Era stato buon profeta Giuseppe Cascini, attuale componente del Consiglio Superiore della Magistratura, nel richiamare la Loggia P2 a proposito dell’ANM, quando esplose nel 2019 lo scandalo Palamara & Company?

Difficile – e soprattutto tanto amaro quanto imprudente – affermarlo oggi.

Ma il blasfemo accostamento torna inevitabilmente alla memoria nel considerare l’attuale dibattito all’interno dell’ANM, dove da circa un anno si nega mensilmente la trasparenza interna.

Infatti taluno degli adepti ha invano chiesto di conoscere le ragioni per cui il Collegio dei Probiviri o il Comitato Direttivo Centrale (CDC) abbiano archiviate talune delle raccomandazioni documentate dalle famose chat di Palamara e perché a trentuno associati indagati sia stato consentito dimettersi per evitare la sanzione dell’associazione (sicché essi potranno iscriversi nuovamente).

Un’altra socia dal 2021 vorrebbe scoprire perché il CDC abbia respinta la proposta di sanzione formulata dai Probiviri nei confronti di un magistrato; il quale - con machista rozzezza - aveva spronato Palamara (mentre era influente componente del Consiglio Superiore della Magistratura) a «fotterla» (per fortuna) in senso figurato, cioè a illegittimamente impedirle di accedere ad un ufficio da lei ambito. 

Sono tali soci affetti da inguaribile voyeurismo associativo? O forse essi non «sanno farsi gli affari propri»?

L’intervento di Celli

Non si direbbe a sentire la pubblica perorazione non solo del Gruppo Art. 101 (che, rimasto in minoranza, si è scusato con i due ingombranti associati), ma soprattutto del consigliere Stefano Celli, membro autorevole del CDC, che si è così espresso: «...secondo me bisogna distinguere due piani, quello endoassociativo e quello extrassociativo, quello pubblico e quello interno. Allora se questa fosse un'associazione segreta, cioè di cui io non posso conoscere il nome degli associati, io non ne farei parte, io non voglio fare parte di una massoneria della magistratura in cui ci si incontra col cappuccio in testa. Mentre potrei - non è il mio caso – non avere piacere che si sappia nell'orbe terracqueo che io faccio parte dell'associazione, perché sono cavoli miei. Io magari personalmente rivendico di fare parte dall' associazione magistrati e di tante altre associazioni .... però voglio sapere se Antonio Sangermano [membro del CDC] fa parte di questa associazione, se Giacomo Ebner [membro del CDC] fa parte di questa associazione eccetera eccetera eccetera, voglio sapere se Capristo [Carlo Maria Capristo, indagato in sede penale per rapporti illeciti e scambi di favori con l’avv. Amara] fa parte di questa associazione.

Lo voglio sapere perché nel momento in cui io scopro che c'è un soggetto che viene condannato per gravi reati o, pur non essendo condannato per gravi reati, fa affermazioni che per me sono inaccettabili, dico alla mia associazione: se lui resta me ne vado io, qualora se ne vada lui decido io se rimanere.

Ora mi dite voi io come faccio a sapere se nella mia associazione c'è una persona che ha commesso un grave illecito disciplinare se nemmeno nell' area riservata si può sapere. Ma questa è una cosa da pazzi è veramente una cosa da pazzi. .... È chiaro che io Stefano Celi lo so perché faccio parte comitato direttivo centrale e quindi so come sono andati a finire i procedimenti disciplinari, ma voi spiegatemi perché tutti i soci non devono sapere l'esito negativo ... perché il collega che sta a Castrovillari non deve sapere se il suo presidente di sezione e il suo collega e compagno d' ufficio ha fatto una porcheria, sì o no?» (Radio Radicale, CDC 18 dicembre 2022, trasmissione in diretta, registrazione fonica e trascrizione automatica).

Le risposte

Assai arduo contestare la correttezza e lo sdegno di tale pubblico intervento.

Tuttavia si sono cimentati in questa impresa altri membri del CDC (dottori Ilaria Perinu, Italo Federici, Giacomo Ebner, Antonio Nicastro, Antonio Sangermano, Enrico Infante, Salvatore Casciaro) i quali, rappresentando la maggioranza avversa a qualunque ostensione, hanno dimostrato tuttavia di essere disattenti.

Ben vero essi hanno avuto la meglio nel dibattito, perché hanno fatto leva sul timore che l’accoglimento delle istanze di accesso avanzate dei predetti "guardoni” associati avrebbe comportato, in danno dei magistrati indagati, una «gogna mediatica» attraverso il travaso su compiacenti giornali (che essi considerano) pregiudizialmente avversi ai magistrati (!).

L’archiviazione

Sennonché i soci voyeurs si erano limitati a chiedere la copia non delle condanne emesse dal CDC, ma soltanto delle archiviazioni disposte dai Probiviri o dal CDC; atti che, neppure con tutta la buona volontà, possono assimilarsi a «gogne mediatiche», rappresentando piuttosto l’esito più ambito e ostensibile dagli stessi magistrati indagati.

Trattandosi indubbiamente di esperti magistrati, sarà consentita una domanda: quando mai è stata negata la copia di un’archiviazione penale sol perché - pur essendo provato lo specifico interesse del richiedente - l’accoglimento avrebbe pregiudicato la privacy dell’indagato, risultato estraneo a qualunque reato?

L’art. 116 c.p.p., infatti, non solo esclude che l’archiviazione possa rivelarsi minimamente pregiudizievole (per chi al postutto non doveva essere neppure indagato), ma nello stesso tempo consente di valutare la decisione di chi ha statuito l’inazione.

E nella specie sono proprio i Probiviri dell’ANM – a differenza dei maggiorenti del CDC (che li hanno nominati) - a postulare che gli associati possano accedere a tutti i loro atti (archiviazioni e proposte sanzionatorie), altrimenti destinati ad un irragionevole segreto e infine all’oblio.

Ma poi è l’art. 7 del Codice Etico dell’A.N.M. a prescrivere per i propri adepti che «Il magistrato non aderisce e non frequenta associazioni che richiedono la prestazione di promesse di fedeltà o che non assicurano la piena trasparenza sulla partecipazione degli associati».

Questa regola rimbalza ovviamente sulla stessa ANM. Come sostenuto con tanta passione da Stefano Celli, anche l’ANM deve infatti garantire al proprio interno la trasparenza sulle vicende disciplinari in cui siano incorsi i propri adepti, soprattutto perché ciascuno degli altri ha il diritto d’impugnare l’archiviazione davanti all’Assemblea Generale ovvero di dimettersi.

L’associazione è un’impresa etica o un “itinerario” ideale; consegue allora che ciascuno degli associati sappia le gesta dei propri “compagni di viaggio”.

Spetterà alla competente Procura e/o al P.G. presso la Suprema Corte stabilire se sussistano gli estremi del delitto di cui all’art. 1 della L. n. 17 del 1982 (Legge Anselmi sulle associazioni segrete) e/o, rispettivamente, dell’illecito disciplinare previsto dall’art. 3, 1° lett. g) del D. lgs. n. 109 del 2006, che preclude ai magistrati ordinari l’appartenenza ad associazioni segrete.

Ma intanto è allarmante che gli stessi magistrati che governano l’ANM accettino che essa possa essere assimilata, perfino al suo interno, alla Loggia P2.

Allarmante? Si direbbe piuttosto che «è veramente una cosa da pazzi»!

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