report va in onda.

In sostanza, la tesi è: la Rai è azienda che fornisce un servizio pubblico, dunque soggetto alle norme di trasparenza dei soggetti di diritto pubblico, e il materiale chiesto è riconducibile al concetto di “documento amministrativo”. Inoltre, spiega Mascetti, la richiesta non è  quella di conoscere l’identità delle fonti, ma di acquisire i documenti su cui è stato costruito il servizio televisivo.

Gli avvocati della Rai obiettano sostenendo che l’attività editoriale e giornalistica non possa essere ricondotta nella sfera dell’attività di pubblico servizio della Rai. In ogni caso, poi, l’attività della Rai come azienda non comprende gli aspetti che riguardano le prestazioni giornalistiche e l’elaborazione dei singoli prodotti, che rientrano nella libera esplicazione dell’opera intellettuale del giornalista incaricato.

Il Tar, tuttavia, accoglie parzialmente il ricorso e con la sua pronuncia mostra da un lato di conoscere in modo più che sommario il funzionamento di una redazione giornalistica, ma nello stesso tempo evidenzia l’eterna contraddizione della Rai.

Il problema delle fonti

Il Tar fa una diversa valutazione degli atti a cui Mascetti chiede di accedere e li divide in «dati», «informazioni» e «documenti».

Ai primi due si può avere accesso con il cosiddetto “accesso civico”, che però è previsto solo per le società in controllo pubblico, escluse quelle quotate. La Rai, invece, emette strumenti finanziari quotati, dunque il Tar ha dichiarato inammissibile la richiesta di «dati» e «informazioni».

L’accesso ai «documenti», invece, viene fatto con la forma dell’”accesso documentale” agli atti amministrativi, che invece è possibile nei confronti di tutti i gestori di pubblici servizi. E, secondo il Tar, la Rai ha sì una veste formalmente privatistica ma conserva elementi pubblicistici come la nomina del consiglio d’amministrazione da parte della Commissione parlamentare di vigilanza, la destinazione di un canone e la proprietà pubblica. Dunque la richiesta di documenti è sempre possibile.

Il ragionamento dei giudici amministrativi, quindi, è puramente tecnico-giuridico ma si fonda su un sillogismo inaccettabile per la professione giornalistica e cioè che i servizi giornalistici della Rai, in quanto prodotti da un’azienda pubblica, siano atti di diritto amministrativo e non servizi giornalistici. 

Tradotto: i giornalisti non sarebbero liberi professionisti che producono opere intellettuali, ma dipendenti amministrativi che producono atti amministrativi che possono  (nel caso dei documenti) o non possono (nel caso di dati e informazioni) essere soggetti alla richiesta di accesso da parte di chi ne abbia interesse qualificato. Dunque in fanto atti amministrativi dovrebbero essere pubblici sia nella parte “visibile”, ovvero il servizio, che in quella “invisibile” che è il lavoro di ricerca retrostante.

Questo è il fraintendimento di fondo, che prescinde addirittura rispetto al principio di tutela delle fonti giornalistiche, connesso alla libertà di stampa e previsto con la legge del 1963 che prevede il segreto professionale.

La decisione è priva di effetti pratici

La sentenza del Tar ha creato ovvia preoccupazione per l’invasione in una sfera delicata come quella professionale dei giornalisti, ingenerando il paradosso che solo un giornalista che lavora per la Rai può subire una simile richiesta, anche se temeraria, mentre altrettanto non sarebbe possibile per chi lavora per emittenti private.

Tuttavia, l’obbligo che i giudici impongono a Report è sostanzialmente inutile anche per lo stesso Mascetti. Il Tar, infatti, ha parzialmente accolto la richiesta e ordinato alla Rai di consegnare le «richieste informative rivolte in via scritta dalla redazione del programma ad enti di natura pubblica, in merito all’eventuale conferimento di incarichi o consulenze in favore del ricorrente, unitamente ai riscontri forniti da suddetti enti, in quanto rientranti nel novero dei documenti e degli atti detenuti da una pubblica amministrazione o da un privato gestore di un servizio pubblico».

Semplificando il linguaggio: Report sarebbe obbligato a dare a Mascetti le eventuali mail o richieste scritte e le risposte che la redazione avrebbe ricevuto dai comuni lombardi citati nel servizio, in cui chiedeva l’accesso alle consulenze dell’avvocato. Quindi dei dati già pubblici e che Mascetti potrebbe agilmente reperire da sè, perchè presenti sul sito https://consulentipubblici.gov.it/, ma che comunque i comuni sono tenuti a fornire a chi li chieda. Per questo, secondo il Tar, l’opposizione del segreto giornalistico sulle fonti informative è «privo di rilievo».

La vicenda, tuttavia, ha correttamente suscitato clamore per una ragione: la pretesa, anche se temeraria, di Mascetti a voler sfruttare la natura pubblica della Rai per ottenere attraverso un giudice dati, informazioni e documenti frutto del lavoro giornalistico. Questo tentativo, più che la sentenza in sè, è rilevante perchè sfrutta proprio la leva della natura della Rai. E il risultato rischia di essere che il giornalismo, solo perchè prodotto dal servizio pubblico, sia il più soggetto a indebite pressioni e intimidazioni esterne. Pressioni che non contestano il merito dell’inchiesta, ma l’origine delle informazioni che ne hanno permesso la realizzazione, dunque un attacco alla libertà del singolo giornalista.

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